Capitolo 3

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Quando tornai a casa ero stremata. Max mi aveva accompagnato con la sua macchina fino al portone e, salutandomi, mi aveva detto “ci vediamo domani”.

Ci saremmo rivisti domani. Solo questa consapevolezza mi diede la forza di buttarmi sul divano e sorridere stupidamente. Aprii la tv. Era tardo pomeriggio e su MTV c’era solo un programma dove una ragazza della mia età stava partorendo dolorosamente. Dio, siamo nel 2014, non ci si annoia così facilmente da dire “toh, non so che fare, adesso divento mamma”. Con la coda dell’occhio vidi la spia del telefono di casa che lampeggiava. C’erano un sacco di chiamate perse; molte erano di mia madre, le altre erano quelle che aveva lasciato Peter la sera prima. avevo dimenticato di richiamarlo. Mi ero scordata di lui. Digitai velocemente il suo numero e avviai la chiamata. Al terzo squillo mi rispose.

-Pronto?

-Dio, Pete, mi dispiace così tanto! Ho visto i messaggi stamattina, ma avevo un mal di testa ipergalattico e mi sono riaddormentata.

-Risparmiami le scuse, Cass. Non eri costretta a richiamarmi.

-Pete, lo giuro, è da stamattina che mi sento uno schifo.

-Ci credo, con tutti quei drink che ti sei scolata!- borbottò lui.

-Non in questo senso, sciocchino- risi. –Per come ti ho trattato.

Ci fu un attimo di silenzio, in cui temetti che mi avrebbe mandato a quel paese e non avrebbe più voluto sapere niente di me.

-Va tutto bene, Cass. Stai passando un periodo difficile, ed eri ubriaca. Non avrei dovuto reagire così- disse alla fine.

Io sospirai di sollievo. –Allora ti va una cioccolata al bar? Come riconciliazione?

-Ma certo. Tra mezz’ora sotto casa tua?

-Okay.

Era come se mi fossi tolta un peso. Pete era sempre stato parte della mia vita, e non avrei sopportato di perdere anche lui. Mi cambiai e rinfrescai canticchiando, quando bussarono alla porta. E’ in anticipo, pensai. Mi raccolsi i capelli in una coda e andai ad aprire. Il sorriso mi morì sulle labbra. –Mamma.

-Ciao, Cassie. Come stai?- disse quella dolcemente. Sembrava piuttosto provata, con i capelli tutti in disordine ed il cardigan abbottonato storto. Mentre arretravo per farla entrare, notai la grande valigia blu che teneva in mano.

-Che ci fai qui?- chiesi.

-Tuo padre mi ha cacciato di casa- sospirò lei. –E’ diventato un uomo veramente orribile. Così mi chiedevo se avrei potuto stare un po’ qui. Avevo chiamato per dirti che venivo, ma non rispondeva nessuno. Dov’è tua nonna?

-La zia Terry si è sentita male, così è andata a vedere come stava un paio di giorni fa. L’avresti saputo, se non passassi la giornata pensando a nuovi modi per insultare papà.

Lei ebbe almeno la decenza di arrossire. –Quindi posso restare?

In quel momento la vidi bene. Sotto le sue battute e il suo atteggiamento di indifferenza, era una donna distrutta, sofferente. Come me.

-Ma certo, mamma.

La guardai entrare in casa tirando goffamente quell’assurdo bagaglio, e mi venne un moto improvviso di dolcezza verso quella donna.

-Lascia, faccio io- le dissi prendendo la valigia. Pesava più di me e lei messe insieme.

-Grazie, cara- mi sorrise. –Sai, avrei un po’ di fame. Cosa stai preparando per cena?

Terreno minato. Minatissimo.

-Immagino non ti piaccia il cibo del take away cinese...

Lei mi guardò allarmata. –Take away ? Cinese ?- il modo in cui pronunciò quelle parole le fecero sembrare un veleno di cui si fornivano gli extraterrestri per invadere la terra. Sempre che esistessero, gli extraterrestri.

-Mamma, tu non mi hai mai insegnato a cucinare- tentai.

-E tua nonna non ti ha mai fatto neanche avvicinare ai fornelli, per paura che tu fossi come me- concluse lei sbuffando.

-Davvero hai incendiato la cucina tentando di fare un uovo?- le domandai. –E’ da quando la nonna me l’ha raccontato che volevo chiedertelo.

-E’ stato un incidente- precisò la mamma. –E tua nonna ha reagito in modo a dir poco esagerato. Ha chiamato perfino i pompieri!

Mentre scuotevo la testa divertita l’occhio mi cadde sull’orologio. Erano le sei e un quarto.

Mi scusai con mamma e andai in camera, pregando che Peter non fosse già uscito di casa. Se mi avesse sbattuto il telefono in faccia, questa volta, non avrei potuto dargli torto. –Pronto, Pete?

-Dimmi tutto. Stavo giusto per uscire di casa.

-No, ascolta.. c’è stato un disguido.

Silenzio. -Cos’è successo, stavolta?- La sua voce era diventata più fredda.

-Ecco, i miei hanno litigato...

Lo sentii sbruffare attraverso la cornetta. –Sono mesi che i tuoi litigano, Cass! Se non vuoi stare con me, dillo chiaramente e senza giri di parole. Sono stufo delle tue scuse.

Io ero sbalordita. –Mio padre ha cacciato la mamma di casa, e così e venuta a stare da me. Non era una scusa.- Davvero aveva una così bassa considerazione di me?

Ci fu una pausa tanto lunga che temevo non mi rispondesse più, ma alla fine disse: -Dio, mi dispiace tanto. Perdonami, sono un vero idiota. Non fa niente per la cioccolata, ci andremo domani.

-Grazie, Pete.

-Di nulla.

-Pete?

-Si?

-Mi faresti un favore?

Lui sospirò. -Ma certo, Cass.

-Puoi dormire qui, stanotte? Non... Non sono ancora pronta per stare da sola con lei.

Dopo un attimo di sbigottimento, sentii armeggiare dall’altro capo. –Dieci minuti e sono da te.

Grazie a Dio avevo Pete.

Mi feci coraggio e ritornai in salotto. Mamma era seduta sul divano a vedere il programma di prima, dove la sedicenne adesso stava allattando il suo bambino.

-Promettimi- supplicò girandosi verso di me- che non diventerai mai come lei.

-Non ci penso neanche, mamma.

Lei si fece il segno della croce.

-Abbiamo ospiti, comunque. Ti ricordi di Peter?

Lei ci pensò un po’ su, poi sembrò ricordarsi. –Peter! Ma certo. Che bravo ragazzo. Credo di essermi persa il passaggio da amico a ragazzo, però.

Ma perché credevano tutti che stessimo insieme?

-Forse perché non c’è stato - replicai.

Lei si accigliò, mostrando una ruga tra le due sopracciglia. –Guarda che a me lo puoi dire. Non sarebbe affatto strano, dato che vi conoscete da un’eternità.

-Sarebbe strano proprio per questo. Peter è come un fratello per me, mamma.

Lei fece spallucce. –Afferrato, questi sono affari tuoi. Almeno sa cucinare?

Oddio, sapeva cucinare? Sperai di si.

In quel momento suonò la porta e mi precipitai ad aprire. Pete era... beh, era Pete, con le sue magliette strambe e le All Star  super consumate.

-Ehi Cass –mi salutò.

-Pete, sai cucinare?

Sul suo volto passò un’espressione confusa. Molto confusa.

 –Ma non l’avete già fatto voi?

Ci provammo, davvero. Lo giuro. Ma ci dovemmo fermare, prima di distruggere la cucina alla nonna. Ci avrebbe sgozzato se l’avessimo fatto. Fu così che, dopo uova rotte sul pavimento, crêpes rimaste attaccate al soffitto e impasto che grondava da tutte le parti, ci arrendemmo e ordinammo una pizza dall’egiziano di fronte casa. Credo di non aver mai riso tanto in tutta la mia vita.

Dopo cena, ci buttammo tutti e tre sul divano-letto, strafogandoci di pop corn (comprati anche quelli) e guardando uno stupido film sdolcinato. Poco prima di addormentarmi, tra mamma e Pete, pensai: E’ questa la felicità?

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