p i a n t e

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Prima di allora non avevo mai pensato a quanto fosse difficile respirare.
L'ossigeno era sempre passato nei miei polmoni con la tranquillità di ciò che non poteva fare altro, ed io non ci prestavo attenzione al punto che non riuscivo ad immaginarmi senza.

Quel giorno ero entrata in casa con freddezza, avevo messo della musica, e poi avevo fatto qualche passo verso il bagno. Volevo vomitare.
Odiavo la sensazione bianca della nausea, non mi sarei mai spinta a tanto, ma scelsi una canzone che non mi piaceva, per compensare.
Gli ultimi tre mesi erano stati così asfissianti che non pensavo avrei potuto sentirmi peggio, neanche se non avessi mai più avuto aria.

I colori spenti si accasciavano sul parquet in legno chiaro, lasciando il soggiorno spoglio della sua vivacità.
La sala tempestata dal verde di piccole piante non mi rivolgeva più da tempo un caloroso benvenuto, e piano piano avevo cominciato ad odiare anche quelle tante foglie che prima amavo, e che costellavano mensole e mobili.
Ogni cosa che vedevo trasudava realtà, una realtà che non riuscivo a percepire talmente complessa.
E tutte quelle piante insieme, disposte con tanta armonia, provocavano solo il frastuono della linfa che scorreva in esse ed emanavano l'ebrezza dell'apatia che io, da essere umano, non potevo afferrare.
Avevo l'impressione che mi mancasse qualcosa di inattingibile.
Come se con la loro voglia di assorbire vita stessero invece togliendo ossigeno a me.
Essiccata, le guardavo fiorire e non potevo che sentirmi a disagio tra le loro foglie silenziose, mentre tutto il mio corpo urlava.
E magari è così che si sentono le piante che stanno per morire.

La possibilità che mi sarei potuta risvegliare non mi aveva neanche sfiorato la mente.
E invece ero lì, viva e vegeta cercando di adattarmi ad esistere di nuovo.
Avevo addosso i segni violacei che la corda aveva abbandonato sul mio collo prima di slegarsi dal soffitto, e per qualche motivo li osservavo come fossero cicatrici di un passato lontano.
Forse perché tra le mura bianche dell'ospedale il tempo pareva essersi fermato, racchiundendo tutto ciò che prima mi schiacciava in uno spazio completamente diverso.
Di quel lasso di tempo in cui ero rimasta sospesa nel vuoto non ricordavo più quasi nulla, riuscivo però a percepire la gravità del mio gesto dal tono con cui gli infermieri si rivolgevano a me.
Ero stata fortunata, dicevano.
A me sembrava una di quelle cose che si raccontano per far star meglio, come se il fatto che la vita fosse rimasta attaccata a me quando non la volevo potesse, in qualche modo, aiutarmi.
Tuttavia rimasi in silenzio e sorrisi alle loro parole delicate.

Il tempo in quella camera trascorreva così lentamente che non riuscivo a star dietro al passare dei giorni, ma se c'è una cosa che mi è rimasta impressa di quel periodo è la notte.
In parte perché per la prima volta mi trovavo lontano dai treni instancabili della stazione vicino cui vivevo, ma anche perché era l'unico momento in cui non c'era nessun altro con me.
E in quella solitudine le emozioni impresse sul mio corpo venivano fuori, così la gola si chiudeva all'improvviso facendomi svegliare di soprassalto alla ricerca disperata di un po' di ossigeno.

Poi, tutto ad un tratto, ero uscita dall'ospedale. Non so ancora descrivere la sensazione che provai.
Avevo osservato il paesaggio dalle finestre per settimane, forse mesi, ma le persone, gli alberi e le case avevano un sapore azzurro attraverso quelle vetrate.
Come un dipinto intangibile, gli oggetti che vedevo suonavano quasi astratti e bidimensionali.
Ed era così strano accorgersi del cambiare del vento a seconda di ogni mio spostamento che avrei preferito restare immobile, chiusa in una stanza lontana da tutto.
Nell'ospedale regnava un silenzio confortevole a cui mi ero abituata e che faceva contrasto con i rumori pesanti della strada.
Tra le grida dei bambini, i colori accesi dei poster pubblicitari e gli odori provenienti da tre caffetterie pareva impossibile non perdersi una seconda volta, ed era disarmante vedere gli altri muoversi con tale indifferenza di fronte a quell'assurda mescolanza di stimoli.
Eppure in quel momento li guardavo affascinata, colpita dall'insieme di tutto ciò che il mio essere viva riusciva a percepire su un marciapiede, come fosse l'ultima volta.

E forse è il massimo a cui una persona può aspirare, o almeno è il massimo a cui ora aspiro io.
Forse la vita perde di sapore quando la si passa deglutendo solo bianco e azzurro, forse non vale tanto la pena di restare immobile tra la folla.
Forse ho trovato l'armonia a cui ambivo, o forse mi sono chiusa in un'altra bolla che prima o poi scoppierà, e forse anche peggio della precedente.
Adesso mi rimane solo una pianta e un po' di ossigeno da respirare, nella speranza di non finirlo prima che una corda si sleghi di nuovo.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Nov 05, 2022 ⏰

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