13. QUEL NOME(REV)

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Nel mio Nome scacceranno i demoni."

-Gesù Cristo

***

«Quel nome...

Sai, dovrebbe essere il semplice nome di un uomo vissuto nella Galilea intorno al 30 d.C.

Un semplice nome. Addirittura, un nome molto comune all'epoca.

Ma quel nome... quel nome, ogni volta, ogni singola volta, provocava in mio padre una furia disumana, incontrollata.

E non so, non so davvero perché.

Durante gli incontri nel retro del locale Lithium, dove solitamente si riuniva insieme ai membri del gruppo Lucifer, io dovevo rimanere nel bar. Avevo poco più di dieci anni, ma è un ricordo molto fumoso e indefinito, quasi come se lo vivessi dall'esterno del mio essere. Ma fa parte di me, ormai.

A volte, lo sentivo urlare e il barman, ormai addestrato a dovere, intimava il dj di turno di alzare il volume di quella musica assordante.

Non ho mai saputo cosa succedeva in quelle riunioni, se non quando vi partecipai per la prima volta.

Era la sera dove tutti festeggiano in strada mascherati, con una luna pallida e tonda. Avevo appena compiuto diciotto anni. Era la sera della mia iniziazione ed era da un anno passata quella di Lilith, mia sorella.

Ma quella sera era diversa: tutto dentro di me remava contro il loro volere, inspiegabilmente. Qualcosa, in me, voleva rimanere libero da quelle logiche, dai quei riti.

E l'ignoto era il mio più grande terrore.

Mia sorella non mi disse mai quel che era successo quella notte. So solo che, da allora, ella acquisì delle strane capacità: divenne più aggressiva, tormentata da incubi e orrende visioni, fino a quando mi mostrò il suo potere: trasfigurarsi fino a divenire uno spirito invisibile, capace di incarnarsi nell'animale da lei prediletto: il gatto.

"Potrai farlo pure tu, un giorno..." mi aveva predetto.

Ma io non ci volli credere.

Quella notte, dicevo, mentre la mia anima anelava la fuga da quel locale, un uomo, un cliente del bar, si alzò in piedi urlando come un generale che ordina ai suoi sottoposti di adempiere alle sue volontà; o almeno è così che lo avvertì il mio cuore.

E la sua volontà era di vedere ogni ginocchio piegato e ogni lingua confessare che... Quel Nome era il Signore.

E lo vidi, vidi la potenza di quel nome.

Tutti, uno per uno, gli adepti del gruppo si ritrovarono in ginocchio, senza però riuscire a pronunciare alcunché...» concluse Acab, fissando il vuoto, con sguardo assente, mentre i vari flashback gli provocavano tremori e pelle d'oca.

L'avevano messo di guardia quella sera.

La notte era inoltrata e non v'era luce in quel luogo, se non il lieve luccichio della sigaretta del giovane dai capelli corvini e gli occhi color zaffiro e un neon guasto che emanava luce intermittente.

Si trovava diversi metri sotto terra, appoggiato al muro di pietra sudicio di un viscidume indefinito, in un tunnel sotterraneo e dall'aria rarefatta, mentre il gelo dell'anima era più pungente di quello delle pareti.

«G... Gesù Cristo... vorrai dire... »

«Hai ancora fiato per parlare, tu?» rispose a quel giovane che gli dava le spalle, mostrando una schiena nuda lacerata da graffi e contusioni. L'avevano condotto lì la sera del primo novembre. Una sera piovosa e tremendamente umida.

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