I'd choose you

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Aprendo la porta, ancora prima del profumo, il primo segnale fu il buio. La casa era in totale penombra e l'aria aveva un odore soffice e dolce, come quello dello zucchero filato. Invitante al punto che il suo primo istinto fu quello di aprire la bocca con l'inutile intento di assaporarla.

Da verdi, i suoi occhi cambiarono gradualmente tonalità, scivolando verso il dorato del miele.

«Lee» chiamò.

Cazzo, la sua voce era già diventata più greve e non era in casa che da pochi secondi.

Non ci fu risposta.

Si mosse, seguendo il proprio istinto che lo guidava, come la gravità, verso il nuovo centro del suo universo. Lasciò cadere la valigetta sul pavimento, le dita che scioglievano il nodo della cravatta fattosi improvvisamente troppo stretto, la salivazione che aumentava ad ogni passo e nuovo respiro.

Nel silenzio, ansiti spezzati e rantoli rabbiosi giunsero alle sue orecchie sensibili già in cerca di quei suoni.

Denso, concreto e oltremodo intenso, l'odore bollente lo colpì come una frustata in pieno viso non appena varcò la soglia della lavanderia.

Le iridi presero a cibarsi lentamente della pupilla non appena si posarono sulla figura del proprio mate, raggomitolato sul pavimento tra la biancheria usata.

Levi era in condizioni pietose, sudato dalla testa ai piedi e febbricitante, col viso arrossato, i capelli in disordine e gli umori che avevano inzuppato alcuni asciugamani messi alla rinfusa tra le cosce. Alle narici, stretta tra le mani, una camicia di Eren.

Quando sollevò il volto solitamente pallido, però, lo sguardo dell'Omega era fuoco puro. Avesse potuto, lo avrebbe incenerito sul posto.

Eren si sforzò di controllarsi e tenere a bada il proprio Alpha. Era come se ogni singolo muscolo e nervo del suo corpo in quel momento fosse sottoposto ad una pressione a malapena possibile da sopportare.

Si avvicinò, slacciando i primi bottoni della camicia. Nonostante tutto in lui – la postura, il colore degli occhi, il ringhio silente che si riverberava nella sua gola – urlasse quanto profondo fosse già il suo desiderio, quando Eren parlò il tono era calmo, come se fosse passato di lì solamente per caso e non rientrato velocemente, guidato da un sesto senso che non lo aveva mai tradito in precedenza.

«Lee... Vieni, vieni qui» disse, raccogliendo il corpo del suo compagno insieme alle varie spugne ed ai vestiti. Portò il suo viso contro il proprio collo, vicino ad un tessuto che era stato indossato tutto il giorno, contro una pelle già bollente che aveva il suo forte e vivo odore naturale. «Non è meglio, qui? Mh?» mormorò, girandosi per uscire dalla piccola stanza.

Levi si fece rigido tra le sue braccia, incapace di reprimere il brivido che lo attraversò non appena il profumo dell'altro appannò i suoi sensi tesi. Fu come se una coltre di fumo gli avesse oscurato la vista, rendendolo cieco eppure perfettamente consapevole di quanto stesse accadendo.

Eren. Alpha. Mio.

Il suo Omega riconobbe immediatamente il compagno, respirando quell'odore forte e persistente che aveva tentato di inalare attraverso la stoffa sgualcita di un indumento che, in altre circostanze, sarebbe rimasto nella cesta del bucato pronto per il categorico lavaggio a 90° cui sottoponeva ogni cosa. Ma non quel giorno, non quando il calore lo aveva colto così repentinamente da fargli tremare le ginocchia e cadere al suolo come un sacco di patate.

Odiava quel momento, quei maledettissimi fottuti giorni che lo rendevano una gelatina inerme e bisognosa di cure, dove un Levi recalcitrante doveva necessariamente far spazio anche all'Omega che si rifiutava di essere.

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