15. LUCI E TENEBRE (REV)

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Ormai mancava davvero poco alla sua esecuzione.

Giorni o, al massimo, qualche settimana e prima di porre fine alla sua esistenza. Gli avevano ordinato, come ultimo compito, quello di far soffrire così tanto Joshua da fargli rinnegare la sua fede e bestemmiare il suo Dio.

Era così che Acab passava le notti insonni a sorvegliare quel martire, colpendosi ripetutamente la fronte col pugno chiuso della mano destra, sentendo serpeggiare nelle viscere un opprimente sensazione di morte che lo avvolgeva fin nelle midolla.

Non poteva certo deludere la sua famiglia, la più potente del mondo e quella che aveva ricevuto il potere di gestire l'economia mondiale.

Lui non seppe mai nulla dei loro affari, né si sarebbe mai sognato di chiedere spiegazioni a riguardo.

Non poteva fare domande, né sui prigionieri, né sui bambini urlanti che gli passavano davanti; men che meno mostrarsi debole, perché il suo cuore "era di ghiaccio e di ghiaccio doveva restare".

Era uno dei comandi del loro Signore.

Il loro Signore: senza nome e senza volto; molto diverso dal Signore dei suoi prigionieri, che aveva il volto di quei credenti e un Nome che non era consentito nominare.

Quel suo Signore aveva scritto le pagine del Libro delle Tenebre, col sangue dei martiri perpetrati in secoli e millenni di potenza concessagli dagli uomini per mano del gruppo Lucifer.

«Solo Colui che non possiamo nominare, e qualche suo figlio, ha rinunciato ai Regni che abbiamo avuto in sorte dal nostro Signore, caro Acab.» gli disse un giorno suo padre Judas; insieme a quelle parole ne balenarono altre nella sua mente tortuosa: «Ora quel pastore Simon si è messo ad insegnare ai suoi seguaci come fare della sana politica e, questo, al nostro Signore non piace per niente, mi hai capito Acab?» gli aveva detto a denti stretti, stringendogli il mento con tre dita «Faresti bene a velocizzare la tua trasformazione, o finirai male, anche tu.»

Quella trasformazione, la trasfigurazione in una bestia feroce, era il prodromo del passaggio al livello successivo.

Lui, quel livello, l'aveva passato, alla fine.

Fu quel giorno dell'umiliazione alla mensa dell'università, dove Ariel gli aveva calpestato la dignità.

Ariel...

Forse era lei la chiave di volta: la soluzione a tutti i suoi tormenti nella pianificazione della distruzione di Joshua.

Dopo tutto, era successo tutto a causa di lei; per colpa e merito suo, l'anima di Acab era stata messa definitivamente nelle mani del loro Signore.

Era successo la notte alla Cattedrale delle Sette Chiese, quando, dopo aver ceduto al Nome pronunciato dalla ragazza, Acab era stato trasportato dal padre al cospetto del Signore delle tenebre, per partecipare ai riti scabrosi delle oscurità, dove gli occhi umani non vorrebbero mai arrivare e dove l'odore e il suono di rivoli di sangue strisciante permea le pareti, accompagnato dai lamenti e dalle urla agghiaccianti degli innocenti.

Lì, dove ogni sera, scendeva da quei gradini ferrosi, svegliando Joshua col rumore delle sue suole.

Quella sera si era seduto nel penultimo gradino e si era acceso la sua sigaretta, soffiando fuori dalle labbra una nube di fumo grigiastro.

Aveva poggiato il capo al muro di pietra, prima di piegarsi in due e poggiare il gomito sul ginocchio picchiandovi la fronte sul pugno.

Non voleva morire.

Non in quel modo.

Avrebbe voluto trovare un appiglio a cui aggrapparsi per non morire; una soluzione semplice per fare quel che gli chiedevano. A volte, però, quei credenti erano così duri da far crollare, che, alla fine, sopraggiungeva la morte.

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