Ritorni

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L'aria alla mattina cominciava a farsi frizzantina e i prati verdi alle prime luci di Helios brillavano di rugiada, come se qualcuno durante la notte avesse adagiato su quei sottili steli verdi tanti piccoli diamanti. 

I campi di grano erano ormai desolate distese di terra brulla. Solo qualche spiga dimenticata durante la raccolta giaceva inerme sul terreno. 

L'estate era ormai arrivata alla sua fine. 

E con essa era arrivato il tempo di ritornare negli Inferi.

Persefone osservò le alte piante che si ergevano intorno a lei in quel piccolo boschetto arroccato su di una collina poco lontano dalla dimora della madre.

Una, due, tre... le foglie stavano cominciando a cadere. Una di esse le finì tra i capelli dai riflessi color delle spighe del grano maturo, andando a posarsi sulla corona di fiori di campo che portava sul capo. La prese tra le dita e se la portò vicino al viso. 

Le sue labbra assunsero una piega malinconica mentre la studiava con interesse.

Una folata di vento la fece volare via alcuni istanti più tardi.

Istintivamente la giovane dea strinse le braccia, lasciate scoperte dalla semplice veste di cotone che indossava, al corpo. Sulla sua pelle i brividi causati dal freddo erano ben visibili.

Anche il terreno sotto ai suoi piedi nudi non era più tiepido come un tempo, ma freddo e umido. 

Decise di uscire alla luce del Sole, ma nemmeno Helios era più caldo come nei mesi precedenti: il suo era diventato niente di più che un leggero tepore.

Udì un rumore di passi famigliari dietro di lei e poco dopo qualcuno le posò un semplice mantello di lana grezza sulle spalle. Si strinse immediatamente in esso e voltò il capo, trovando sua madre ad osservarla. Le sorrise, grata di quel gesto.

Tuttavia Demetra non riuscì a rispondere a quel sorriso. "L'aria si è fatta fresca", mormorò. Gli occhi verdi, così simili a quelli della figlia, tristi e malinconici.

Sapevano entrambe cosa significava. 

Persefone annuì, lasciando che lo sguardo vagasse per il paesaggio circostante un'ultima volta. 

Era arrivato per lei il momento di scendere nel Sottosuolo e, come un seme aspetta pazientemente la fine dell'inverno per germogliare, sarebbe tornata a primavera. 

Una processione di ninfe risalì il crinale della collina fino al cospetto delle due divinità. La ninfa che apriva il corteo si avvicinò alla giovane dea della Primavera, porgendole un mazzo di fiori profumati. 

Lei ringraziò con un cenno del capo, dopodichè tornò ad osservare la madre con malinconia. 

Quest'ultima volse lo sguardo altrove. "Dovresti andare, il tuo sposo ti starà attendendo", disse in tono apprensivo. 

Persefone sospirò. "Arrivederci, madre", mormorò. 

"A primavera, Kore"

La madre la strinse al petto florido, chiudendo poi gli occhi, fatti nel frattempo umidi. 

Succedeva sempre: ogni anno entrambe si promettevano di non commuoversi. E ogni anno puntualmente qualche lacrima finiva per cadere. 

Demetra spazzò via quelle sulla guancia della figlia con il pollice, in un gesto dolce e delicato. 

Si sorrisero, dopodichè Persefone sciolse quell'abbraccio e si incamminò. 

Ade, il suo Ade la stava aspettando. E quel pensiero la fece arrossire.


                                                                      ***

          

                                                                                                                                       Nell'Averno...


La Sala del Trono pullulava di anime in attesa del giudizio, ma quel giorno pareva che i giudizi procedessero a rilento. 

Ade distolse lo sguardo dall'anima che in quel momento, a capo chino ai piedi del suo trono, aspettava silenziosamente il suo verdetto. Avrebbe dovuto concentrarsi su di essa, eppure la sua mente vagava continuamente lontano, ben oltre il confini del proprio regno.

Quello era un giorno particolare.

Speciale.

Osservò il trono vuoto di fianco al suo. Sopra di esso, adagiato su di un cuscino di velluto rosso, un diadema.

Sorrise impercettibilmente.

Inizialmente per la sua regina aveva fatto forgiare una corona identica alla sua: un cerchio d'oro con incastonate diverse pietre preziose. Un gioiello importante. Serio e pesante, ogni volta che lo portava gli rammentava la rilevanza del fardello che il Fato gli aveva affidato. 

Ma per lei una simile corona non era adatta: lo aveva intuito subito, non appena gliela aveva poggiata sul capo, dal modo imbarazzato in cui lei lo guardava. Lo aveva capito nei giorni successivi, osservandola agitarsi sul proprio trono, cercando una posizione adatta a far restare immobile quel monile, che puntualmente tornava sul viso ad ogni cenno. 

Così ne aveva fatta forgiare una seconda. Gli era bastato vedere il suo sguardo illuminarsi una volta mostrata per capire che quella era finalmente quella giusta.

E così eccola lì: una serie di spighe di grano d'oro che andavano ad intrecciarsi l'una nell'altra, talmente perfette da sembrare vere. Sei piccoli rubini, modellati per ottenere la forma di un seme, rappresentavano quei sei semi di melograno da cui tutto era iniziato.   

Un ululato acuto ruppe il silenzio che aleggiava nella sala. Le anime presenti risposero ad esso con un mormorio sommesso. 

Ade alzò di scatto il capo verso l'alto e dovette stringere i braccioli del proprio trono con tutta la propria forza per resistere alla tentazione di alzarsi e correre alle porte della propria reggia: ad ululare era stato il suo fedele Cerbero che annunciava l'arrivo di qualcuno. 

Il ritorno, per essere più precisi. 

Il tempo che passò da quel momento a quando i portali della sala si aprirono gli parve infinito. Nemmeno si accorse di aver trattenuto il fiato mentre le anime si facevano da parte per lasciare entrare la loro regina. 

Persefone entrò nella sala a passo lento, sorridendo e facendo cenni di saluto qua e là.

Con quella semplicissima tunica bianca, i piedi scalzi e una coloratissima corona di fiori a cingerle il capo, ad Ade sembrò più bella che mai: un caldo raggio di Sole venuto a rischiarare le tenebre più buie. 

Raccolse la corona della sua consorte e si alzò. Percorse i pochi gradini che lo dividevano dal resto della sala -che lo dividevano da lei- cercando di mantenere il proprio passo elegante, di non tradire l'impazienza di poter finalmente sfiorare quel viso che attendeva di toccare da ben sei lunghi mesi.

Si guardarono negli occhi, a lungo, senza che nessuno dei due proferisse parola. 

La dea si tolse i fiori che le avvolgevano il capo ed Ade vi depose al lro posto la corona di spighe dorate. 

Avvicinò le labbra al suo volto ambrato, lasciandole un casto bacio sulla fronte. Tutto ciò che poteva permettersi in quell'affollata sala. 

"Ben tornata a casa, mia regina"

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