Prologo

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Era un giorno di pioggia quando sono morta. Mi ricordo le gocce che cadevano e si sfracellavano sulla mia pelle come aghi pungenti. Ma non faceva male, anzi, era una sensazione bella, guardare il grigio vuoto sopra di me e sentire che anche il cielo piangeva quel giorno.

Il male vero, reale, però esisteva, ed era quello che sentivo dalla freccia conficcata nel mio petto. Quello si' che si poteva definire dolore.
Guy mi rassicurava quel pomeriggio. Mi ripeteva che era insieme a me, che non mi avrebbe lasciata e che mi avrebbe trovato, qualsiasi il posto in cui fossimo andati, lui mi avrebbe trovato.
Le sue braccia mi tenevano stretta e io lo guardavo e respiravo, respiravo e tenevo stretta la sua camicia nera, scolorita dal tempo. Non volevo lasciare quella vita, quella foresta, quegli alberi rossi e verdi e non volevo lasciare lui.
Lui, l'unica persona che io abbia mai amato in vita, l'avrei lasciato solo di li' a poco e non potevo farci niente.

Guy quel pomeriggio era piegato su di me, mi aveva fatto sdraiare sulle sue ginocchia e con un braccio mi teneva stretta a se. "Rimani", ripeteva.
Ed io, avevo paura. Una paura che non avevo mai provato prima. Tremavo e il sangue sgorgava sempre di più, sentendo i polmoni annegare.
Non avevo aria. Non riuscivo a respirare ed era come se fossi sott'acqua, sul fondo di un oceano da cui non riuscivo a risalire.
Ripetevo il suo nome sottovoce invano. Non avrei chiuso gli occhi. No, gli avrei lasciati aperti.

E così l'ultima cosa che io vidi prima di morire fu' l'amore negli occhi di quel ragazzo.

Il Diavolo CadutoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora