CAPITOLO 6

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Uscimmo dal centro di Cervinia e percorremmo in discesa la regionale che conduceva a Valtournenche. Poi proseguimmo per un po' lungo una strada secondaria e accidentata, finché divenne un vialetto che bruscamente cominciò a salire. I larici si chiudevano intorno a noi, mano a mano che salivamo nascondendomi per gran parte la visuale del posto. Finalmente ci fermammo di fronte ad una rudimentale costruzione in pietra, dislocata su un unico piano, in mezzo ad un pianoro, con un alto pino a fianco.

Lungo tutta la facciata principale c'era un terrazzo, con il parapetto di legno, a cui si accedeva tramite tre gradini di cemento, rivestiti di legno. Il tetto, con un comignolo sopra, era interamente di tegole di pietra e scendeva spiovente su due lati, facendo da riparo al terrazzo e all'ingresso. Grosse travi di legno parevano sostenerne il peso e sulla sinistra, accanto alla porta, c'era una piccola finestra rientrante, con le persiane di legno scuro, chiuse.

Spensi il motore ed uscii all'aperto guardandomi attorno e titubante lo seguii all'interno. Raggiunsi i gradini e varcai la porta che aveva lasciato aperta, infilando le chiavi della macchina nel marsupio nero, che avevo a tracolla. I miei passi rimandarono il suono dei tacchi degli stivaletti, mentre percorrevo le assi che ricoprivano il pavimento. L'ingresso era minuscolo e si apriva a tre piccoli vani: il cucinino, sulla sinistra, separato dal soggiorno da un muretto, il bagno, a destra, e una camera, proprio di fronte alla porta principale. Le stanze erano ricoperte fino a metà di legno ed ognuna aveva una finestra. Il colore chiaro delle pareti si illuminò della luce del sole, quando spalancò le imposte e parve trattenerla.

La cucina era la sola ammobiliata. Tutto il resto della casa era vuoto ad eccezione di una stufa a legna di ghisa, posata su un rialzo di mattoni, nell'angolo del soggiorno, accanto al muretto. Una colonna, dritta di tubi bianchi saliva da questa, in alto, infilandosi nella canna fumaria, accanto ad un quadro appeso al muro raffigurante una natura morta e, a metà della paratia di fronte, ancora una finestra di legno scuro. E vicino un piccolo ripostiglio.

"E' tutto qua" mi disse il signor Brunod, dopo avermi fatto fare un rapido giro della casa, "Come le ho detto deve essere ripulita un po'... Avevamo fatto portar via quasi tutta la mobilia per poterla imbiancare, ma poi non ci siamo riusciti ed è rimasta come la vede. Ma le faccio riportare tutto se le interessa. Il letto, gli armadi, i lampadari e il tavolo con le sedie, un divanetto se riesco... Tutta roba vecchia, non si aspetti granché, ma può ancora andar bene. Sopra c'è una mansarda che le potrebbe servire da dispensa, ma al momento non è abitabile. Per ora funziona da legnaia per la stufa"

Guardavo i locali quasi incredula. Poteva essere mia! Tutta mia...

"Allora... che ne pensa?" mi domandò interrompendo le mie riflessioni.

"E' perfetta!" l'espressione esultante sul viso, "La prendo! Sì... va benissimo!" risposi convinta.

"Molto bene, allora... Le faccio portare i mobili nel pomeriggio. Il tempo di metterli insieme"

"Posso già fermarmi a dormire qui stanotte?" domandai fiduciosa.

"E' sua ormai" mi disse porgendomi le chiavi, "Può fare quello che crede" sorrise, "Le manderò anche delle lenzuola e delle coperte... La notte fa freddo da noi. Non vorrei averla sulla coscienza".

"Grazie, signor Brunod" in un impulso gli saltai al collo, stringendolo in un abbraccio, "Grazie!"

Quel gesto incontrollato, ma sincero lo sconcertò. Mi batté sulla schiena senza replicare. Conscio di aver fatto qualcosa di buono per qualcuno, senza comprendere fino in fondo, cosa.

Dopo avermi salutato si congedò, lasciandomi sola.

Mi guardai intorno sospirando. Mi sarebbero serviti detersivi e stracci, ragionai.

Il parquet era consumato, ma ancora in buone condizioni

Soprappensiero aprii gli sportelli della credenza color miele, accanto alla finestra, in cucina... Almeno c'erano pentole e piatti, meditai, seguendo le mie conclusioni. Il lavandino nell'angolo, era di marmo consumato, con una mensola dello stesso materiale sopra e due sportelli di legno chiaro sotto, incassati nel muro.

Ruotai le manopole del rubinetto per controllare che ci fosse l'acqua. Le tubature brontolarono quando cominciò a scorrervi dentro. I fornelli, accanto, sembravano in buono stato... Bastava una ripulita... Avrei avuto bisogno di un accendigas per accenderli, ma non mi importava. E il frigo, che avevo di lato, di fronte alla finestra, anche se piccolo, mi sarebbe bastato.

Oltre la porta alla mia destra, superato l'ingressino, entrai nel bagno. C'era una doccia a destra e, poco più avanti, nell'angolo il water. Di fronte un lavandino di ceramica con un piccolo specchio sopra.

Restai a fissarlo spegnendo d'un tratto, quel breve attimo di gioia.

L'immagine che catturò quando mi avvicinai era quella di una donna senza vita. Nessuna luce si rifletteva nei suoi occhi, segnati dalla stanchezza. Solo quella riflessa del sole che filtrava attraverso i vetri della finestra. Fu solo un attimo, ma per un istante mi parve di rivedere i suoi occhi. La sua figura, che ancora una volta, si confondeva con la mia e mi tendeva una mano, perché la toccassi...

Adele... mi parve di sentir sussurrare piano all'orecchio. Un alito leggero che mi scorreva sulla pelle.

Allungai un braccio, tendendolo verso il suo, ma subito la ritrassi.

Un improvviso capogiro mi spinse ad afferrarmi ai bordi del lavello.

Ero sfinita. Non avevo più forze in me.

Ma dovevo farcela! A tutti i costi...

Mi fissai un'altra volta: lo dovevo a lei. Non meritava quello che le era accaduto... lo dovevo fare per lei!

Lividi e ferite si disegnarono lentamente su quel viso. Lividi e ferite che non c'erano più in superficie, ma che rimanevano nascoste in me. I miei occhi si adombrarono e li abbassai, per non doverle guardare. Quasi così potessi cancellarle per sempre.

Il dolore ti scava dentro, purtroppo, e non ti permette di dimenticare... Era questa la verità. Non lo avrebbe fatto mai.

Alzai un'altra volta il viso.

Nel mio sguardo colsi, per un secondo, quello di una volta... Spaventato, rassegnato... ferito.

Quella donna non avrebbe più provato quella paura... quell'angoscia, quell'inquietudine... io non l'avrei più permesso...

Gli occhi si offuscarono. La vista si annebbiò...

Respirare diventò difficile. Corsi fuori sul portico. E crollai il corpo, appoggiando le mani al parapetto di legno.

Gettai un'occhiata intorno e per un attimo tutto mi sembrò irreale.

Il vento stormì tra le fronde. La sua voce mi soffiò leggera sul viso. Trattenni odori, profumi d'erba, di fiori e di qualsiasi altra cosa mi circondasse. Odori, uno diverso dall'altro, sconosciuti, tanto che era per me impossibile distinguerli. Ignoti come ignoto era il futuro che mi attendeva, ma che non volevo temere.

Guardai in alto sopra di me e feci un lento sospiro. Una cornacchia volò sopra la mia testa, tra quelle nuvole bianche come la neve, che correvano veloci nell'azzurro intenso. Libere, come libera mi sentivo io in quel momento. Ad un passo dal cielo... tra quelle montagne che parevano volermi difendere e nascondere.

Nascondere ancora.

Tutto... è possibileDove le storie prendono vita. Scoprilo ora