Era completamente ubriaca, non tanto da vomitare, ma abbastanza da sentire la testa leggera e ridere senza alcun motivo, mentre ballava in mezzo alla pista del locale.
Agitava i fianchi a ritmo di una canzone commerciale che non conosceva, mentre i suoi lunghi capelli neri ondeggiavano sulla schiena lasciata scoperta dal vestito brillantinato.
Sentiva molti sguardi addosso, li percepiva, ne godeva.
Sorrise tra sé e sé, senza rivolgere la minima attenzione a nessuno.
A Candice piaceva essere ammirata, era molto a suo agio con il suo corpo, con le sue forme e si era ammazzata di palestra per anni per ottenerle.
Non aveva mai avuto paura degli sguardi, non temeva le attenzioni indesiderate, ne aveva ricevute per una vita.
Era sempre stata una ragazza fin troppo attenta, sin dall'adolescenza aveva notato gli occhi degli uomini seguirla, scrutarla, l'agitazione che creava entrando in una stanza.
Poteva immaginare i pensieri nelle loro teste, quando li vedeva strofinarsi le mani o leccarsi le labbra brevemente, prima di distogliere lo sguardo con colpevolezza.Candice era sempre stata off-limits, solo qualche folle avrebbe osato avvicinarsi a lei, guardarla per più di pochi istanti.
Era pur sempre la figlia di suo padre, per quanto lei lo odiasse.
Gli uomini, i ragazzi della sua età si limitavano ad osservarla da lontano, sognavano di averla, una bellezza così era impossibile da ignorare e, al sicuro da orecchie conosciute, tutti parlavano di lei, si scambiavano commenti dissoluti, indecenti, su quello che avrebbero voluto farle se avessero potuto avvicinarsi.
Ma ora Candice era a New York.
E a New York nessuno la conosceva, nessuno conosceva suo padre e i ragazzi le si avvicinavano come mosche.
Lei godeva di quelle attenzioni esplicite, di quella semplicità con cui gli uomini si approcciavano a lei, senza alcun timore.
Come fosse una ragazza qualsiasi, libera.
E forse, finalmente sarebbe riuscita ad esserlo.
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"Candy, vado a prendere degli altri drink!" mi avvisò Leighton, la mia coinquilina, con un dolce sorriso prima di allontanarsi.
"Prendimi una vodka, liscia!" le urlai, ridacchiando "e non chiamarmi Candy!" la sgridai, come ogni singola volta in cui mi affibiava quel nomignolo infantile, scuotendo la testa contrariata.
Quando ripresi a ballare, sentii due mani sconosciute afferrarmi i fianchi e un corpo iniziare a muoversi dietro al mio a tempo di musica.
Troppo ubriaca di alcool e attenzioni per staccarmi, risi, portando la testa leggermente all'indietro e iniziando a voltarmi, ma prima che potessi anche solo vedere il mio nuovo compagno di ballo in faccia, un'altra figura si avvicinò a noi e fece segno al ragazzo di sparire.
Non so se fu colpa del mio stato alterato, ma non appena misi a fuoco l'uomo che avevo davanti, trattenni il respiro per qualche secondo.
Un paio di occhi color smeraldo, talmente verdi da lasciarmi spiazzata, mi guardavano con così tanta lussuria, mi guardavano come se fossi l'unica persona presente in quel locale.
Alto, ben piazzato e la sua muscolatura accentuata e tonica era in parte nascosta dalla camicia nera che indossava, che tuttavia lasciava intravedere i numerosi tatuaggi sulle braccia e due rondini sul petto.
Il viso da ragazzino era piegato in un sorriso sfacciato, contornato da due fossette innocenti, mentre si passava una mano piena di anelli – presumevo molto costosi– tra i capelli leggermente ricci, in attesa di una mia mossa.