Ne ho viste tante, in ogni mese e giorno dell'anno. Periodi diversi e distinte caratteristiche, ma sempre e comunque tutto tremendamente costante: una continua ripetizione di abbandoni, di parole scambiate ma ovviamente mai capite, di saluti dati come un "arrivederci" ma plasmati effettivamente e consciamente, il più delle volte, come addii.
Alcune erano giovani, altre meno; alcune erano belle, altre no. Alcune erano abbienti, altre povere. Alcune erano curate, altre erano trasandate. Ne ho viste di tutti i tipi: dalle più aggraziate alle più goffe, alle più bionde ed alle più more; dalle più sane alle più fragili, dalle più pulite alle più sporche e spesso, tra l'altro, chiaramente violentate. Tanti pesi diversi, tante altezze differenti.
Alcune lasciavano collanine, rosari, magari piccoli bracciali. Altre lasciavano un filino od un mezzo bottone, piangendo o trattenendosi. Alcune pregavano, altre bestemmiavano. Alcune tremavano, altre erano decise. Alcune promettevano, altre facevano il più velocemente possibile, cercando di non perdete tempo. Qualcuna parlava, qualcun'altra credeva fosse un'idiozia.
Chi aveva la colpa di essersi concessa alla persona sbagliata, chi invece non poteva sfamarne uno in più e chi, ancora, era troppo giovane.Una cosa in particolare mi è rimasta sempre impressa e non è curioso notare che sia proprio quella comune a tutte quante loro: la sofferenza pari a quella di bestie che, una volta posti sulla ruota e giratala o passati tramite le fessure della soprastante grata ad una specifica addetta, avrebbero per sempre perso i loro bambini, la loro metà, il tutto immerso in un indistinguibile limbo di emozioni, macchiate soprattutto dalla paura del giudizio di Dio nei confronti di loro e delle loro indesiderabili creature e, al contempo, dalla speranza che in realtà tutto fosse volto alla salute e al benessere del bambino e, quindi, potesse essere peccato forse perdonabile se non per le colpevoli stesse, per chi del peccato era stato casuale vittima.
Ognuna con una storia impossibile da raccontare, ognuna con segreti troppo sconvenienti da rivelare. Ognuna con paure, ognuna con speranze. Ognuna con la voglia di scappare, ognuna con la paura di non tornare in tempo. Ognuna con dolori atroci, ognuna con un passato indimenticabile, ognuna salendo i miei gradini con la tempra della persona buona, manifestando la tenacia di chi cerca di fare la cosa giusta ed il terrore di crede di star sbagliando tutto.
Ognuna con una storia nascosta e magari difficile da comprendere, imbarazzante e forse sconveniente, non condivisibile da tutti ma sempre da rispettare e sostenere: rispetto e consolazione come quelli che ho sempre cercato di dare io stessa ogni volta che, percependo la differenza del peso di tutti coloro che, scendendo i gradini che mi costituiscono, se ne andavano con un cuore rimasto a metà, ero solita manifestare sospirando -e sono sicura molte mi abbiano sentita- "non abbiate paura e non piangete, tutto si può risolvere e capire: lo Spedale degli Innocenti è qui per voi e sempre sosterrà e cullerà le vostre creature in ogni passo che faranno: non disperate, in verità non sentiranno mai d'esser figli di nessuno, care anime senza colpa e per sempre madri meravigliose".
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Sulla scalinata dell'Innocenza
Historical FictionSecondo un particolare punto di vista narrativo, questo breve racconto tenta di ripercorre uno degli attimi più tristemente difficili ma al contempo frequenti della Firenze post-cinquecentesca, quello dell'abbandono di figli presso lo Spedale degli...