Un nuovo inizio

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1.

Il sole si affacciava già all'orizzonte, timidamente; facendosi largo tra i mille rami del bosco vicino a casa sua, colorava le poche nuvole nel cielo di un rosso acceso, rendeva qualcosa di così celestiale simile alle caduche foglie terrene, tremule nell'ultimo attimo di vita sul tramontare dell'estate. Nonostante questo, lei si sentiva piena di vita; un cuore palpitante in un corpo ancora troppo giovane, che non aveva mai conosciuto il vero dolore, sebbene a 14 anni ci si senta già vecchi ed esperti.
La notte le era parsa eterna. L'aveva trascorsa ripensando a tutto ciò che stava lasciando, preoccupata e ansiosa di vivere un nuovo inizio.
Non erano ancora le 7 ed i suoi occhi erano spalancati ormai da ore. Ripensava al periodo delle medie, di certo il più bello sino a quel momento. Poteva ancora sentire le loro voci, quelle delle sue inseparabili amiche, ormai ex. Solo tre anni prima aveva dormito a casa di una di loro; lo ricordava come se fosse accaduto ieri: Anna, Beatrice, Ginevra e lei, vicine nel letto matrimoniale per un pijama party, al caldo, mentre fuori nevicava; avevano giurato che non si sarebbero mai lasciate: "amiche per sempre" aveva esclamato Bea. Promesse al vento, perse nel buio di una notte lontana, morte, ma al tempo non poteva ancora saperlo; sembrava tutto così vero, tutto così possibile. Sorrise riportando alla memoria quel ricordo sepolto da tempo; un momento di gioia, di risate cui aveva fatto seguito un litigio senza esclusione di colpi e di pugni sotto la cintura, tra ragazze, ce ne sono sempre troppi. Era stata proprio lei, Bea, la stessa persona che aveva dato vita a quella promessa eterna, ad infrangerla, a dimostrare che tutto è infinito, finché non finisce. E per cosa? L'unica ragione per cui si è disposti a fare follie: l'amore. Era vero amore? Chi poteva dirlo? Forse era soltanto voglia di avere qualcuno tutto per sé, necessità di soddisfare un bisogno di protezione. Così aveva finito per diventare la tipa di Andrea, un ragazzo più grande di tutte loro di un anno. No, non poteva esserlo. L'amore aggiusta e non rompe, unisce e non divide. Evidentemente Andre, come l'avevano soprannominato Bea e Gine, non era un vero principe azzurro. Distesa nel letto, si chiese come erano potute arrivare quasi a mettersi le mani addosso quelle sue ex amiche. Sentì lo stomaco contrarsi ed il dolore salirle fino agli occhi, fino a trasformarsi in lacrime calde, che sfregiavano il suo tenero viso. Doveva accettare di averle perse, forse per sempre. Si concentrò di nuovo sui ricordi che affioravano, nell'impossibilità di scacciarli, quasi loro prigioniera. Durante quel pijama party, in una fredda notte d'inverno, avevano parlato di lui, di quanto fosse bello, così tanto, che poco più sarebbe stato intangibile. L'aveva visto per la prima volta Ginevra, nei corridoi della scuola, quando ancora frequentavano la prima media, ed era rimasta imbambolata, persa nei suoi sogni, dai quali era stata bruscamente risvegliata quando lui aveva alzato lo sguardo, forse sentendosi osservato, e si erano guardati per un fugace, interminabile istante. Era arrossita tutta, abbassando gli occhi e correndo via. Sentiva la pelle del volto caldissima, credeva che di lì a poco avrebbe potuto prendere fuoco. Alle sue amiche ne avrebbe poi parlato qualche giorno dopo, dicendo di essersi innamorata di lui, del suo sguardo profondo, del suo viso dolce. Avrebbe voluto far vedere a tutte quante "l'amore della sua vita, la persona con cui avrebbe avuto dei figli un giorno e con cui si sarebbe sposata". Quello fu l'errore più grande. Durante un intervallo, mentre erano tutte insieme, lo vide apparire. Gine si fece subito tutta rossa e bisbigliò qualcosa, che doveva essere un invito alla altre a voltarsi. Purtroppo Beatrice si girò e capì cosa provava la sua amica per Andrea, ma cercò di nasconderlo al mondo.
Quanti ricordi di un passato che pareva così vicino, eppure così lontano. Con una lacrima che le segnava il viso come una ruga destinata a sparire, si girò nel letto sfatto, fino a mettersi su di un fianco. A lato della testiera c'era un piccolo comodino e sopra di esso uno dei ricordi più belli dei tempi delle medie: il libro "nomi e significati", che le riportò alla mente l'ennesimo momento di risate che avrebbe solo finito per trasformarsi in un nuovo dolore. La ributtò di nuovo a tre anni prima, qualche giorno dopo aver visto Andrea. Era il suo compleanno e lo passò con le sue amiche del cuore. Il pijama party era ancora lontano da venire e Bea non aveva ancora mostrato i segni che le aveva lasciato quell'incontro con, come diceva Gine, "l'amore della mia vita"; a ben ripensarci, però, sussultava tutte le volte che lo sentiva nominare, ma nessuna se ne accorse, finché non fu toppo tardi. In quell'occasione le avevano regalato il libro dei nomi, tutte e tre insieme, da buone amiche come erano. Trascorsero la sera a leggerlo e divertirsi, ma ben presto giunsero ad Andrea. Annì lo lesse ad alta voce: -qui c'è scritto: "uomo virile, forte, coraggioso e indomito"-, poi si lasciò sfuggire un -certo che "l'amore della tua vita" non è solo bello...-. Scoppiarono a ridere in coro, mentre Ginevra arrossiva. Erano troppo distratte per accorgersi che non fu l'unica.
Ancora nel letto, il tempo pareva non trascorrere mai, mentre le medie erano volate. Era prigioniera di questo vortice di ricordi, che come un uragano non faceva altro che scagliarla da una parte all'altra del tempo: dal palpitante presente fino ad un dolce passato, senza la possibilità di dimenticare l'immenso dolore nel mezzo. Quando tutte quelle risate si erano trasformate in stridule urla di accusa? Erano dovuti trascorrere quasi due anni dal pijama party. Bea era sempre più strana, mentre Gine sempre più triste, poiché il suo amore, infatti non aveva mai smesso di esserlo, aveva iniziato una nuova vita al Liceo. Non l'aveva più rivisto dall'ultimo giorno dell'anno scolastico passato e, ora che erano finite le vacanze, le mancava come non mai. Nonostante non vi avesse mai parlato, vederlo nei corridoi le dava un senso di pace, di sicurezza. Uno sguardo di nascosto era sufficiente a farla infiammare, fino a farla diventare paonazza, fino a lasciarla senza alcun contatto con la realtà, dispersa in un mondo di sogni e speranze, che come il più arido dei deserti non faceva altro che inghiottirla e trattenerla con i suoi vani miraggi di una futura vita con lui. Un giorno uguale a tutti gli altri, ordinario e noioso, si sarebbe trasformato nel migliore e al contempo peggiore: un amore ritrovato e subito dopo perduto. Stavano uscendo tutte e quattro insieme, fianco a fianco, finché, superati i cancelli della scuola, non sentirono Bea lanciare un gridolino di terrore e sparire alle loro spalle. Si voltarono insieme. Gli occhi di Gine splendettero di nuovo di un azzurro vivo, come ormai non accadeva più da tempo, per poi ingrigirsi e spegnersi per sempre: rivide l'amore della sua vita che si stagliava in tutta la sua bellezza e sorrideva, ma non a lei, e baciava delle morbide labbra, ma non le sue. Bea aveva preso il suo posto e si raggomitolava tra le sue braccia, come per non lasciarlo mai più, come se fosse il suo prezioso tesoro, il suo ossigeno. In quel giorno ci furono solo lacrime, ma non era altro che la calma prima della tempesta. La mattina successiva, le due amiche si affrontarono: una cercava di scusarsi e di spiegare, ma l'altra voleva solo vendetta. E così vennero infrante tutte le promesse, così Bea tradì colei che di più le voleva bene. Non tornò mai indietro, anzi, divenne sempre più distaccata, come se le medie non le appartenessero più, come se ormai lei ne vivesse al di fuori, con l'amore della sua vita, Andrea.
Guardò il display del suo telefono; erano appena le 7:10 e la sua sveglia non sarebbe suonata prima di mezz'ora. Distesa nel letto, al dolore si sostituì la rabbia: come poteva Bea essere stata così egoista da abbandonare le sue migliori amiche e addirittura ferirne una? Le tornò di nuovo alla mente il compleanno, il libro, quando avevano letto di Beatrice: -adesso voglio sapere cosa dice su di me!- aveva esclamato, incitando qualcuna a leggere. Subito Annì, che aveva assunto dall'inizio della serata quell'incarico, fece scivolare le pagine tra le sue dita, fino a trovare il nome: -a quanto pare tu sei una ragazza "che rende beati"- aveva detto con voce interrotta dalle risate.
-Certo che sì, chi più di lei mi rende beata quando siamo insieme?- era intervenuta Gine, stringendola in un abbraccio fraterno come non ce n'erano più da quasi un anno. Ora, a ripensarci bene, qualcuno beato l'aveva reso di sicuro e chissà in quanti modi e quante volte.... Interruppe bruscamente i suoi pensieri. Non poteva credere a cosa era stata in grado di pensare; ne rimase stupefatta e attonita. Se avesse detto qualcosa del genere di fronte a sua madre, avrebbe probabilmente sentito le solite parole: "mi raccomando, lascia che le tue amiche si rovinino pure, tu invece fai ciò che è adatto alla tua età e lascia stare quei ragazzi, da te vogliono solo una cosa.... Arriverà poi il giorno, quando sarai più grande, in cui troverai l'uomo giusto per te, ma non per ora". Non aveva mai guardato i ragazzi. Forse qualcuno le era piaciuto un tempo, ma non si era mai sentita attratta da loro, non aveva mai cercato nulla in più di un'amicizia. Aveva trascorso le medie con le sue amiche e tutte erano d'accordo sull'argomento; sapeva che Gine non sarebbe mai andata oltre al parlare di Andre, ma non ne era più così certa. Fino ad un anno prima, infatti, sarebbe stata disposta a giurare che fosse lo stesso anche per Bea.
Si rigirò di nuovo nel letto, libera finalmente dai fantasmi del passato, ansiosa e vogliosa di iniziare la sua nuova vita, di lasciarsi alle spalle gli accadimenti dell'ultimo anno. Chissà come era il Liceo, chissà se davvero tutti volevano solo una cosa da quelle come lei, chissà che cosa avrebbe fatto se le fosse capitato di innamorarsi seriamente.... No, questo lo escludeva. Sua madre le aveva spiegato come va il mondo. Che scuola aveva scelto? Appassionata come era di nomi, non aveva avuto difficoltà al momento dell'iscrizione. Sul suo libro c'erano spesso dei segni strani, le derivazioni greche. Il classico era allora l'unica opzione, supportata poi dai genitori e dai loro amici, che continuamente lo esaltavano, perché "è un posto rispettabile", "l'ambiente è il meglio", "i professori sono senza dubbio i migliori" e altri cliché del genere. Stava finalmente per iniziare quella nuova avventura.
Vide un flebile raggio infiltrarsi tra gli spazi vuoti lasciati dalla tapparella, come per spiarla, come per scansionarla, simile al laser di uno dei migliori film di fantascienza degli anni '70. Era partito dalla sommità del suo capo, illuminandole i lunghi capelli di un biondo scuro, e poi, lentamente, era sceso agli occhi verdi, al naso delicato, alla bocca carnosa e sempre più in basso, sempre più nel profondo; sarebbe giunto dove nessuno era mai arrivato, alla cosa più preziosa per lei, a ciò che conservava per il vero principe azzurro, come da insegnamento di sua madre, se solo.... Un brusio proveniva dall'esterno della sua camera, da dietro la porta che teneva rigorosamente chiusa, per timore di vedere i mostri che al di fuori di quel suo angolo di paradiso si celavano. Si alzò rapidamente dal letto. Poteva chiaramente riconoscere le voci dei suoi genitori. Decise di uscire dal suo isolamento mentale, di lasciare che il sole illuminasse centimetro dopo centimetro le lenzuola sotto cui aveva tentato invano di addormentarsi durante la notte e di dare finalmente inizio alla sua nuova vita. Si diresse in cucina, da dove provenivano i rumori e li trovò lì: suo padre era seduto a tavola, intento a finire il suo toast, mentre sua madre camminava frettolosamente dal frigo, da cui aveva appena preso il cartoccio del succo d'arancia, fino ai fornelli, dove la caffettiera borbottava ormai da qualche secondo.
-Buongiorno a tutti- esordì entrando nella stanza, con il suo pigiama color rosa candido, largo, ma non abbastanza da non segnarle il piccolo seno sodo. Adesso si sentiva un'altra persona, non più la ragazza che piangeva nel letto; sorrideva come non mai, tanto da portare sua madre a chiederle cosa le fosse successo. Scosse la testa, come a dire "nulla".
-Io vado a lavoro, ci vediamo questa sera.- Suo padre uscì dopo averle dato un lieve bacio sulla fronte. Era da sempre abituata a queste cose: era una persona schiva e con lei non era mai riuscito ad instaurare un legame forte; rideva di rado e spesso passava fuori casa le sue giornate. Una volta, però, le era capitato di vedere una sua foto da giovane, mentre stringeva sua madre sorridendo. Solo da quel momento iniziò a credere che anche lui ne fosse capace.
-Ti preparo qualcosa per colazione?- le parole interruppero i suoi pensieri.
-No, mamma, ho ancora molto da fare prima di uscire.- disse avvicinandosi a lei; poi le diede un bacio sulla guancia, un abbraccio rincuorante e si diresse al bagno. -Grazie comunque...- quasi gridò nel tragitto.
Aveva ancora molto di cui occuparsi quella mattina. Il primo giorno di scuola è il più importante. La prima impressione che dai ai tuoi compagni è la cosa fondamentale, perché ti attribuiranno un cartellino che non ti lascerà mai durante i 5 anni del Liceo. Doveva ancora farsi la doccia, lavarsi i capelli, che aveva deciso avrebbe portato sciolti, mettersi un po' di trucco leggero e scegliere tra tutti i suoi vestiti i migliori; doveva essere perfetta e doveva assolutamente fare tutto prima delle 8:30, l'ora X, in cui sarebbe dovuta andare di fronte alla scuola per la formazione delle classi. Non sarebbe però rimasta sola, perché anche Annì si era iscritta nello stesso istituto. Sperava di essere in classe con lei: la sua ansia era in parte anche paura di quel nuovo mondo, lo stesso che aveva corrotto Bea. Il cuore riprese a batterle all'impazzata: solo più 40 minuti.
Presto arrivò il momento più difficile: come vestirsi? Aprì il suo armadio che straripava di abiti. Ne aveva di ogni genere e colore, talora aveva anche la stessa maglia, ma di diverse tonalità. Dopo diversi minuti decise di prendere il paio di jeans migliore che aveva e una maglia a collo alto, abbastanza pesante. Si specchiò e per la prima volta davvero si piacque. Non ci aveva mai fatto troppo caso, ma ora si sentiva diversa. Rispettava sua madre e tutto quello che diceva, non aveva alcuna intenzione di essere provocante o attrarre gli sguardi dei ragazzi, però voleva che chi la guardasse pensasse bene di lei. Una cura tale della sua immagine le era totalmente sconosciuta, nonostante il buon gusto che aveva indubbiamente sempre avuto. I pantaloni le avvolgevano il sedere in modo leggiadro e delicato, ma in parte la maglia lo nascondeva, scendendo fino a metà del gluteo. I capelli morbidi le ricadevano sulle spalle, incorniciando il viso dolce e giovanile, come la cornice con il quadro; in questo caso, il quadro era della miglior fattura. Non aveva avuto bisogno di fondotinta, perché il sole preso d'estate ancora si mostrava in una abbronzatura su tutto il corpo, tenue, sul punto di svanire; aveva invece deciso di mettere un po' di ombretto, di un colore scuro, che facesse risaltare i suoi occhi verdi, profondi. Se davvero questi sono lo specchio dell'anima, la sue era pari ad un vasto prato rigoglioso, come quelli che si fotografano in primavera, quando la natura ormai si è svegliata e vive la sua prima giovinezza, pienamente sbocciata e ancora ignara della fine.
Era tutto pronto. Prese la giacca e lo zaino e si diresse nel cortile, dove sua madre già la attendeva in macchina. Uscì dalla porta di casa. Il sole le colpì il viso e lei sorrise, rivolgendovi lo sguardo, assaporando il mondo che iniziava a svegliarsi, ascoltando il nuovo trambusto cittadino post estivo. Credette di non aver mai vissuto giornata più bella. La limpidezza del cielo accompagnava la limpidezza dei suoi occhi, la accompagnava e vi si fondeva, come la natura con l'etere, l'immanente con il trascendentale. Salì sull'auto, mentre sua mamma la guardava sorridendo lei stessa. La scuola non distava più di 15, forse 20 minuti da casa sua, ma era il primo giorno di Liceo ed un vero genitore non se lo perderebbe per nulla al mondo.
Si fermò in una piazza a pochi metri dall'istituto.
-Mi raccomando, fai la brava e questa sera mi racconterai come è andata. Come sta crescendo in fretta la mia bambina...- gli occhi si fecero vagamente vitrei.
-Certo mamma, ti voglio bene.- e scese dalla macchina, zaino in spalla, pronta a dirigersi all'ingresso.
Sentiva un rumore di mille e più voci ed ebbe presto modo di capire da dove provenivano. Giunta nei pressi, vide nello spazio davanti l'entrata, che si allargava, quasi a formare una piazzetta, tantissimi ragazzi e ragazze di tutte le età e anche qualche genitore dietro tutti. Ai lati dei due grandi battenti erano state installate due casse, collegate ad un microfono che il Preside stringeva nelle mani, mentre parlava con dei professori sulla sommità delle scale. Da lì avrebbe chiamato ogni singolo alunno del primo anno, per suddividerli nelle diverse sezioni, e le classi già formate dei successivi, per chiedere di accomodarsi nelle aule designate.
Non ebbe tempo di riprendersi dal guardare tutto ciò che si sentì afferrare e abbracciare da qualcuno. La riconobbe subito dal profumo inconfondibile: -Annì!- esclamò ridendo.
-Hai sentito? Mi sono giunte voci che saremo insieme anche quest'anno.- le sussurrò allentando lievemente l'abbraccio.
La vide in faccia, una faccia angelica, bianca come il latte e circondata da una folta chioma di capelli nero corvino. Dopo essersi salutate, ancora chiacchierando delle vacanze e del fatto di essere agitate, si avvicinarono alla marea di studenti, per confondervisi.
Non dovettero aspettare molto prima che il microfono venisse acceso e si iniziassero a chiamare le singole classi, a partire dalle quinte, poi scalando. Quando terminarono quelle già formate, nel piazzale rimanevano non più di 60 ragazzi, i novizi, i primini, tra cui c'erano anche loro due, mano nella mano, con il cuore impazzito. Un primo girone di chiamate e così via. Dopo una decina di minuti, venne annunciata la formazione della sezione prima beta, con 18 alunni in totale. Seguì una serie di nomi letti con voce incerta, storpiati, tra cui vi era anche la piccola Anna. Ne vennero chiamati 17, ne restava solo uno. Pregava intensamente che le voci fossero vere, che davvero potesse essere con la sua amica. Il Preside teneva in una mano un sottile plico di fogli, che si piegava in ogni direzione su spinta della minima folata di vento. Si aggiustò i sottili occhiali che gli stavano scivolando sul naso, portò nuovamente il microfono alla bocca e, strizzando gli occhi, finalmente lo lesse: -Chiara...- non ebbe bisogno di altro; subito iniziò a muoversi verso la scalinata. Salì i primi gradini, salutando la massima autorità dell'istituto con un timido e bisbigliato buongiorno. Prima di varcare la soglia, si voltò ancora una volta indietro. In lontananza poteva vagamente scorgere, in un piccolo scorcio tra le case illuminate da un ormai rinvigorito sole, il tetto di tegole rosse della sua vecchia scuola media; guardò un'ultima volta il mondo che stava abbandonando. Adesso non era più suo, le appariva lontano, sconosciuto; adesso che era stata chiamata, apparteneva al Liceo. Sentire il suo nome era stato quasi come vivere un nuovo Battesimo, dopo una nuova nascita. Si voltò verso le porte alte e nere e le varcò, con passo incerto e tremante, per raggiungere i suoi compagni che già la attendevano nell'atrio. Sarebbe divenuta parte di quel mondo, ormai gli apparteneva e si sentiva pronta, era pronta. Ci aveva a lungo pensato e voleva iniziare la sua nuova vita, ma non poteva ancora immaginare che peso la parola "nuova" avrebbe assunto di lì a poche ore.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Aug 22, 2019 ⏰

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