La Guerra per l'Amore

55 15 14
                                    

Un proiettile mi fischiò accanto all'orecchio e s'infranse sul muro, sparando schegge da tutte le parti. Dopo un bruciore sul collo temetti di essere stato ferito. Non feci in tempo a rallegrarmene che un'esplosione vicina mi gettò a terra. Non avrei mai immaginato che la guerra fosse così, l'unica che conoscevo era quella dei videogiochi. 

Riuscii a rialzarmi a fatica, aggrappandomi alla maniglia della porta d'ingresso vicino alla quale era stato scaraventato, ancora stordito dal forte boato e con un taglio sanguinante all'altezza del labbro superiore, provocato da un frantume di vetro. Uscii claudicante dal rifugio, tenendomi dolorante la spalla sinistra, probabilmente slogata per il forte impatto al suolo. I miei occhi non riuscivano a scorgere niente attraverso la fittissima nebbia di fumo, causata dall'esplosione dell'ordigno in vicinanza. Sebbene temporaneamente privo della vista, il mio udito sentiva sempre più distanti i colpi d'arma da fuoco. I nemici erano in fuga. La sagoma di Shaila in lontananza fu la prima cosa che riuscì a scorgere al diradarsi di quella folta foschia nera. Correva veloce verso l'alloggio dei giornalisti.

Shaila la conobbi il giorno prima della spedizione in Siria, in un luogo a me caro, la Passerella. Lì nacque la mia passione per l'arma. Fin da bambino, dopo essere uscito da scuola, sedevo su quei maestosi massi irregolari che si ergevano delle acque e la circondavano, ad osservare gli aerei bellici volare e i durissimi allenamenti dei militari in spiaggia. Nella mia mente immaginavo grandi battaglie, proprio come quelle che simulavo con i miei soldatini giocattolo. Quel giorno ero proprio lì, seduto comodamente sul mio scoglio preferito come fossi sulle gambe di mia madre, a contemplare la bellezza di quel mare di cui mi sentivo padrone e a rimembrare i miei ricordi infantili, sapendo dentro di me che forse sarebbe stata l'ultima volta che avrei messo piede su quella Passerella. Una ragazza, una gran bella ragazza si sedette un paio di scogli più distante da me. Alta, snella, vestita completamente in nero. Un viso angelico, nel quale esaltavano quei grandi occhi azzurri in cui ci si perdeva, come essere nel bel mezzo dell'oceano. Occhi azzurri affiancati dall'inusuale color rame dei suoi lunghi capelli, lasciati sciolti, liberi di essere modellati dal vento, con una frangia a tendina che le si poggiava leggiadra sulla fronte. Teneva le mani sulle ginocchia, con le gambe incrociate e lo sguardo perso nel vuoto. Sembrava pensierosa, quasi preoccupata. Mentre il rumore dell'acqua che s'infrangeva violenta contro i faraglioni dominava la scena, rimasi per più di qualche istante a guardarla. Provai a rompere quel silenzio profondo che la attanagliava.

– Strana una giornata così ventosa in pieno agosto, vero? – 

Lei si girò verso di me rifilandomi un'occhiata scettica, poi si voltò nuovamente verso il mare. 

Non ottenni nessuna risposta.

– A cosa pensi? – le chiesi con aria impavida.

– Non ho nulla da dire ad un estraneo – mi rispose diffidente.

Mentre gli ingranaggi nella mia testa lavoravano per formulare una contro risposta, qualche improvvisa goccia di pioggia cominciò a cadere da quel cielo stranamente nuvoloso, considerato il periodo dell'anno. In pochi istanti uno scroscio d'acqua si abbatté su di noi.

– Se non vuoi diventare uno scolapasta che cammina, puoi sempre rifugiarti qui – le dissi scherzoso mentre spalancavo l'ombrello che, saggiamente, le previsioni meteo mi avevano indotto a portare d'appresso.

– Non saranno di certo due gocce di pioggia a mettermi paura – controbatté degnandomi di uno sguardo misterioso, freddo, che non faceva trapelare alcun tipo di sensazione, con un sorriso appena abbozzato in volto.

Così si alzò, andò via senza aggiungere altro, con i capelli completamente zuppi d'acqua che la rendevano simile a una dea scesa in terra. Troppo orgogliosa sembrava per poter accettare un passaggio sotto l'ombrello, tant'è che non feci nulla. Rimasi lì, fermo come un manichino, ad osservarla mentre si allontanava con passo rapido, coprendosi il capo con l'avvenente giubbotto di pelle nera che indossava. Prima di andare controllò l'orologio in scocca dorata che portava al polso destro, come se avesse qualcosa d'importante da fare. Non c'eravamo neanche presentati, ma conoscevo il suo nome, era inciso sulla nobile catenina d'oro che le si posava delicata all'altezza del collo. La sera prima della partenza i miei pensieri non facevano altro che ricadere di continuo su di lei. Una cosa decisamente inconsueta per un ragazzo di ventidue anni che sta per affrontare una guerra. La sua immagine mi scorreva perpetua davanti agli occhi, nitida come fosse realmente dinanzi a me. Neanche lontanamente potevo immaginare di rivederla solo qualche ora dopo proprio lì, in Siria, sul campo di guerra.

La Guerra per l'AmoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora