Nel crepuscolo umido, al calare di questo sole nascosto dietro la tempesta, due gabbiani sfidano il vento, affondano il becco nella corrente, le ali tese a spezzare la cantilena della pioggia.
Fanno per scomparire tra le nuvole nere, a occidente.
Edoardo invece poggia la testa sul cuscino e lascia che le palpebre si chiudano nella penombra della stanza, anche oggi non lo sa.
Non sa dove mettere i pezzi della sua vita che gli sembrano in più, non sa dove trovare quelli che pare manchino, la granitica certezza di sé si alterna alla confusione dell'incertezza.
Rimane sotto le coperte come dormisse, ma mai come ora è sveglio, il corpo disteso su un lato disegna sulle lenzuola promontori e vallate, i suoi zigomi tesi a contrastare la dolcezza della bocca.
Edoardo che ride, Edoardo che bacia, Edoardo che guida, Edoardo che si mette una maschera, Edoardo che vuole dimostrare chi è. Edoardo che vince.
Edoardo che piange- ubriaco.
E quelle lacrime son come onde d'un mare interiore, un mare in tempesta.
La vita fa confusione e lui vorrebbe calma, tiene strette le redini dell'esistenza ma è una corsa al buio.
Si alza, lo sguardo cade sui quei gabbiani che danzano sulle note della pioggia scrosciante.
Lui regala sorrisi, sa farlo forse meglio di tutto il resto.
Non risate, o perlomeno non solo, quando parlo di sorrisi voglio dire una situazione mentale, o per chi preferisce, di cuore.
E se fosse un gabbiano, forse, avrebbe un'ala ferita ma non lo darebbe a vedere neanche a se stesso, e fosse solo per dimostrare che è in grado, anche lui andrebbe contro vento, ma senza farsi notare da quelli che preferiscono rimanere appollaiati sui cornicioni del centro.
La pioggia scende, si fa sempre più forte la sua voce.
Rivoli d'acqua accarezzano i marciapiedi, le foglie fluiscono come pensieri nel grembo della strada.
Poche macchine in giro.
Ed il sole cala.