Ne spinge in mar quaranta il capitano
degli Etoli Toante, a cui fu padre
Andrèmone; e traea seco le torme
di Pleurone, d'Oleno e di Pilene,
quelle dell'aspra Calidone e quelle
di Calcide. E raccolta era in Toante
degli Etòli la somma signorìa
da che la Parca i figli ebbe percosso
del magnanimo Enèo, posto col biondo
Meleagro infelice ei pur sotterra.
Il gran mastro di lancia Idomenèo
guida i Cretesi che di Gnosso usciro,
di Litto, di Mileto e della forte
Gortina e dalla candida Licasto
e di Festo e di Rizio, inclite tutte
popolose contrade, ed altri molti
dell'alma Creta abitator, di Creta
che di cento città porta ghirlanda.
Di questi tutti Idomenèo divide
col marzio Merïon la glorïosa
capitananza; e ottanta navi han seco.
Nove da Rodi ne varâr gli alteri
Rodïani per l'isola partiti
in triplice tribù: Lindo, Jaliso,
e il biancheggiante di terren Camiro.
L'Eraclide Tlepòlemo è lor duce,
grande e robusto battaglier che al forte
Ercole un giorno Astïochèa produsse,
cui d'Efira e dal fiume Selleente
seco addusse l'eroe, poiché distrutto
v'ebbe molte cittadi e molta insieme
gioventù generosa. Entro i paterni
fidi alberghi Tlepòlemo cresciuto
di subitaneo colpo a morte mise
Licinnio, al padre avuncolo diletto,
e canuto guerrier. Ratto costrusse
alquante navi l'uccisore, e accolti
molti compagni, si fuggì per l'onde,
l'ira vitando e il minacciar degli altri
figli e nipoti dell'erculeo seme.
Dopo error molti e stenti i fuggitivi
toccâr di Rodi il lido, e qui divisi
tutti in tre parti posero la stanza:
e il gran re de' mortali e degli Dei
li dilesse, e su lor piovve la piena
d'infinita mirabile ricchezza.
Nirèo tre navi conducea da Sima,
Nirèo d'Aglaia figlio e di Caropo,
Nirèo di quanti navigaro a Troia
il più vago, il più bel, dopo il Pelìde
beltà perfetta. Ma un imbelle egli era;
e turba lo seguìa di pochi oscuri.
Quei che tenean Nisiro e Caso e Cràpato
e Coo seggio d'Euripilo, e le prode
dell'isole Calidne, il cenno regge
d'Antifo e di Fidippo, ambo figliuoli
di Tessalo Eraclìde. E trenta navi
aravano a costor l'onda marina.
Ditene adesso, o Dive, i valorosi
d'Alo e d'Alope e del pelasgic'Argo
e di Trachine; né di Ftia né d'Ellade,
di bellissime donne educatrice,
gli eroi tacete, Mirmidon chiamati,
ed Elleni ed Achei. Sopra cinquanta
prore a costoro è capitano Achille.
Ma di guerra in que' cor tace il pensiero,
ch'ei più non hanno chi a pugnar li guidi.
Il divino Pelìde appo le navi
neghittoso si giace, e della tolta
Briseide l'ira si smaltisce in petto,
bella di belle chiome alma fanciulla
che in Lirnesso ei s'avea con molto affanno
conquistata per mezzo alla ruïna
di Lirnesso e di Tebe, a morte spinti
del bellicoso Eveno ambo i figliuoli
Epistrofo e Minete. Per costei
languìa nell'ozio il mesto eroe; ma il giorno
del suo destarsi all'armi era vicino.
Quei che Filàce e la fiorita Pìrraso,
terra a Cerere sacra, e la feconda
di molto gregge Itóne, e quei che manda
la marittima Antrone e di Ptelèo
l'erboso suol, reggea, mentre che visse,
il marzïal Protesilao. Ma lui
la negra terra allor chiudea nel seno,
e la moglie in Filàce derelitta
le belle gote lacerava, e tutta
vedova del suo re piangea la casa.
Primo ei balzossi dalle navi, e primo
trafitto cadde dal dardanio ferro:
ma senza duce non restò sua schiera,
ché Podarce or la guida, esimio figlio
del Filacide Ificlo, che di pingui
lanose torme avea molta ricchezza.
Del magnanimo ucciso era Podarce
minor germano; ma perché quel grande
non pur d'anni il vincea, ma di prodezza,
l'egregio estinto duce era pur sempre
di sua schiera il desìo. Di questa squadra
son quaranta le navi in ordinanza.
Gli abitator di Fere, appo il bebèo
stagno, e quelli di Bebe e di Glafira
e dell'alta Jaolco avean salpato
con undici navigli. Eumelo è duce,
germe caro d'Admeto, e la divina
in fra le donne Alcesti il partorìo,
delle figlie di Pelia la più bella.
Di Metone, Taumacia e Melibèa
e dell'aspra Olizone era venuto
con sette prore un fier drappello, e carca
di cinquanta gagliardi era ciascuna,
sperti di remo e d'arco e di battaglia.
Famoso arciero li reggea da prima
Filottete; ma questi egro d'acuti
spasmi ora giace nella sacra Lenno,
ove da tetra di pestifer angue
piaga offeso gli Achei l'abbandonaro.
Ma dell'afflitto eroe gl'ingrati Argivi
ricorderansi, e in breve. Intanto il fido
suo stuol si strugge del desìo di lui,
ma non va senza duce. Lo governa
Medon cui spurio figlio ad Oïlèo
eversor di città Rena produsse.
Que' poi che Tricca e la scoscesa Itome
ed Ecalia tenean seggio d'Eurito,
han capitani d'Esculapio i figli,
della paterna medic'arte entrambi
sperti assai, Podalirio e Macaone.
Fan trenta navi di costor la schiera.
Ormenio, Asterio e l'iperèe fontane,
e del Titano le candenti cime
i lor prodi mandâr sotto il comando
del chiaro figlio d'Evemone Eurìpilo
da quaranta carene accompagnato.
D'Argissa e di Girton, d'Orte e d'Elona
e della bianca Oloossona i figli
procedono suggetti al fermo e forte
Polipete, figliuol di Piritòo,
del sempiterno Giove inclito seme;
e generollo a Piritòo l'illustre
Ippodamìa quel dì che dei bimembri
irti Centauri ei fe' l'alta vendetta,
e li cacciò dal Pelio, e agli Eticesi
li confinò. Né solo è Polipete,
ma seco è Leontèo, marzio germoglio
del Cenìde magnanimo Corone.
e questa è squadra di quaranta antenne.
Venti da Cifo e due Gunèo ne guida
d'Enïeni onerose e di Perebi,
franchi soldati, e di color che intorno
alla fredda Dodona avean la stanza,
e di quelli che solcano gli ameni
campi cui l'onda titaresia irriga,
rivo gentil che nel Penèo devolve
le sue bell'acque, né però le mesce
con gli argenti penèi, ma vi galleggia
come liquida oliva; ché di Stige
(giuramento tremendo) egli è ruscello.
Ultimo vien di Tentredone il figlio
il veloce Protòo, duce ai Magneti
dal bel Penèo mandati e dal frondoso
Pelio. Il seguìan quaranta navi. E questi
fur dell'achiva armata i capitani.
Dimmi or, Musa, chi fosse il più valente
di tanti duci e de' cavalli insieme
che gli Atridi seguîr. Prestanti assai
eran le ferezïadi puledre
ch'Eumèlo maneggiava, agili e ratte
come penna d'augello, ambe d'un pelo,
d'età pari e di dosso a dritto filo.
Il vibrator del curvo arco d'argento
Febo educolle ne' pïerii prati,
e portavan di Marte la paura
nelle battaglie. Degli eroi primiero
era l'Aiace Telamonio, mentre
perseverò nell'ira il grande Achille,
il più forte di tutti; e innanzi a tutti
ivan di pregio i corridor portanti
l'incomparabil Tessalo. Ma questi
nelle ricurve navi si giacea
inoperoso, e sempre spirante ira
contro l'Atride Agamennóne. Intanto
lunghesso il mare al disco, all'asta, all'arco
i suoi guerrieri si prendean diletto.
Ozïosi i cavalli appo i lor cocchi
pasceano l'apio paludoso e il loto,
e i cocchi si giacean coperti e muti
nelle tende dei duci, e i duci istessi,
del bellicoso eroe desiderosi,
givan pel campo vagabondi e inerti.
Movean le schiere intanto in vista eguali
a un mar di foco inondator, che tutta
divorasse la terra; ed alla pesta
de' trascorrenti piedi il suol s'udìa
rimbombar. Come quando il fulminante
irato Giove Inarime flagella
duro letto a Tifèo, siccome è grido;
così de' passi al suon gemea la terra.
Mentre il campo traversano veloci
gli Achei, col piè che i venti adegua, ai Teucri
Iri discese di feral novella
apportatrice, e la spedìa di Giove
un comando. Tenean questi consiglio
giovani e vecchi, congregati tutti
ne' regali vestiboli. Mischiossi
tra lor la Diva, di Polìte assunta
l'apparenza e la voce. Era Polìte
di Priamo un figlio che, del piè fidando
nella prestezza, stavasi de' Teucri
esploratore al monumento in cima
dell'antico Esïeta, e vi spïava
degli Achivi la mossa. In queste forme
trasse innanzi la Diva, e al re conversa,
Padre, disse, che fai? Sempre a te piace
il molto sermonar come ne' giorni
della pace; né pensi alla ruina
che ne sovrasta. Molte pugne io vidi,
ma tali e tante non vid'io giammai
ordinate falangi. Numerose
al pari delle foglie e dell'arene
procedono nel campo a dar battaglia
sotto Troia. Tu dunque primamente,
Ettore, ascolta un mio consiglio, e il poni
ad effetto. Nel sen di questa grande
città diversi di diverse lingue
abbiam guerrieri di soccorso. Ognuno
de' lor duci si ponga alla lor testa,
e tutti in punto di pugnar li metta.
Conobbe Ettorre della Dea la voce,
e di subito sciolse il parlamento.
Corresi all'armi, si spalancan tutte
le porte, e folti sboccano in tumulto
fanti e cavalli. Alla città rimpetto
solitario nel piano ergesi un colle
a cui s'ascende d'ogni parte. È detto
da' mortai Batïèa, dagl'immortali
tomba dell'agilissima Mirinna;
ivi i Teucri schierârsi e i collegati.
Capitan de' Troiani è il grande Ettorre,
d'eccelso elmetto agitator. Lo segue
de' più forti guerrier schiera infinita
coll'aste in pugno di ferir bramose.
Ai Dardani comanda il valoroso
figliuol d'Anchise Enea cui la divina
Venere in Ida partorì, commista
Diva immortale ad un mortal; ned egli
solo comanda, ma ben anco i due
Antenòridi Archìloco e Acamante
in tutte guise di battaglia esperti.
Quei che dell'Ida alle radici estreme
hanno stanza in Zelèa ricchi Troiani
la profonda beventi acqua d'Asepo,
Pandaro guida, licaonio figlio,
cui fe' dono dell'arco Apollo istesso.
Della città d'Apesio e d'Adrastèa,
di Pitïèa la gente e dell'eccelsa
ferèa montagna han duci Adrasto ed Anfio
corazzato di lino, ambo rampolli
di Merope Percosio. Era costui
divinator famoso, ed a' suoi figli
non consentìa l'andata all'omicida
guerra. Ma i figli non l'udir; ché nero
a morir li traea fato crudele.
Mandâr Percote e Prazio e Sesto e Abido
e la nobile Arisba i lor guerrieri,
ed Asio li conduce, Asio figliuolo
d'Irtaco, e prence che d'Arisba venne
da fervidi portato alti cavalli
alla riviera sellentèa nudriti.
Dalla pingue Larissa i furibondi
lanciatori pelasghi Ippòtoo mena
con Pilèo, bellicosi ambo germogli
del pelasgico Leto Teutamìde.
Acamante e l'eroe duce Piròo
i Traci conducean quanti ne serra
l'estuoso Ellesponto; ed i Cicòni
del giavellotto vibratori, Eufemo
del Ceade Trezeno alto nipote;
poi Pirecme i Peòni a cui sul tergo
suonan gli archi ricurvi, e gli spedisce
la rimota Amidone, e l'Assio, fiume
di larga correntìa, l'Assio di cui
non si spande ne' campi onda più bella.
Dall'èneto paese ov'è la razza
dell'indomite mule, conducea
di Pilemene l'animoso petto
i Paflagoni, di Citoro e Sèsamo
e di splendide case abitatori
lungo le rive del Partenio fiume,
e d'Egiàlo e di Cromna e dell'eccelse
balze eritine. Li seguìa la squadra
degli Alizoni d'Alibe discesi,
d'Alibe ricca dell'argentea vena.
Duci a questi eran Hodio ed Epistròfo,
e Cromi ai Misii e l'indovino Ennòmo.
Ma con gli augurii il misero non seppe
schivar la Parca. Sotto l'asta ei cadde
del Pelìde, quel dì che di nemica
strage vermiglio lo Scamandro ei fece.
Forci ed Ascanio dëiforme al campo
dall'Ascania traean le frigie torme
di commetter battaglia impazïenti.
Di Pilemene i figli Antifo e Mestle,
alla gigèa palude partoriti,
ai Meonii eran duci, a quelli ancora
che alla falda del Tmolo ebber la vita.
Quindi i Carii di barbara favella
di Mileto abitanti e del frondoso
monte de' Ftiri e del meandrio fiume
e dell'erte di Mìcale pendici.
Anfimaco a costor con Naste impera,
figli di Nomïon, Naste un prudente,
Anfimaco un insano. Iva alla pugna
carco d'oro costui come fanciulla:
stolto! ché l'oro allontanar non seppe
l'atra morte che il giunse allo Scamandro.
Ivi il ferro achilleo lo stese, e l'oro
preda del forte vincitor rimase.
Venìan di Licia alfine, e dai rimoti
gorghi del Xanto i Licii, e li guidava
l'incolpabile Glauco e Sarpedonte.