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America

Schiaccio il pulsante nero e lucido del citofono dal nome Maria de Angelis, scritto in stampatello, mentre continuo a dondolare da un piede all'altro.

Soltanto chi ha una nonna siciliana potrebbe indovinare cosa mi aspetta: infinite portate di cibo e le lamentele su quanto i miei chili siano diminuiti, portandosi via le morbide guanciotte da strapazzo. 

Il tutto accompagnato da una scenata di vittimismo assurdo, soltanto perché sono scesa ieri e al posto di venire subito da lei ho preferito vedere gli amici e Martin, il ragazzo che conosce fin da piccolo, ma che non ha mai digerito totalmente.

"Chi è?"

La voce acuta e quasi minacciosa che si espande grazie all'aggeggio di ferro mi scioglie il cuore.

Mi è mancata più di quanto pensassi o potessi esprimere.

La piccola mano, leggermente raggrinzita, si stringe intorno alla tenda bianca e coperta girasoli cuciti da lei stessa, mentre cerca di sbirciare fuori. Arriccia il naso e chiude gli occhi in una fessura quasi invisibile; mossa abbastanza inutile visto che è cieca quanto me.

Soltanto che a lei non sembra pesare affatto la vista che peggiora senza pietà.

"Accetterei la cecità se servisse a non percepire più l'idiozia umana."

Con questo si consola sempre lei e io cerco di prenderla nello stesso modo.

 Non sto facendo grandi progressi, ma almeno ci sto provando. 

Qualcuno diceva che provare all'infinito qualcosa prendendo sempre la stessa strada è da cretini, darai tutto di te ma otterrai comunque il solito risultato.

Be', a guardarlo da fuori sembra quai un deja vù.
Io che amo Martin anche se mi ha distrutta, più di una volta.

Perché sono stata così tanto tempo con lui?
Ho un rapporto meraviglioso con mio padre e nessuna sindrome, o almeno non una troppo evidente.

A quanto pare l'unica risposta esaustiva a questo quesito è che sono stupida, dalla testa ai piedi, compresi i capelli vaporosi e fastidiosi.

"Allora?"
Chiede la piccola Mary, leggermente alterata.

"Sono io, nonna," rispondo. 

La sua chioma color neve entra nel mio campo visivo mentre si ostina inutilmente a cercare di riconoscermi, quando basterebbe soltanto che si mettesse gli occhiali.

E sì, giudico lei quando in realtà sono la prima a non metterli.

"Tu chi?" chiede, con tanto di acuto. 

"Guarda che tengo il fucile vicino al citofono."

Mi porto la mano sulla fronte e scoppio a ridere da sola.

Ecco da chi ho ereditato l'ansia e i sospetti ridicoli.

E se il tipo dell'altra sera pensava fossi io quella svitata, allora si ritenga fortunato, visto che non conosce il resto della mia famiglia. 

"Nonna, sono America," dico, ammorbidendo la voce, mentre attacca e spalanca la porta bruscamente.

Sui gradini dell'ingresso compare lei, la mia piccola nonnina, circondata dal suo lungo vestito di seta.

Nonna Maria, ovvero una donna con gli attributi. 

Lei mi ha insegnato sin da piccola che le donne hanno più gingilli degli uomini e io ho seguito i suoi consigli alla lettera, finché non mi sono imbattuta nel muso dolce di Martin.

NanaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora