Nel villaggio, così come nella vita, ci sono donne di cui nessuno parla mai. Sono poco interessanti, poco appariscenti e non si sa bene quale sia la loro vera utilità. Le locandiere non sono fatte per la guerra, nonostante le braccia forti, le dita grassocce e la faccia gonfia. Non sono fatte nemmeno per la cura, nonostante la predisposizione all'ascolto. Loro le trovi a lustrare il bancone, madide di sudore, perché quel tronco invecchiato è come ciò che vedono allo specchio: non un coltello poetico e sensuale, ma un ciocco tagliato con l'accetta e scavato con lo scalpello.
Loro perdono ogni volta.
Perché non importa se sguaini una spada o asciughi il sudore: a fine giornata, darai due colpi sul bancone e ti farai servire rhum, birra, vino e chissà che altre schifezze. Metterai da parte i tuoi problemi e guarderai negli occhi della locandiera, che come il legno di quello stesso bancone, assorbirà tutto e non dimenticherà mai. Nel silenzio della sua stanza sotterranea, tra la cucina e lo scannatoio, la locandiera toglie il busto che le ha sorretto la schiena, affonda il grosso culo sul letto e poi, con le spalle curve e lo sguardo basso, posa la mano tozza sul cuscino: l'unica cosa soffice che mai accarezzerà.