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La mattina era la cosa che odiavo di più al mondo: dovevo alzarmi presto per andare a scuola e mi chiedo perché io continuassi ad andarci ancora. Tanto è come se io fossi una persona in più in quell'istituto del cazzo e magari a causa mia ho vietato ad una persona di venire in questa scuola.

Mi alzai dal letto e camminai verso il bagno a passo lento, svogliato e nel mentre che mi preparavo, pensai a come potrebbe andare la giornata; magari non di merda come al solito...

Indossai dei jeans neri a vita alta e una felpa grigia - che presi gentilmente dall'armadio di mio fratello, che in quel momento era in cucina a fare colazione; non si accorse del mio "rapimento".

Lo raggiunsi dopo un quarto d'ora con lo zaino in spalla, pronta per andare a scuola.

«'Giorno Joe» lo salutai rubandogli un biscotto dalle mani.

«'Giorno, ma quella non è la mia felpa?» domandò, guardandomi curioso.

«Ehm...devo andare a scuola, a dopo Joe» ridacchiai per la sua espressione, che contagiò anche lui.

«Ti accompagno io, dammi il tempo di vestirmi-».

«No, oggi voglio stare un po' per i fatti miei» lo liquidai. Gli sorrisi.

Lui semplicemente, annuì, si avvicinò a me e mi lasciò un amorevole bacio sulla testa. «A dopo» disse in modo affettuoso.

Chiusi la porta alle mie spalle e rimasi per pochi secondi a guardare lo stesso panorama che incontravo sempre alla mattina; i soliti palazzi con dei colori sbiaditi, le solite strade colme di macchine, la signora Spencer che portava a passeggio il suo pincher nero di nome Max ogni mattina alle stessa ora, i soliti impiegati che andavano a lavorare alla ECorp e poi c'ero io; una ragazza esile che studiava alla High School of Music & Art and Performing Arts; il mio sogno era quello di fare musica, o comunque di diventare un artista, per quello avevo scelto quella scuola.

New York City quella mattina era così cupa: le nuvole coprivano i raggi solari che di solito si depositano delicatamente sulle pareti delle palazzine e tutto quello mi mise angoscia nell'animo; credo che il tempo promise pioggia quel giorno ed ero felice per quello.

Io adoravo la pioggia: il rumore delle piccole goccioline che cadono al suolo, le nuvole che si colorano di grigio, l'odore che si sente...tutto così magnifico!

Mi incamminai verso la fermata del bus e mi sedetti sulla panchina sotto a quella sorta di ombrellone che mi riparava dalle sottili, lievi goccioline che stavano precipitando verso il suolo.

Dopo di me si sedette un ragazzo, lo guardai con la coda dell'occhio; con la testa china sul cellulare a cercare qualche luogo su Google Maps e i suoi splendid ricci coprivano il suo viso pallido.

Imprecò in francese; quel ragazzo potrebbe essersi appena trasferito a NYC. Questo potrebbe spiegare il sito sul suo display.

Quando si voltò verso di me, sussurra un: «Scusami?» e io non potei non voltarmi verso di lui, curiosa di scorgere il suo viso.

Appena i nostri occhi si incontrarono ci fu come una scarica elettrica percorrere la mia spina dorsale; i suoi occhi così belli, di un verde chiaro e splendente che si incastonavano con i miei marroni; un marrone semplice con nulla di fantastico.

Who : Timothée ChalametDove le storie prendono vita. Scoprilo ora