𝒕𝒖𝒍𝒊𝒑𝒂𝒏𝒊

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La mia vita sembrava perfetta. È difficile e azzardato affermare a testa alta questa frase, la paura di dare voce a un pensiero del genere avrebbe potuto diventare la causa della rovina di quella stessa vita che ritenevamo priva di imperfezioni. Eppure io non avevo timori, avrei voluto aprire la finestra e urlare a squarciagola che la mia vita era perfetta, ma avevo sempre preferito evitare la possibilità di una denuncia per disturbo della quiete pubblica.

Il condominio in cui abitavo non era dei più tolleranti, i miei erano quei tipi di vicini scorbutici che a mezzanotte e un minuto ti bussano alla porta per dirti di abbassare il tono della voce, ché l'orario di fare baldoria è ormai passato e loro non riescono a dormire. Non ero stato io a scegliere un appartamento in un complesso così poco ospitale, ma le circostanze l'avevano fatto al posto mio. Al posto nostro. Un matrimonio costa, eccome se costa. La cerimonia, i vestiti, i preparativi, gli inviti e non continuo la lista infinita. Ci eravamo dovuti accontentare di uno dei primi appartamenti più economici che avevamo visto.

Il mio io di qualche anno fa, ancora irresponsabile e inesperto, non avrebbe mai immaginato di dover affrontare un matrimonio a venticinque anni. Le coordinate necessarie erano tutte presenti: l'amore, l'intenzione, la possibilità economica e il supporto di tutti. Da poco le avevo fatto la proposta e la risposta non s'era fatta attendere: un pronunciato senza alcuna esitazione aveva avuto per le mie orecchie lo stesso effetto che ha la mia playlist preferita ascoltata per rallegrare una pessima giornata.

Tra poco meno di un anno sarei diventato il marito della donna di cui ero follemente innamorato, della donna che m'aveva rubato il cuore quando ancora eravamo dei ragazzini al liceo, della donna con cui avevo condiviso ogni singolo momento da quel fatidico giorno in cui le avevo chiesto di diventare la mia fidanzata, della donna che teneva le redini del mio cuore strette tra le sue mani e che, a sua volta, m'aveva affidato quelle del suo, scambiandoci la promessa di prendercene cura sempre. Le ero talmente grato per starmi accanto, per amarmi e per avermi scelto come suo compagno di vita, che spesso, in sostituzione delle parole che non sapevo usare bene per esprimere i miei sentimenti, le facevo dei regali. Ogni giovedì le portavo dei fiori.

Quel giovedì di primavera non fu tanto diverso dagli altri. La sveglia alle sette in punto mi aveva allontanato dalle comode braccia di Morfeo e mi aveva costretto ad abbandonare il mio letto caldo. Chaeyoung stava ancora dormendo, il suo turno di lavoro sarebbe cominciato all'ora di pranzo e questo mi diede la possibilità di recarmi in cucina e preparare una delle mie specialità per colazione: pancakes. Feci attenzione a non creare troppo rumore né disordine, non amavo riordinare. Mentre aspettavo che i pancakes si raffreddassero, mi presi qualche minuto per fumare una sigaretta affacciato alla finestra e incontrare lo sguardo infuocato del mio vicino, anch'egli affacciato e intento a compiere il mio stesso rituale. Ci scambiammo un gesto del capo prima che io rientrassi in casa.

Consumai velocemente la mia colazione e mi diressi verso l'ufficio in tutta fretta, il ritardo era un'altra delle mie caratteristiche. La monotonia di quel lavoro da scrivania mi divorava ogni giorno, ma dovevo stringere i denti e tenere duro, ché di quel lavoro ne avevo bisogno più d'ogni altra cosa. Spesse volte mi perdevo a guardare fuori dalla finestra del ventesimo piano di quell'enorme edificio in cui lasciavo che le mie chiappe diventassero piatte su una sedia che, per quanto comoda e morbida fosse, non era adatta ad ospitare il mio fondoschiena per otto ore.

Il mio collega, Jimin, seduto alla scrivania accanto a me, mi fece ritornare con i piedi per terra quando picchiettò sulla mia spalla in cerca d'un aiuto nella decifrazione d'un grafico, e fui costretto ad allontanarmi momentaneamente dai miei pensieri e concentrarmi sul mio lavoro. Come ogni giorno, analizzai i fogli e i dati al computer e, dopo otto lunghissime e noiosissime ore, i miei occhi sembravano cercare un po' di pace. In bagno mi diedi una rinfrescata al viso e ai polsi, ché la primavera era bella sì, ma le temperature cominciavano ad aumentare e la camicia a maniche lunghe che ero costretto a indossare ogni giorno sembrava non lasciar passare nemmeno un filo d'aria dal tessuto.

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