Non è quello che hai sempre desiderato?

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Il sole scottava prepotente in quella soleggiata mattina. Non era ancora estate e non erano neppure passate le otto che già Izuku Midoriya poteva dire di star sentendo il caldo tipico del mezzodì di luglio. La seconda campanella di inizio lezioni era suonata da qualche minuto, ma nessuno era ancora puntualmente entrato in classe. Nessuno eccetto lui ovviamente. Sapeva chi sarebbe arrivato dopo, ogni mattina arrivavano a chiazze e si sistemavano tutto attorno a lui, ma ancora meglio, sapeva che dopo di tutti sarebbe arrivato il suo amico d'infanzia Kacchan, scortato dai due gorilla della classe. Sapeva che lo avrebbe guardato con scherno e che anche gli altri avrebbero fatto altrettanto, sapeva che lo avrebbe deriso un poco e gli altri avrebbero fatto da eco, sapeva che le avrebbe prese ingiustamente e gli altri sarebbero restati a guardare, sapeva che gli avrebbe distrutto quel briciolo di autostima che gli era rimasto e che nessuno lo avrebbe fermato. Mandò giù l'amaro e sedette, pochi attimi dopo la solita pantomima ebbe inizio. Le lezioni erano finite da un pezzo quando il ragazzetto dai capelli verdi si recò alla fontana situata al centro del cortile della scuola, situata appena una decina di metri sotto la finestra della sua classe; osservò in lacrime il suo quaderno degli appunti, o meglio, quello che ne restava, completamente zuppo e abbrustolito, proprio come il suo cuore. Si toccò la spalla dove Bakugou aveva quasi provocato un'ustione, poteva sentire il dolore della ferita farsi vivido, pianse.

Pensò che almeno quel giorno non le aveva prese, che sarebbe tornato a casa senza lividi e senza menzogne da raccontare a sua madre, pensava. Sulla via del ritorno aveva pensato di tirarsi su, aveva pensato di ridere alla luce del sole per scacciare le tenebre che lo stavano assalendo. Ma quel giorno, era stato deciso che nulla sarebbe andato secondo i suoi piani. Non aveva neppure svoltato l'angolo o finito di pensare, non sapeva nemmeno come le dinamiche si fossero svolte! Si era trovato con parte di un Villain viscido e verde in bocca, il resto lo stringeva come ad ucciderlo. Sarebbe morto lì, soffocato dalle disgustose membra di un mostro di fango? Pianse, pregò. Sentiva l'aria mancare, il mondo vorticare e la luce opprimersi. Sto morendo, pensò. Poi arrivò il suo eroe, All Might, e avvolto da quella luce accecante sembrava così bello. L'idolatrò come non avrebbe fatto con nessuno, e ringraziò il Dio che lo aveva spinto a resistere. Voleva essere d'aiuto anche lui però, anche lui voleva essere un eroe. Gli si aggrappò alle gambe come una cozza prima che l'omone potesse balzar via, poi atterrarono sul tetto di un grande palazzo. Prima che potesse di nuovo sparire, Izuku gli chiese:

"Posso diventare un eroe anche se non ho un'unicità?"

L'eroe lo guardò con volto serio, spoglio da quel suo solito sorriso rassicurante e in un secondo frantumò tutte le sue speranze.

"Diventare un eroe... senza un'unicità? Negativo, anche io ragazzo mio debbo dirti a questo

punto che non è possibile. Mi dispiace, ragazzo mio."

Izuku vedeva il nulla, il vuoto e sentiva il dolore fischiare nella sua testa. Chinò il capo, salutò All Might e si scusò con lui per avergli causato problemi; a capo chino lo precedette lungo le scale, a capo chino si avviò verso casa. E l'eroe non lo perse di vista fino alla sua abitazione.

"Povero ragazzo" pensava mentre da lontano lo guardava sorridere, distrutto, alla madre.

Erano da poco passate le diciannove quando al notiziario venne annunciato che il Villain che aveva cercato di ammazzare il ragazzo verde, aveva cercato di far fuori anche il suo amico Katsuki. Era stata proprio una fortuna che il più grande eroe di tutti i tempi fosse lì. Izuku pianse in silenzio per non farsi sentire. Lo stomaco gli si era stretto nella morsa di un Cobra, le gambe sembravano aver preso la stessa consistenza della polvere. Il cervello si era spento, in preda alla confusione i suoi occhi stavano smettendo di funzionare adeguatamente. Le orecchie non registravano più alcun suono, le braccia erano d'un tratto diventate di marmo, le mani tremavano. La bocca era impastata, le labbra secche, il cuore gli esplose in petto. Lacrime, tante lacrime scesero autonome e velocissime. Un'onda di vento gelido lo riportò al mondo dei viventi, e l'unica cosa che gli parve ragionevole fare, fu infilarsi una felpa e correre verso la porta urlando di stare uscendo alla madre. Non voleva neppure vederlo il mondo esterno, ma in quel momento, stare in casa era come essere stato sepolto vivo. Pregò perché un po' d'aria gli entrasse nel petto quando aprì la bocca, con le gambe formicolanti prese a correre. Pensò di andare a vedere se Kacchan stesse bene, ma si fermò appena prima di raggiungere il cancello della sua abitazione: il biondo esplosivo non avrebbe gradito, poco ma sicuro. Riprese a correre fino a ritrovarsi in un parchetto abbandonato, un posto più morto che vivo, proprio come lui. L'unica cosa che si reggeva in piedi, era un'altalena per due, arrugginita e distrutta, rovinata dalle scritte e decorata dalle erbacce. Reggendosi dalle catene iniziò a dondolarsi, si lasciò andare ad un ritmo lento e monotono. Chiuse gli occhi, pianse di nuovo. Fruscio, rumore di sterpaglie pestate. Tirò su con il naso, spalancò gli occhi.

Non è quello che hai sempre desiderato?Where stories live. Discover now