A settembre, quando la stagione dall'estate afosa scivola lentamente nell'autunno, Central Park inizia a tingersi delle più belle sfumature di giallo e arancio. Il parco, la mattina e la sera, è sempre pieno di gente che fa jogging. Gli americani hanno sicuramente il cibo più terrificante del mondo, ma come ogni democrazia un po' folle, hanno anche una potente e martellante campagna contro le malattie cardiache e a favore della corretta alimentazione. Durante la mattina ci sono anche le mamme - o le baby sitter - con i passeggini e i dog sitter. Quando scatta la pausa pranzo, il parco si riempie di impiegati in giacca e cravatta e segretarie in tailleur.
Osservo ogni cosa dalla panchina dove sono seduto. Non ne conosco il motivo, ma stare qui mi aiuta a liberare la mente ed a concentrarmi sul mio pentagramma. Sì, perché io suono in un gruppo, la chitarra elettrica per la precisione e sono anche colui che scrive le canzoni, per il cantante chiaramente, per la sua voce. O almeno ci provo. Sono dieci anni che suoniamo musica metal insieme, siamo amici, potremmo dire - a parte le tre volte in cui abbiamo fatto a botte - ma credo faccia parte della routine. Siamo anche famosi, ma non è di questo che voglio parlare anche se, devo ammetterlo, mi ha fatto piacere il contratto con la Universal Music che nove anni fa ha completamente stravolto, in meglio, le nostre vite.
Quando vengo in questo parco mi vesto in modo completamente diverso dal mio modo usuale, indossando giacca e cravatta, come fossi un impiegato. Rispetto alla musica che scrivo e a come mi abbiglio di solito, probabilmente mi prendereste per un pazzo maniaco, ma in realtà mi piace mescolarmi con la gente e non farmi riconoscere, come se fossi ancora uno qualsiasi. Inoltre, nonostante la mia indole, ormai mi conosco e so che in fondo al mio essere c'è un manager nascosto, quindi non mi dispiace camuffarmi in questo modo, tenendo anche conto che sto benissimo in giacca e cravatta.
Ed è proprio in una mattina dell'autunno di un anno fa - quasi esatto - che ho visto lei. Ero seduto come al solito e tracciavo l'accordo per il basso della nuova canzone, che sarebbe stata la numero quattro del nuovo CD; le note si rincorrevano pigre sulle righe e non avevo l'ispirazione giusta. Finché lei è entrata nel mio campo visivo. Era seduta su una panchina vicina alla mia, aveva le cuffiette e ascoltava la musica ad occhi chiusi. Indossava la divisa di qualche scuola privata: gonna verde a pieghe al ginocchio, stivali neri, calze scure, camicetta bianca, giacca verde con bordo rosso, una cravatta che riprendeva la giacca. Portava i lunghi capelli biondi, lisci e fini come seta, raccolti dai lati delle tempie con una spilla fino al centro della nuca. L'acconciatura lasciava il volto scoperto dove la pelle chiara, i lineamenti dolci e tranquilli e un piccolo naso un po' all'insù facevano da contorno ad una bocca perfetta e rosata.
Quella prima volta credo di averla osservata basito per almeno dieci minuti buoni, incapace di distogliere lo sguardo. Poi tornai al pentagramma e scrissi tutta la melodia per il basso e per la batteria. Ora sono sulla stessa panchina e lei è esattamente nella stessa posizione in cui la trovo ogni giorno. Molte volte sono stato tentato di andare da lei, soprattutto in due casi: quando, la testa reclinata all'indietro e le cuffiette sempre nelle orecchie, per ben due volte, ho visto delle lacrime scendere dai suoi occhi e rotolare lungo le guance. Ma non mi sono mai mosso.
Mi manca l'ultima canzone, poi potremo incidere. Ho la melodia in testa, ma non è ancora quella giusta. Le note nere si alternano sulle righe del pentagramma, ma io non sono soddisfatto. È una ballata romantica, guardo lei, la mia musa, ma la mia mente, che di solito si muove allo stesso ritmo della musica, non fa più quel ballo, non danza più come quando l'ispirazione mi coglie e scrivo rapido le note, una dietro l'altra, come se temessi che la mano potesse dimenticare quello che il cuore sente. Mi batte, il cuore, ogni volta che scrivo la musica, come se ci fosse la mia amante e non un pentagramma davanti a me, come se fossi innamorato.
Così mi sono deciso, voglio sapere chi è, come si chiama, perché ogni giorno viene a Central Park e ascolta la musica, perché piange. Se i miei amici sapessero cosa faccio per comporre quelle canzoni che piacciono tanto, probabilmente mi sfotterebbero per la vita intera. Eppure qui, con lei, così vestito, mi sento davvero un altro, una parte di me che tengo nascosta a tutti. Anche a me stesso.