C'è qualcuno che ride ancora

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Mathis esce in silenzio dalla porta sul retro del circo. Percorre a passo lento le strade di Parigi, tenendosi il cappello ben calcato sulla fronte, nascondendosi il volto. Le strade sono sottili, buie, il leggero alito di vento che gli fa drizzare i peli sulle braccia trasporta l'odore acre di piscio e spazzatura.

Scuote la testa, mentre una goccia d'acqua gli cade sul naso arrossato, facendolo pizzicare. Comincia a piovere. Una piogga intensa, come se una cascata avesse appena deciso di riversarsi sulla testa di Mathis, che non fa una piega, non accenna ad un sospiro, mentre imbocca una delle strade di periferia.

Mette la mano fradicia nella tasca piena di buchi, tirando fuori un mazzo di chiavi. In realtà, proprio mazzo non si potrebbe chiamare. È più un anello arrugginito con due chiavi: quella di casa e quella della piccola cassapanca che contiene tutto ciò che ritiene di valore. La sua giacca elegante, con i bottoni neri e le tasche interne a quadri chiari, la sciarpa che sua madre aveva cucito per lui, anni fa, in lana, una vecchia tazza scheggiata di porcellana e un candelabro di ottone.

Tutto quello che ha fatto parte di una vita che ha perso da quando è tornato dalla guerra. Una vita che non esisteva più, spazzata via, mentre era sulla Marna a combattere.

La chiave gira a fatica nella toppa della porta, che si apre cigolando. Entra, guardandosi distrattamente alle spalle mentre richiude la porta. Sale le scale in silenzio e nel buio, i suoi passi leggeri quasi non risuonano lungo le rampe.

Arriva fino all'ultimo piano. Spinge la porta scura, senza maniglia, entrando in casa. Tutto quello che gli rimane, e tutto quello di cui ha bisogno. Un letto, un tavolo, la sua cassa e un lavandino. Accende la luce, che sfarfalla, illuminando con un'ombra opaca la piccola stanza. Si avvicina al lavandino, togliendosi il cappello.

Il trucco è colato sulla faccia a causa della pioggia. La pelle arrossata dalla pittura traspare sotto alla maschera bianca. Apre il lavandino, lasciando scorrere l'acqua scurita dalla ruggine, per poi sciacquarsi il volto. Passa le mani più volte, ignorando il fastidioso pizzicore della pelle secca, delle piaghe ai lati del naso e della bocca, dove la pelle si infossa e il colore resta intrappolato.

Raccoglie l'asciugamano colorato di mille sfumature diverse, dal rosso intenso al verde sbiadito. Se lo passa sul volto, togliendo la pittura che restava, guardandosi il volto allo specchio. Gli occhi sono stanchi e gonfi, le sopracciglia spelacchiate, la pelle rossa fino al collo, il naso di più.

Stancamente si trascina fino alla sedia, sedendosi mentre scricchiola disperata. La ignora, prendendo da in fondo al tavolo una bottiglia. La stappa, e beve un lungo sorso. Non è vino. Ricorda ancora il sapore del vino, quello che beveva al tavolo con la famiglia. Questo non è vino, è più amaro, e allo stesso tempo troppo dolce. Ma lo vendono a poco. E Mathis ha davvero poco.

Quando è soddisfatto e si sente lo stomaco pieno, versa un po' del liquido scuro sulla mano, passandolo sulla faccia, tra le piaghe, dove la pelle continua a bruciare. Prende un pacchetto di sigarette, poggiato quella mattina sul tavolo. Lo apre e le conta. Tre sigarette.

Ne tira fuori una mentre cerca con lo sguardo i fiammiferi. Sono sul letto, ma deve stringere gli occhi per riuscire a vedere la loro forma indistinta. Si alza, prendendoli. Apre il pacchetto, facendone strisciare con attenzione uno sul bordo. Il rumore gli ricorda molto quello del fucile, un secondo prima che parta il proiettile. Sciak. Il fiammifero si accende, mentre la fiamma danza al vento provocato dal suo respiro.

Lo avvicina alla sigaretta, accendendola. Ma non spegne il fiammifero. Lo osserva. Osserva come si alza leggero e sottile il fumo, come brucia lentamente il legno. Sposta lo sguardo sul tavolo, guardando il moncherino, privo di fuoco, ma che continua a bruciare. Strano come il fuoco non abbia ombra. Forse la luce stessa non può avere ombra, ma solo crearla.

Lo spegne con un soffio, per poi tirare lentamente dalla sigaretta. Assapora il tabacco, lasciando che il fumo raggiunga la gola, per poi farlo uscire dal naso. Gli piace fumare. Sentirne il sapore mentre respira sembra ricordargli ancora di essere vivo. Di respirare. Respirare sembra essere così scontato. Non lo sente mentre l'aria passa attraversa il suo corpo. Ma il tabacco lo sente. Pizzica, all'inizio. Poi diventa una carezza. Una leggera carezza che gli fa sentire ogni respiro.

Finisce di fumare la sigaretta in silenzio. E, in silenzio, torna a guardare la sua immagine allo specchio. Non la vede bene, ma questo non è un problema. Lui sa com'è fatto. Ma quel volto sfocato gli ricorda com'era fatto. Quando era lui ad andare a vedere il circo, a sorridere guardando i maghi far scomparire le carte e i giocolieri lanciare oggetti in aria, recuperandoli al volo. Ora invece lui è in quel circo, lo vive ogni giorno della sua vita.

René si sbaglia. Si sbaglia quando si ubriaca la sera, si sbaglia quando minaccia di impiccarsi, si sbaglia quando piange. Lui non è mai stato dall'altra parte. Lui non sa perché si trova lì. Non l'ha mai saputo, non lo sapeva nemmeno quando aveva un fucile in mano. Ma Mathis sa perché è lì. È la cosa più importante, più bella che esista al mondo. Vedere quelle facce paffute e rosee dei bambini sorridere, nonostante tutto quello che hanno visto, passato. Nonostante la guerra, vedere di nuovo qualcuno sollevare gli angoli della bocca e strizzare gli occhi mentre cercano di trattenersi.

Perché questo è importante. C'è qualcuno che ride ancora.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 29, 2019 ⏰

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