"Fingere indifferenza
per qualcosa o qualcuno
che si desidera.
Dire di no, volendo
intendere sì."Min Yoongi stava soffrendo.
Si tormentava scorticandosi la pelle nivea, lasciando che delle gocce di sangue fuggissero dal suo martoriamento incessante e cadessero pesanti sul tessuto bianco che aveva indossato appositamente per quell'occasione; la circostanza che sperava non avrebbe mai raggiunto, che avrebbe semplicemente raggirato con tante, troppe lacrime chiuse in quegli occhi vitrei e gonfi. Ma questa volta non era riuscito a scappare come il suo sangue stava invece facendo, ritrovandosi in una situazione straziante, tanto soffocante da chiudergli la gola così come un tappo di sughero fa con la sua bottiglia. Ora Yoongi era proprio come una bottiglia: fragile perché fatta di vetro e pieno di un liquido che accoglieva disperazione e rimpianto. Rimpiangeva tanti sentimenti, ricordi, delusioni, tutti legati alla sola persona che aveva devastato la sua vita: Park Jimin.Aveva conosciuto il ragazzo alla scuola elementare, quando durante l'infinita ricreazione tutti i bambini andavano in cortile e quel piccolo Jimin del tempo preferiva rannicchiarsi in un angolo dell'aula aspettando pazientemente il termine di quell'intervallo per lui vano. Stava sempre lì, nella stessa identica posizione della giornata precedente, con la testa poggiata alle ginocchia strette al petto dalle sue gracili braccia. Non c'era un senso al suo comportamento, semplicemente preferiva trascorrere il suo tempo chiuso nei suoi pensieri che intrappolato tra le chiacchiere di bambini sconosciuti, e questo Yoongi l'aveva potuto capire solo dopo mesi dall'inizio dell'amicizia poi strettasi tra loro.
L'approccio con il bimbo era stato complicato, molto lento nel suo miglioramento. Ogni giorno Yoongi aveva portato a Jimin un fiorellino, una margherita bianca cresciuta negli spazi più remoti del giardino; aveva sempre ignorato i fiori colorati che crescevano rigogliosi insieme ad altri centinaia di fiori uguali, preferiva i petali bianchi e lo stelo solitario delle margherite più lontane, dopotutto gli ricordavano quel bambino dalla pelle chiara e le manine paffute qual era Jimin.
Col tempo era quindi riuscito a scalare l'alta torre in cui Jimin era stato rinchiuso, o meglio, in cui si era rinchiuso da solo dopo aver buttato uno sguardo attento al mondo esterno: non gli era piaciuto, ecco tutto.
Era stato difficile, più volte le mani di Yoongi avevano minacciato di lasciare la presa, di far ricadere il corpo quasi esanime giù per tutta l'altezza della fortezza, eppure alla fine era entrato dalla grande finestra da cui Jimin era rimasto affacciato per tanto tempo in completa solitudine. Da quella finestra avevano quindi iniziato ad uscire due figure accostate e mano nella mano, non più una, chiusa in se stessa come un bocciolo.Il loro affetto se lo portarono ovunque: alle scuole medie, in vacanza, al centro estivo, durante le lezioni di basket, al liceo. Le loro mani continuavano ad intrecciarsi come ciocche di capelli chiuse in una treccia, mentre i loro cuori si stavano pian piano sincronizzando. Tutto sembrava perfetto, loro sembravano perfetti: i loro difetti si disperdevano di fronte ad un amore tanto bello.
Erano belli, lo erano stati singolarmente e lo erano insieme.Eppure le cose non possono durare a vita. La perfezione non esiste, di conseguenza non la si può raggiungere.
Verso gli ultimi anni di liceo, Jimin aveva iniziato ad assumere comportamenti insoliti; le sue carezze non erano più le stesse, come i suoi baci avevano assunto un retrogusto amaro. Gli abbracci non ti intrappolavano tra le sue braccia, solo ti cingevano la schiena con una delicatezza fin troppo insistente che lasciava Yoongi con un'estenuante interrogativo in testa: ho sbagliato qualcosa?
Perché Yoongi si sentiva tremendamente sbagliato ora, percepiva quel distacco netto che Jimin aveva foggiato e non poteva fare a meno di darsene la colpa. Ogni giorno di più la sua figura riflessa nello specchio del bagno gli sembrava uno scarabocchio indistinto, una bozza che mai sarebbe stata completata perché il creatore non ne aveva la necessità. Si alternavano giorni in cui sarebbe solo voluto scomparire ad altri in cui lo faceva veramente, nascondendosi sotto al suo lenzuolo che ancora portava l'odore del ragazzo che tanto amava.
Il suo cuore si stava lacerando, come stava perdendo quel contatto diretto che aveva stretto con quello di Jimin. Le mani si stavano allontanando, la torre stava crollando e Jimin sarebbe rimasto intrappolato tra le macerie, mentre Yoongi sarebbe sopravvissuto con un profondo pertugio nella sua anima che lo avrebbe accompagnato fino alla fine ed oltre.
Ma Jimin? Perché la sua torre stava cedendo?
Non era stata costruita male, i suoi mattoni erano ben saldati tra loro, niente avrebbe potuto distruggerla; se non il padrone stesso.
Infatti le mani un tempo piccole del ragazzo ora stavano scindendo quella fortezza come fosse la mollica del pane: con una facilità sconcertante.
Ma ciò non era comandato dal cuore, bensì dalla testa, quella maledettissima e contorta mente che ogni volta lo metteva in difficoltà e lo ingarbugliava dall'interno come un gomitolo di lana. La stessa mente che, dopo anni passati a contemplare un amore puro e apparentemente perfetto, lo stava nascondendo non per proteggerlo, ma per eliminarlo nonostante il cuore piangesse lacrime di sangue.La famiglia di Jimin non aveva mai accettato questo amore a detta loro anormale, questo sentimento nato nel più genuino dei modi che però gli faceva storcere il naso. E il loro bambino, il loro figliolo fin troppo legato all'affetto familiare per staccarsene e vivere serenamente, ora era stato condizionato dal pensiero delle uniche persone che stavano commettendo un errore in quella situazione: spesso i genitori vogliono riflettere i loro sogni incompiuti sui figli, non capendo che ciò che hanno messo al mondo non è uno specchio, ma un essere vivente che possiede una propria volontà. Se poi questa volontà viene sotterrata dal dispotismo di chi dovrebbe invece mostrarti al mondo per ciò che sei, tutto va a rotoli a partire dalla propria persona.
Questo era ciò che Jimin stava subendo, mentre i suoi genitori stavano pianificando la sua vita come fosse un gioco di società, uno di quelli che proprio Jimin aveva sempre odiato per il meccanismo troppo preciso e illusorio. Perché predisporre la propria esistenza anziché viverla secondo dopo secondo con la curiosità che man mano accresce?
Yoongi ovviamente non si arrese fin da subito: aveva tentato di riaprire gli occhi al suo amato, di mostrargli quanto la loro vita sarebbe stata meravigliosamente incognita e vergine, lontana da ogni contaminazione esterna perché i loro sentimenti li avrebbero protetti dalle ingiustizie che li circondavano, eppure il minore era ormai incatenato ad un ruolo che non lo apparteneva in un'esistenza che non lo rappresentava.
Alla fine anche Yoongi aveva dovuto demordere.
Anche lui ora indossava abiti che non lo rappresentavano, un ruolo che avrebbe volentieri evitato perché lo stava uccidendo.
Quel giorno, sarebbe volentieri rimasto a torturarsi tra le lenzuola del suo letto anziché stringere la propria pelle secca e sanguinante in mezzo ad un centinaio di persone, tutte pronte ad assistere al matrimonio più falso di sempre: una moglie infelice ed un marito incatenato in un'esistenza effimera e controproducente a se stessa.È da tanto che volevo scrivere una cosa del genere.
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𝐍𝐚𝐳𝐥𝐚𝐧𝐦𝐚𝐤 {m.yg ; p.jm}
FanficNazlanmak: fingere indifferenza per qualcosa o qualcuno che si desidera. Dire di no, volendo intendere sì.