Mi trascinano in una stanza mal illuminata e, senza troppe smancerie, mi intimano di sedermi. Le manette mi stringono i polsi e il sangue non fluisce bene, il che mi rende stranamente euforico. Me ne rimango lì a guardare come il metallo mi seghetta la pelle e avverto quasi un senso di gratitudine, come se sia quel dolore a farmi sentire vivo. Mentre gli agenti discutono, mi guardo intorno. Il mio sguardo si posa su ogni piccolo particolare in quella stanza così spoglia. Il tavolo liscio, troppo perfetto, mi faceva venir voglia di intaccarlo con una chiave o un coltello. Una telecamera era posta nell'angolo in alto a destra. Rabbrividisco. Meccanicamente mi giro alla mia destra e scorgo il mio riflesso. Gli occhi cerulei circondati da profondi solchi neri, il viso smagrito. Avevo perso molti capelli dall'ultima volta che mi ero guardato allo specchio. Quanto tempo sarà passato? Rovelli mi sfotteva sempre per il mio aspetto. "Ti trascuri, Giannetti. Dovresti proprio far qualcosa per quelle occhiaie." Lui, al contrario era sempre impeccabile. Quando io portavo magliette scolorite e non stirate, lui puntualmente indossava camicie linde e quella solita cravatta grigia al collo. Avrei voluto strozzarlo con quella cravatta, quel dannato Rovelli. Quel bastardo adesso non era qui, ero solo. Era stata tutta una sua idea, eppure ero io a pagarne le conseguenze.
Sapevo benissimo che non si trattasse affatto di uno specchio. Io guardavo spaurito il mio riflesso, ma chissà chi altri ci fosse lì dietro a scrutarmi, pronto a giudicarmi.
'Non potete giudicarmi' pensavo 'non mi conoscete e non mi conoscerete mai'. Il mio sguardo torna alla telecamera, poi al vetro, poi di nuovo alla telecamera. Mi sento violato, oppresso. Quante paia di occhi sono poggiate su di me in questo preciso istante? Se avessi battuto violentemente la testa contro lo spigolo di quel tavolo geometricamente perfetto, sicuramente avrebbero provato a fermarmi. No, tutto sommato avrei fatto loro un favore.
"Toglietegli le manette e lasciateci"
L'agente mi distoglie immediatamente da questi sinistri pensieri. Mi punta gli occhi addosso e mi si siede di fronte con uno sguardo carico di un disprezzo che non penso di esser pronto a sopportare.
"Allora, Giannetti" esordisce "parliamoci chiaro. Si trova in una pessima situazione."
Imbecille, come se non lo sapessi. Quel bastardo di Rovelli mi ha lasciato qui a sbrigarmi questa rogna. È lui che dovrebbe trovarsi qui, cazzo. Abbasso lo sguardo e leggo il suo nome sul tesserino: A. Barruti. Chissà per cosa stesse quella "A". Andrea? Alessandro? Alessio? Lo guardo dritto in faccia. Un ragazzino sbarbato e con la pelle più liscia del culo di un bambino. Deve impiegare molto tempo ogni mattina per quella pettinatura impeccabile. Io non ricordo nemmeno quale sia stata l'ultima volta in cui mi sono lavato i capelli. I suoi occhi mi scrutano, indagatori. Un azzurro color ghiaccio che sembra penetrarmi nell'anima. Distolgo subito lo sguardo e mi soffermo sulla sua camicia. È fin troppo simile a quella che porta sempre quel dannato Rovelli.
"Le diamo un'ultima occasione" riprende A. "Un'ultima occasione per dirci la verità. Chi è il suo complice?"
Non ci posso credere. Non di nuovo.
"VE L'HO GIÀ DETTO MIGLIAIA DI VOLTE", sbotto, "Il suo nome è Eugenio Rovelli. Vive in uno scantinato in via Roma, 23. È sempre tutto in ghingheri, ma in realtà è un pezzente che vive nel letame. È stato lui ad organizzare tutto, vi dico. Lui a mettere su questo teatrino."
A quel punto A. si porta una mano sulla fronte e sospira. All'improvviso la pressione sanguigna mi sale a mille, di fronte a tanta arroganza.
"Signor Giannetti, basta. Siamo stanchi di queste stronzate. Abbiamo controllato e ricontrollato e a quell'indirizzo non abbiamo trovato anima viva. È un posto abbandonato da Dio, con erbacce più alte dell'edificio stesso. Abbiamo solo trovato delle impronte che coincidono alla suola delle sue scarpe. Non so se si rende conto che se non decide di collaborare rischia di marcire in galera per il resto dei suoi giorni."
Marcire, un pensiero che quasi mi eccita. Non sono troppo in forma neanche adesso, ma al pensiero che la mia pelle si decomponga lentamente... dei brividi mi scuotono tutta la colonna vertebrale.
"Non vi sto raccontando stronzate. Dovete credermi! Quel vigliacco è tanto furbo... oh sì, così furbo... avrà cancellato e pulito il posto a dovere per eliminare le sue tracce. Vi dico che lì ci siamo incontrati per la primissima volta. Fu lui a convocarmi. Mi sembrava strano che un avvocato vivesse in quelle condizioni, ma in fin dei conti chi sono io per giudicare."
"Non mi risulta infatti che lei abbia fissa dimora da almeno sei anni, Signor Giannetti" riprende l'agente A. interrompendomi.
Sei anni. Così tanti ne erano passati? Tutti lo avevano allontanato dopo la scomparsa di Erika. Oh, Erika. I miei occhi si riempiono di lacrime che non posso e non voglio mostrare. Un rumore impercettibile alla mia destra mi fa sobbalzare. È l'altro agente. Solo allora mi ricordo della sua presenza. Formano una strana coppia questi due. A. così alto, magro e biondo e l'altro basso, tracagnotto e scuro.
"Signor Giannetti" si intromette il nanerottolo "stiamo mostrando un livello di pazienza eccessiva nei suoi riguardi. Potremmo tranquillamente finirla qui, a meno che lei non si decida a rivelarci l'identità del suo complice."
ANCORA.
Le mie tempie cominciano a pulsare e la vista si offusca. Mi mordo l'interno delle guance finché non sento il sapore metallico del sangue.
"Ve l'ho già detto" urlo, ormai fuori controllo, "Rovelli, Rovelli! È quel fottuto bastardo ad avermi tirato giù con lui. La sua reputazione era ormai andata a puttane e pensava di poterla riacquistare ricattando quella sgualdrina da quattro soldi. Erano andati a letto insieme, sapete. Aveva materiale a palate per ricattarla. Avrebbe perso tutto anche lei, la sua casa, la sua famiglia, il tenore di vita." Ricordo ancora il giorno che la convocò nel suo studiolo malandato di Via Roma. Era così bella. Slanciata, pallida, con quei capelli così chiari da sembrare quasi trasparenti, il collo lungo e affusolato. Proprio come la mia Erika. Ricordo gli occhi sgranati, colmi di terrore. Il sangue sgorgava ovunque, copiosamente, dagli angoli della sua bocca, dal naso. Ansimava e tremava, mormorava pietà, finché non esalò l'ultimo respiro. Io stavo lì inorridito e lo pregavo di fermarsi. Mi dimenavo, ma le corde con cui mi aveva legato era saldamente annodate. Rivivere quel momento ogni volta mi faceva morire dentro. La morte era diventata un pensiero allettante.
"Signor Giannelli" riprese A. "sono sue le impronte digitali ritrovate sull'arma del delitto, ma le ferite mostrano che le pugnalate inferte alla vittima siano frutto di due mani diverse. Per di più, il suo rifiuto di farsi rappresentare da un avvocato d'ufficio peggiora ulteriormente la sua situazione."
"Non mi sono rifiutato" ribatto "sarò rappresentato dall'Avvocato Rovelli in persona. Sarà lui a dirvi come stanno le cose."
"Quindi lei ci sta dicendo che l'uomo che accusa di essere l'assassino di Eleonora Del Rossi verrà qui a rappresentarla e a costituirsi? Incredibile" bofonchia il nanerottolo, dando un colpo di gomito al collega. Ridevano entrambi di me.
Proprio in quel momento, irrompe nella stanza nientemeno che lui, Rovelli. Senza nemmeno bussare, spalanca la porta ed entra. Si guarda attorno come se possedesse ogni singolo oggetto e ogni singola persona in quella stanza. Con arroganza e uno sguardo stizzito si rivolge ai poliziotti, i quali però sembrano non prestargli troppa attenzione. Allora si rivolge a me, con sguardo di sfida e con quel suo mezzo sorrisetto. Dal suo labiale leggo "tanto sai che vincerò io".
Mi faccio tutto rosso in viso, la vena sulla tempia comincia a pulsarmi e non riesco a sentire nient'altro che il cuore che mi batte all'impazzata. Ho la vista sfocata e l'udito ovattato. Sento le voci degli agenti rivolgersi a me in lontananza. Scorgo solo la sagoma sfocata di Rovelli che mi si staglia davanti. Salto su, rovesciando la sedia di metallo su cui ero seduto e spingendo di lato il tavolo perfettamente geometrico. Gli agenti non si aspettavano certo questo guizzo d'ira e rimangono a bocca aperta per qualche infinitesimo secondo.
Io intanto mi staglio su quel dannato Rovelli e gli tiro un pugno in faccia. Sento le ossa della mano incrinarsi e la pelle lacerarsi, ma non mi sono mai sentito tanto vivo.
"Diglielo, lurido bastardo. Diglielo che sei stato tu!" Urlo, ormai fuori di me. "Mi hai lasciato lì a guardare mentre l'accoltellavi ancora e ancora. Ci hai torturati entrambi per quella che è sembrata un'eternità. Ora è tua l'ora di pagare per quello che hai fatto"
Due paia di braccia mi tirano indietro e mi allontanano da lui. Emetto un urlo disumano. Rovelli mi rivolge di nuovo uno sguardo di sfida ed è in quel momento che so che è finita. È troppo tardi, non mi crederanno mai.
"Questo è troppo. Portatelo via" mormora A., avvilito.***
Ora nella stanza dell'interrogatorio, piombato in un attimo nel caos, restano i due agenti, un tavolo, una sedia rovesciata e un buco nel muro di gesso.
"Te l'avevo detto, Al" mormora l'agente tracagnotto all'altro allampanato "è completamente fuori di testa. Non faceva che parlare di questo individuo che non esiste. Abbiamo cercato in tutti i database, di lui neanche l'ombra. 'Si tratterà di un'identità falsa', avevamo ipotizzato. Anche perché le ferite erano chiaramente inferte da due mani diverse, una destra e una sinistra. Avevamo pensato che il suo complice potesse essere mancino, ma ora è indubbio: deve aver usato entrambe le mani. Si è accanito su quella povera donna con 35 coltellate, come un indemoniato, una bestia. Era qui davanti a noi, proprio un attimo fa, ad urlare al muro. Non penso servano altre prove. È semplicemente pazzo."
L'altro assentì e non ebbe la forza di replicare. Nella sua mente si presentò la scena del crimine e le condizioni in cui fu ritrovata la vittima. Una scena raccapricciante, da film horror. Si sentì gelare. Sembrava un uomo perfettamente normale, pensò, finché non lo si guardava negli occhi e si scorgevano tutti quei fantasmi interiori che si aggrappavano per rimanere in superficie.
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Relazioni complicate
Historia CortaUna serie di racconti slegati tra di loro che potrete leggere senza un ordine prestabilito.