I - Una nuova vita

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C'era ancora la luna, tonda e maestosa, la notte della partenza. Con il suo moto lento, quasi stressante, e la sua luce diafana riusciva a illuminare la lunga distesa di colline rigogliose, ora scure come la pece. Mettersi in viaggio due lune fa era stata una scelta studiata nei minimi dettagli per poter arrivare al palazzo di Jung-Hoo entro le prime luci dell'alba del terzo giorno, in perfetto orario per la sontuosa festa.

"Il mio signore", continuavi a nominarlo nella tua testa da giorni, preparandoti a ricerverlo nel migliore dei modi. Tutta la tua vita era stata designata a quel momento, a quell'incontro: gli studi di musica, danza, pittura, dizione, poesia, perfino di politica del Paese - argomento che avresti certamente evitato, se solo fosse stato possibile.

Le materie artistiche erano certamente quelle in cui spiccavi sopra ogni altro allievo della casa ma non erano state certo loro ad attirare così tanta attenzione da essere scelto da un così alto nobile. La bellezza, a differenza di ogni altra cosa, cattura subito l'occhio e la tua, così effimera e inusuale, stuzzicava anche gli appetiti più casti.

악마. Agma. "Demone", ti chiamavo le altre kisaeng della casa di piacere in cui avevi soggiornato fino a due giorni prima.
Demone tentatore, una creatura mistica che con un solo sguardo riusciva a far arrossire i ragazzi del villaggio, intenti a raccogliere i ravanelli e cavoli appena maturi dal terreno fertile.
I loro padri li riprendevano, ammonendoli di abbassare lo sguardo e non guardarti troppo - alle volte di non guardarti affatto - o sarebbero rimasti stregati da una bellezza che non potevano possedere.

Le kisaeng sono per i ricchi, non per il popolo.

Dal canto tuo non davi che una fugace occhiata, giusto il tempo di percepire il suo interesse passare dagli occhi, alla gola e poi ancora più giù, oltre la stoffa dei pantaloni, fino a sfiorare una parte nascosta e fragile.

«Che caldo... Abbiamo ancora molta strada?» sbuffasti, alzando con una mano la tenda in seta della portantina in cui sedevi per dare un'occhiata al cielo, mentre con l'altra spostasti un ciuffo di capelli dalla testa, leggermente umida di sudore.

Portavi il colore delle pesche mature, una tinta rara che si mischiava perfettamente all'oro naturale delle tue punte. Prima di partire era stato deciso che il tuo colore per tutta la permanenza nel castello del tuo nuovo padrone sarebbe stato proprio il pesca: simbolo di purezza e bellezza, avrebbe certamente conquistato il suo cuore.

Lanciasti un'occhiata alla donna che trottava a fianco della tua portantina. So-yon cavalcava un destriero bianco, forte ed elegante come lei. Si era avvicinata per poter sentire la tua breve lamentela, giusto in tempo per poterla zittire.

«Oh, sono certa che potrai resistere ancora qualche ora, Jimin. Non essere impaziente, il castello del tuo signore si fa sempre più vicino...» era stata lei a parlare. So-yon era una donna dall'età matura con gli occhi piccoli e neri e i capelli ancora più scuri.
Da quel che ricordavi li aveva sempre portati legati in una lunga treccia dietro le spalle, oggi adornata da alcuni fermagli fiorati che le incorniciavano il viso magro e segnato dalle rughe.
Era stata la tua maestra di letteratura per tutta la permanenza nella gwonbeon, l'istituto che ti aveva allevato e fatto divenire la concubina (o meglio, il) di successo che oggi potevi vantare di essere - o che almeno speravi.

Annuisti con la testa rannicchiandoti nel tuo posto a sedere. Il sedile era morbido, adornato di cuscini ambrati ognuno dei quali finemente ricamato a mano: due raffiguravano dei ciliegi in fiore mentre il terzo, il più grande, un fiore di loto.

Sospirasti, chiudendo gli occhi e obbligandoti a dormire;  mancavano ancora cinque ore all'alba e il tuo corpo necessitava di riposare.

Sarebbe stata la tua ultima notte da vergine, casto e puro come una rosa non ancora colta.
L'ultima notte in cui il tuo corpo non aveva padroni.

                            ***

Fu il sole a svegliarti: i suoi raggi penetrarono direttamente dalla fine seta della tendina della portantina fino ai tuoi occhi, ancora chiusi dal sonno. L'afa della sera precedente aveva fatto spazio a una leggera brezza, un fresco vento pungente che fungeva da vero toccasana per il viso. Apristi gli occhi, strofinandoteli delicatamente per lasciarti beare da quel fresco.

Il sole ti aveva svegliato proprio nel bel mezzo di un sogno che ora ricordavi solo a sprazzi: c'eri tu in una distesa di verde, un posto familiare al quale però non riuscivi a dare una vera posizione geografica in quel momento. Quella tranquillità era durata poco, solo quale secondo, giusto il tempo di guardarti indietro e intravedere una figura scura che correva verso di te.
Chi era? Perché ti stava puntando?

Poi tutto si era fatto nero e ancora, più nulla. I raggi del sole - quelli reali - ti avevano svegliato di soprassalto scacciando ogni ricordo del finale di quello strano sogno. A riportarti alla limpida realtà furono i suoni attorno a te: la compagnia doveva aver visto il castello del tuo futuro signore in lontananza tanto da annunciarlo con battiti di tamburi (i tradizionali buk), tutti perfettamente coordinati l'uno con l'altro.

Era l'ora, avevi aspettato quel momento per tutta la tua vita: avevi studiato la musica e la prosa e appreso magistralmente ogni tecnica di seduzione solo e unicamente per farti onore adesso, al cospetto del tuo padrone.
Ti eri preservato, avevi imparato ogni lettura riguardante il piacere degli uomini - come procurarlo e come gioirne tu stesso per assaporare al meglio ogni futuro rapporto con lui.

Eppure pensarci ora non faceva altro che mozzarti il respiro in gola. Avevi il batticuore. Eri in ansia? Immensamente. Così tanta ansia da non farti quasi respirare.

E se non eri come si aspettava? Se non ti avesse trovato bello come credevi? O peggio, se ti avesse addirittura rifiutato?
Sospirasti voltandoti verso la finestra della portantina, alzando un lembo di tenda. Il cielo era un agglomerato informe di nuvole. Ecco, esse riflettevano esattamente il tuo stato d'animo in quel momento: irrequieto. Alzasti gli occhi, incontrando lo sguardo scuro di So-yon. Le sue parole sembrarono leggerti nel profondo.

«Tutti hanno paura all'inizio» sussurró lei, cavalcando a fianco della portantina che ti trasportava. «Ma tu, Jimin, mio prezioso gioiello, non hai nulla da invidiare a nessun altra concubina o uomo di piacere del regno. Lo conquisterai e ci farai onore, ne sono certa».

Annuisti con il capo, sorridendo debolmente. Mancavano solo pochi metri all'hanok - la tradizionale casa coreana - del tuo nuovo signore. Sarebbe stato ufficialmente l'inizio della tua nuova vita.

𝓛𝓪 𝓵𝓮𝓰𝓰𝓮𝓷𝓭𝓪 𝓭𝓮𝓵𝓵𝓮 𝓯𝓪𝓵𝓮𝓷𝓮 {jikook au} Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora