Un appartamento anonimo, in una città anonima in cui ero un anonimo passante.
Solo.
Ero partito.
Avevo deciso di andarmene la notte in cui avevo quasi ucciso mio fratello.
Non sarei potuto rimanere oltre, continuare a guardare i suoi occhi indifferenti, gli stessi che mi avevano buttato addosso la verità, guardarli mentre si posavano con devozione sul viso di Stefan.
Non avrei potuto assistere al loro amore ancora una volta, non dopo averla avuta, non dopo che era stata mia.
Quella notte.
La mia volontà annullata.
La mia sete insaziabile.
Le loro labbra incollate.
Il siero che mi aveva reso uno sterminatore di vampiri aveva fatto il resto.
Stavo per sventrarlo, e lui non se n'era nemmeno accorto.
Stavo per assalirlo, e lui non aveva nemmeno sentito i miei passi.
Mi ero voltato ed ero volato via: via da loro, lontano, per sempre.
Elena... Stefan... il destino e l'universo.
Io ero solo un graffito abusivo sul murales delle loro vite predestinate, sul grande disegno che l'immenso aveva composto per loro.
Per me nulla aveva senso, non più.
Seduto cavalcioni sul davanzale, pensavo alle settimane appena trascorse lontano da casa. Osservavo le cime dei palazzi, i tetti delle case. Sorseggiavo bourbon lasciando oscillare un piede a venti piani dall'asfalto.
Ogni sera drenavo il mio sangue per purificarlo: affondavo i denti in una sacca, o in una gola, non faceva differenza.
Non provavo nulla, solo un grande vuoto.
Non avevo spento le emozioni: si erano spente da sole.
Come il telefono: sempre spento.
Era il mio unico aggancio col passato, non avevo avuto il coraggio di distruggerlo.
Era un orpello scarico, inutile.
Come me.
Guardai le dita che abbracciavano il bicchiere e fissai lo sguardo sull'anello che indossavo da oltre un secolo.
Non sapevo perché continuavo a indossarlo.
Non sapevo perché non lasciavo che il sole facesse il suo dovere.
Non sapevo perché non riuscivo a cedere alla tentazione di terminare la mia esistenza con un atto di estremo coraggio, o di profonda vigliaccheria.
La brezza inquinata della città mi scompigliò i capelli; respirai a fondo la puzza dei gas di scarico e immondizia.
Avevo vissuto solo per molto tempo, prima di tornare a Mystic Falls.
Poi, in quel paese dove ero cresciuto, morto e risorto, avevo trovato persone da accudire, gente da uccidere, una donna da amare.
Avevo vissuto la mia esistenza assaggiando tutte le sfumature dell'umore: la disperazione della perdita, l'angoscia dell'abbandono, l'appagamento del sesso e del sangue, l'atrocità della tortura, la soddisfazione della vendetta.
Poi... lei.
E tutto mi era apparso come una ricerca vana: l'avevo trovata cercando un'altra, l'avevo amata scacciandola da me, l'avevo avuta rubandola alla vita.
E lei mi aveva lasciato, colpendo dritto al cuore.
Il castello di illusioni era crollato ed io avevo ricominciato a percorrere il tempo come un animale ferito e rabbioso, lasciando sulla sua strada gocce di sangue e di vita.
Solo l'odio sembrava compensare il dolore, e per un po' funzionò, fino a quella notte.
Il destino mi aveva sbattuto addosso una nuova atrocità che non potevo assecondare, un ruolo che ero stanco di ricoprire.
Non volevo vivere secondo le aspettative di nessuno, buone o cattive che fossero.
Non volevo più recitare una parte che altri avevano stabilito per me, e che mi avevano convinto mi calzasse alla perfezione.
Non ero come Elena mi avrebbe voluto.
Non ero il mostro che altri avevano costruito.
Non ero il fratello cattivo.
Non l'amico infedele.
Ero stato tutto questo; non ero più nulla.
Il bicchiere ormai era vuoto. Rientrai in casa per riempirlo di nuovo.
Un lieve fruscio catturò la mia attenzione.
Da sotto la porta vidi scivolare all'interno un foglio di carta piegato in due.
Chi?
Come?
Afferrai quella che sembrava una lettera e la aprii.
Avrei riconosciuto quella grafia anche a occhi chiusi, seguendo il profumo delle volute d'inchiostro, delle lettere graffiate, dei tratti delicati.
Sentii qualcosa, o qualcuno, scivolare sulla porta chiusa e sedersi a terra.
Riconobbi il battito del cuore.
Elena.
La vista si annebbiò e un misto di rabbia e frustrazione, di euforia e stupore mi fecero sentire instabile.
Perché?
Perché ora?
Stropiccia i bordi del foglio, dove le mie dita tenevano carta.
Rimasi in silenzio e in silenzio cominciai a leggere.
Parole senza senso componevano frasi senza senso, che raccontavano una storia senza senso.
"Katherine!"
Lessi incredulo ogni virgola, ogni punto, ogni incredibile particolare.
Non era possibile, eppure era l'unica spiegazione possibile!
Fui attratto verso la porta da una forza a cui non potevo oppormi: appoggiai le mani e la sentii.
Era lì fuori, silenziosa e immobile.
Mi pietrificai contro il legno usurato ad ascoltare i suoi respiri.
La sua presenza m'investì con violenza, così come la sua assenza mi aveva risucchiato l'anima, l'inganno di Kath stuprato il cuore.
Come un vulcano a lungo dormiente, la furia esplose in me come magma rovente.
Erano settimane che non provavo alcuna emozione.
In un solo secondo ero passato dall'apatia più totale, alla glaciazione, all'essere in balia di un tornado impetuoso.
La vista mi si fece rossa come il fuoco che divampò nella mia mente e violente scariche elettriche mi attraversarono le membra.
Mi staccai dalla porta e presi a calci una sedia già sgangherata. La bottiglia di bourbon finì a dipingere colanti gocce di liquore sull'intonaco ingiallito.
Le mie mani tremavano convulsamente e cercavano oggetti su cui placare l'afflusso doloroso di stimoli nervosi.
"Damon ...?"
Il sussurro della sua voce mi bloccò.
Chiusi gli occhi e andai a cercare il mio autocontrollo contro la porta chiusa.
Vi appoggiai la schiena e mi lasciai scivolare a terra.
"Elena ... perché sei qui? Come hai fatto a trovarmi? Perché mi hai cercato?"
"Mi sono svegliata e non c'eri, sono tornata e tu non eri lì. Cosa ti aspettavi che facessi?"
"Che te ne stessi al sicuro, lontana da me. Ancora non so se posso controllare il mio istinto di predatore di vampiri, ancora non so come raccogliere i pezzi della mia vita: non so ... non capisco ... Kath?"
"Sì. Si è impossessata di me: era lei che ti ha detto quelle parole. Stefan mi ha raccontato tutto. Damon: come hai potuto crederle?
Uno scambio. Kath nella pelle di Elena. Elena bendata, dormiente, impotente.
Possibile che nessuno se ne fosse accorto?
Nessuno, nemmeno le sue più care amiche, che affermano di conoscerla come la propria immagine riflessa nello specchio.
Nessuno, nemmeno suo fratello, per la cui vita avrebbe dato la propria.
Nemmeno Stefan, che l'aveva avuta tra le braccia, che conosceva la sua anima a fondo, nel profondo.
Nessuno.
Nemmeno io.
Come avevo potuto non capire?
Come avevo potuto lasciare che Kath infierisse su di me, ingabbiando Elena nel suo stesso corpo?
Non l'avevo riconosciuta, non avevo potuto combattere per lei. Mi ero arreso prima ancora che la battaglia cominciasse, per combattere una guerra parallela, contro l'amore, per sradicarlo dalla mia carne.
Io non ero stato sconfitto: ancora una volta avevo disertato la vera lotta, ed ero capitolato.
Quella maledetta troia aveva inscenato un gioco d'illusionismo e si era approfittata delle crepe della mia anima fragile, della mia insicurezza, eterna e immutabile, per sferrare il colpo mortale.
La sua regia accurata aveva mosso i burattini della storia a suo piacimento, spietatamente, senza curarsi di chi schiacciava sotto il peso del suo enorme egoismo, chi distruggeva con la lama del suo immenso menefreghismo.
Risultato?
Ora Elena era frastornata, incredula, delusa.
Io ero stato derubato, usurpato, deturpato.
Mio fratello stesso aveva subito un inganno atroce, un nuovo colpo al cuore, un altro abbandono, un ulteriore inganno.
Come una serpe, aveva inoculato il suo veleno, intossicato le nostre esistenze, procurato danni irreparabili alle nostre vite.
Come potevo aprire quella porta?
Come potevo guarire le profonde ferite che entrambi portavamo nella carne, dentro l'anima sanguinante?
Mi maledicevo.
Perché non mi ero fidato delle parole di Elena, quando mi dichiarava il suo amore incondizionato?
Perché ho preferito credere alle bugie di Kath?
Perché davanti all'amore perdo lucidità?
Sarebbe stato così facile capire i segni, scoprire le differenze, stanare i complici, smontare il complotto!
Invece ho subito l'inganno, rimanendone accecato e stordito, credendo alla menzogna perché troppo vicina all'immagine che ho di me stesso, troppo simile a quella di un bambino che pensa di meritare le punizioni inflittegli, che pensa di corrispondere ai giudizi denigratori di adulti troppo rigidi ed ottusi.
La mia visione distorta mi aveva fatto leggere messaggi inesistenti, cogliere segnali distorti; mi ero lasciato spodestare dal posto che dovevo difendere, dal posto che mi spettava: vicino a lei, al suo fianco.
Adesso, oltre la porta chiusa, vi è una donna profondamente lacerata eppure fortemente determinata a sfondare quella barriera e venire da me, ancora una volta.
Ma sarebbe stato giusto per lei accettare questo uomo ormai spogliato da ogni parvenza di umanità?
Sarebbe stato giusto, per lei, tentare di ricostruire un uomo che si sarebbe sbriciolato non appena lei avrebbe solo accennato ad andarsene?
Le avevo dato tutto, non mi era rimasto più nulla.
Lei, ostinatamente, rimaneva incollata alla porta chiusa.
Il mio silenzio rispondeva ai suoi sospiri.
"Elena, cosa aspetti? Cosa ti aspetti da me?" rantolai.
"Voglio che tu mi apra che mi faccia entrare; voglio vedere il tuo volto, i tuoi occhi. Voglio vedere te!"
"Non c'è più nulla da vedere. Non è rimasto più nulla da guardare."
"Perché mi allontani? Perché non mi vuoi?"
Bestemmia!
Io la volevo con ogni fibra del mio essere: volevo abbracciarla, aggrapparmi a lei, rifugiarmi in lei, morire per lei.
"Elena, devo abituarmi a vivere senza di te: dipendo da te come la vita dipende dall'acqua. Devo poter rimanere in piedi anche senza il tuo appoggio, devo credere di poter vivere per me stesso, prima che per qualunque altra persona." Non credevo nemmeno io alle parole che stavo dicendo.
"Non mi ami più?"
"Ti amo troppo e male."
"Non si può amare bene o male, si ama e basta," disse esasperata.
"Non posso stare con te con l'eterna paura di quello che potrei fare se ti perdessi di nuovo!"
"Hai paura di perdermi, e allora mi lasci? È come diventare anoressici per paura di rimanere senza cibo! Non puoi pensare di abituarti a vivere senza di me per poter stare con me: non essere assurdo, non essere vigliacco!"
"Elena, hai visto cosa accade se mi lasci, se non stai con me? Io sclero, odio, distruggo!"
"Ora lo sai, puoi superarlo. Cercherai te stesso ed io ti sarò accanto per dirti dove trovarti, per gridarti quanto sei pazzo e magnifico, quanto sei coraggioso e infantile, vitale e di vitale importanza per me. Come credi che mi sia sentita quando mi hai lascito, quella sera? Eppure mi fidavo del tuo amore, nonostante conoscessi la tua cocciutaggine; mi fidavo di te, nonostante tu non lo facessi. Sapevo che ti avrei sempre trovato dove avevo bisogno, quando avevo bisogno ed infatti eri lì, mi stavi aspettando e mi hai accolta tra le tue braccia. E' il mio ultimo ricordo prima di essere stata fagocitata da Kant, il primo al risveglio dal mio incubo peggiore. Non posso immaginare di vivere senza vederti, di continuare ad aprire gli occhi senza sperare i poter incontrare i tuoi. Tu mi hai lasciato, ma non mi hai mai abbandonata. Tu ci sei sempre stato. Non riesco nemmeno a pensare che possa non esserci più."
La sua voce era rotta da singhiozzi trattenuti, la sua sofferenza palpabile.
Che cosa avevo fatto per meritarmi tanto amore da parte sua? Quell'amore che mai pensavo di poter meritare? Io mi ero limitato ad adorarla al di sopra ogni vita, di ogni essere, di ogni cosa. Avevo solo respirato ogni suo respiro, limitato a porre la sua salvezza davanti alla mia, prima della mia.
Ero sempre stato pronto a morire per lei.
Sarei mai stato pronto a vivere per lei?
"Elena, ho fatto cose atroci: ho ucciso, ricusando la mia umanità, chiudendola in una bara, lasciata soffocare. Non ho più niente, non sono più niente."
"Lascia che sia io a dirlo, cerchiamo di scoprirlo insieme dove sei, se ci sei. Io ti sento, sento la tua voce carica di sofferenza, sento il tuo cuore battere un ritmo instabile, i tuoi pensieri tormentati. La tua umanità non è morta: la sento combattere per riemergere, la sento gridare per farsi ascoltare."
"Io sono un mostro!" gridai, sbattendo i palmi contro la porta chiusa.
"Tu sei un vampiro, non un mostro; un uomo, non una bestia."
"Ho scelto il mostro... ho liberato la bestia."
"Allora perché sei qui solo? Perché non sei in giro a squartare donne e bambini."
"Chi ti dice chi non lo stia facendo? Chi ti dice che non lo abbia appena fatto?"
"Perché, nonostante tu insista che ti piace uccidere, so non ti dà più lo stesso piacere, ammettilo!"
"Uccido ancora, ho ucciso, non mi importa più..." balbettai, fiaccato dalle sue parole.
"Esatto! Non t'importa più: potresti uccidere o no. Uccidere non è più una priorità, uccidere non è più una necessità: me lo hai insegnato tu, mi hai educata tu mi hai salvata."
"Vattene, Elena," ringhiai.
"No! Dovrai aprire quella porta e strapparmi il cuore," insistette.
"Elena ..."
"Lasciami provare... provaci... proviamoci ancora una volta, non per me: per te, per noi."
Quella che Elena mi stava offrendo era un'opportunità preziosa, unica, forse davvero l'ultima: sarei stato un idiota a non afferrarla, a buttarla via.
Però era atroce trovarmi a fronteggiare questa occasione, questa mano tesa, nelle condizioni peggiori: avevo troppo da farmi perdonare, da perdonarmi, e niente da offrirle se non il guscio vuoto del mio essere.
La paura di un nuovo abbandono mi permeava come acqua salata nei pori di una spugna.
La voglia di lei mi prosciugava come vento nel deserto.
Voltai appena il viso verso la maniglia della porta chiusa. Allungai la mano e la afferrai.
Mi fermai.
Mi sforzai di immaginare la mia vita con lei e perderla di nuovo: estasi e tormento, inferno e paradiso, vita, morte forse rinascita, un turbinio di emozioni salvifiche e devastati, una vita piena, non importa se di dolore o gioia. Una vita piena, vissuta.
Chiusi gli occhi e guardai il mio futuro senza di lei: dietro le palpebre vidi solo un'estensione illimitata di tempo vuoto, una distesa di terra bruciata, buio come un universo senza stelle, inutile, come la ricerca di qualcosa che già sedeva oltre quella porta chiusa.
Un suo sguardo valeva i tormenti dell'anima?
Una sua carezza valeva le torture sopportate?
Un suo abbraccio valeva la perdizione eterna?
Un suo bacio valeva la mia sanità mentale?
C'era solo una risposta, una sola possibile, una sola accettabile!
Abbassai la maniglia e la porta si aprì.
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Oltre la porta chiusa
FanfictionAncora Damon ed Elena. Dopo che Kath si è impadronita del corpo di Elena, Damon intraprende una spirale discendente di sofferenza. Fino ad arrivare quasi a uccidere Stefan. Parte, scappa, si allontana per non creare altro dolore. Ma al suo dolore, c...