Vivere la paura - prologo

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Trieste.

Il colore del tramonto si era posato sulle loro braccia, troppo strette per lasciarsi andare ma mai così lontane da non potersi ritrovare.

Si cercavano nonostante si fossero già trovati.

Dal molo Audace, lo sguardo verso il Carso, in lontananza, scioglieva ogni riserva su quel pianto che solcava le gote della donna. Non poteva dirgli addio una seconda volta, il suo cuore non lo meritava.

Indicarono entrambi Miramare, da lì la vista spazzava verso l'immenso. C'era tempo per potersi ricordare che i loro destini erano incrociati dalle pieghe del dolore.

"Cosa succederà se non dovessi rivederti? Il mio sentimento gronda di sangue" ammonì Isabella, asciugandosi gli occhi con un fazzoletto di seta bianca, pura, come il suo essere avvolta dall'amore per Lino.

L'uomo non proferì parola, forse i suoi occhi ricamavano parole che solo lei riusciva ad ascoltare nel silenzio.

La gonna rossa venne accarezzata dalle note del vento, sempre più insistente. Il taxi s'era appena fermato e l'uomo non potè far altro che lasciar scivolare le sue mani dal volto di Isabella e raggiungere il veicolo. Lo avrebbe condotto alla stazione centrale.

Era il momento più brutto. Isabella prese uno specchio e si guardò insistentemente.

Il mascara non aveva retto i torrenti lacrimanti mentre la luce albina del crepuscolo si era infiltrata tra le nuvole, dando un sapore nostalgico anche alle onde del mare davanti a lei.

Lo specchio assunse la forma di un ricordo vivo. Si mise a sedere su di una panchina per conoscere ogni sinfonia dello sciabordio che si infrangeva sugli scogli.

Quante volte avrebbe voluto una mano materna posarsi sul suo capo per essere poi accompagnata lungo il molo.

Era tempo di ritornare a casa.

Ancora una volta.

Nella città del ventoWhere stories live. Discover now