Submartime

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Questo racconto breve è stato scritto per la XXXII Challenge Raynor's Hall .
La sfida non è competitiva.
Tema estratto: errore.


Il sole di aprile luccicava sulla superficie placida dell'oceano. L'aria fredda si faceva sentire ancora di più sul ponte della nave, per questo Rosejackie se ne stava tutta imbacuccata e tremante nel suo cappotto... per questo, ma anche perché stava iniziando a prendere consapevolezza di qualcosa che aveva sottovalutato: la vasta profondità dell'oceano. Tra dieci minuti tre sommergibili si sarebbero immersi. In uno di quelli ci sarebbe stata lei.

In quel momento Rosejackie vide un giovane, vestito in modo retrò, avvicinarsi al parapetto. Si fermò a qualche passo da lei e guardò l'oceano. La catenina di un orologio da tasca sbucava da sotto il gilet. Non se ne intendeva, ma sembrava uno stile piuttosto arcaico, qualcosa che poteva risalire agli inizi del novecento. Nonostante tutto lo trovò affascinante.
Il ragazzo si voltò verso di lei. «Mi perdoni, madame», esordì accostandosi. «Sembra che qualcosa la tormenti. Posso essere d'aiuto?»
La ragazza sorrise. Per tutto il viaggio non lo aveva mai visto, eppure era un tipo che non passava inosservato. Poteva aver fatto tutto il tragitto chiuso in cabina?
«Sono un po' in ansia per l'immersione», ammise.
«Capisco. Anch'io ho avuto paura la prima volta, ma quel fondale col tempo diventa familiare, e non inquieta più.»
Qualcosa in lui le trasmetteva una forte sensazione di fiducia e affetto. Non le era mai capitato con uno sconosciuto. Decise di raccontagli di più.
«L'idea di tutti quei metri cubi d'acqua che avrò attorno mi terrorizza. Basta una piccola falla nel sistema per morire in meno di un secondo, ma devo fare questo reportage. È una sfida contro me stessa.»
Il giovane guardò il sommergibile che era appeso a una gru e stava per essere calato al livello del ponte. La scritta "Submartime" in verde spiccava sul bianco dello scafo.
«Andrà bene. I macchinari d'oggi sono del tutto sicuri. Mi chiamo Alexander Frost. Perdoni la mia maleducazione, avrei dovuto presentarmi prima.»
«Rosejackie Harper». Gli porse la mano, lui la prese e invece di stringerla la baciò in un gesto galante del passato.

***

Il Submartime stava scendendo ormai da quindici minuti. La lenta scivolata nelle profondità dell'Atlantico aveva ammutolito passeggeri ed equipaggio. A bordo erano in dieci. Due uomini, comandante e vice, gestivano i macchinari, gli altri erano passeggeri paganti o reporter, a cui il viaggio era stato pagato.
La tensione era innegabile. Man mano che il sommergibile scendeva, la luminosità esterna si attenuava e sembrava di cadere dentro un pozzo. Rosejackie sentiva il cuore pulsare esageratamente, e allora doveva chiudere gli occhi e immaginarsi altrove per riprendere il controllo. Talvolta pensava anche ad Alexander. Si ripromise che quando sarebbe tornata in superficie l'avrebbe cercato.
«Bene. Ci siamo quasi», esordì il comandante, interrompendo il silenzio glaciale. «Qualche informazione utile per voi: i primi sommergibili impiegavano delle ore per scendere a 3800 metri. Sto parlando del ventesimo secolo, anno 1980 circa. Il Submartime, oggi, nel 2108, impiega solo venti minuti. I sommergibili di un tempo potevano portare fino a cinque persone, il Submartime ne può ospitare fino a quindici. Ora ci sposteremo in un punto privilegiato e sicuro e poi avrà inizio lo spettacolo. Scegliete un oblò e tenete gli occhi ben fissi davanti a voi.»

Gli oblò erano ampi come finestre. Rosejackie si avvicinò e guardò all'esterno. L'unica cosa che si vedeva era una sorta di pulviscolo illuminato dai fari esterni.
Sapeva che i vetri dell'oblò erano implementati con una particolare tecnologia che chiamavano "cronotrasmettente". Era lì per quello. Aveva già assistito alla visione in rewind di alcuni eventi. C'era un museo nella sua città con alcune cose del genere. Una mela marcia dentro una teca che diventava matura, poi acerba e infine un fiore. Dentro un'altra teca c'era un mucchietto di cenere che in passato era un vestito. Pian piano le lingue di fuoco si accendevano e, brillando, ricomponevano la stoffa per poi spegnersi definitivamente. Alla fine del processo il meccanismo veniva riavviato, gli oggetti tornavano allo stato presente e lo spettacolo si ripeteva. Rosejackie inizialmente aveva creduto che avessero raccolto gli oggetti e li avessero semplicemente messi dietro quel vetro speciale. La guida aveva, in seguito, spiegato che era stata estrapolata una fetta spazio-temporale e che il vetro implementato trasmetteva l'evento passato. Quindi la cosa era molto più complicata: si trattava ritagliare uno spazio quadrimensionale, non di prelevare l'oggetto.
Lo stesso metodo era stato applicato a una certa porzione spazio-temporale del fondo dell'oceano Atlantico, e ciò aveva suscitato uno smisurato interesse nel mondo. Era un'impresa storica che andava documentata.
Seguì una conversazione tra il comandante e il vice.
«Mantieni una distanza di sicurezza di cento metri, non ci farà piacere finire dentro il campo d'azione».
«Una leggera corrente spinge verso sud. Calibro la potenza delle eliche in modo che ci faccia restare su queste coordinate.»
«OK, dammi conferma di stabilità.»
«Confermo.»
«Ci siamo. Implementa gli oblò e aziona il faro».
«Oblò implementati. Faro acceso in tre, due, uno...»
Una luce ancora più intensa illuminò il fondo dell'oceano per svariati metri e il pulviscolo divenne una leggera nebbia. E, oltre quella nebbia spettrale, ecco una sagoma martoriata: la prua quasi irriconoscibile di una nave. Era talmente colossale e tetra, e così vicina da lasciare chiunque a bocca aperta, senza fiato e senza parole.
Per qualche secondo non successe niente, poi qualcosa iniziò a muoversi. Rosejackie premette le mani contro il vetro ipnotizzata da ciò che stava accadendo.
Le stalattiti di ruggine del relitto iniziarono ad accorciarsi, parti del tutto ossidate della murata di dritta (quella visibile da quel lato) si ricomposero come pezzi di puzzle mossi da mani invisibili. Il parapetto, fino a qualche secondo prima assente, tornò al suo posto.
«Abbiamo l'autorizzazione per riavvolgere di un secolo e mezzo. A quanto siamo?»
«Cent'anni appena raggiunti.»
Un brivido d'eccitazione scosse tutti i passeggeri.
«Tieniti pronto a stoppare.»
Si vedeva quasi il colore originale della nave oltre la ruggine: la vernice nera sulla murata, e una scritta bianca vicino al mascone... sì, era appena visibile nel contrasto dei colori, ma si poteva leggere senza troppa difficoltà. C'era scritto "TITANIC".
Da quel momento, come se l'aver risvegliato un fantasma sepolto avesse risvegliato anche il suo spirito maledetto, la situazione precipitò.
«148, 149, 150 anni. Interrompo l'implementazione.»
L'interruttore venne girato, e subito una sirena d'allarme si attivò assieme a una luce rossa lampeggiante che non preannunciava nulla di buono.
«Che succede?», chiese un passeggero, ma non ricevette risposta. I due dell'equipaggio stavano controllando la strumentazione in modo febbrile. «Moriremo tutti?», chiese ancora il passeggero. «Ho speso tutti questi soldi per morire», continuò sull'orlo di una crisi di nervi.
«Stia zitto, stiamo cercando di risolvere», disse bruscamente il capitano. Ci pensò la voce robotica dei computer di bordo a rispondere al passeggero.
"Errore di sistema. Errore di sistema. Errore di sistema..."
Qualcosa aveva mandato in tilt gli elaboratori del sommergibile e adesso l'equipaggio non aveva più il controllo del mezzo.
Rosejackie continuava a guardare fuori dall'oblò congelata dal terrore. Aveva l'impressione che il Titanic diventasse sempre più grande. Si stavano avvicinando.
L'attenzione della ragazza fu catturata da un paio di scarponi adagiati sul fondo, prima troppo distanti per essere visti, ma ora ben distinguibili sul fondo oceanico. E, continuando a osservare, assistette a qualcosa di raccapricciante. Due lunghi bastoni sbucarono dagli scarponi e quando realizzò che in realtà si trattava di ossa, ormai l'intero scheletro era già ricomposto. Si portò una mano sulla bocca e serrò gli occhi.
Le voci concitate del capitano del vice intanto erano diventate grida assordanti.
«Riavviamo i comandi!»
«È troppo tardi. Stiamo entrando nella zona spazio-temporale estrapolata!»
In un momento la luce andò via e Rosejackie iniziò a percepire un senso di vertigine, un sibilo che si trasformò in un fragore insopportabile che sembrava provenire da dentro la sua testa. Uno scoppio, una violenta pressione. Non ebbe il tempo di pensare a niente.

***

L'immobilità assoluta di ogni cosa. La sensazione che tutto fosse candido e luminoso.
Poiché una forte luce passava attraverso le sue palpebre ancora chiuse, pensò di trovarsi nell'aldilà. Senonché, presa sempre più coscienza, si accorse di un odore di vernice e di nuovo che pungeva le narici. E l'idea dell'aldilà sfumò del tutto quando riaprì gli occhi.
Si trovava in una stanza stesa sul piano più basso di un letto a castello. Le lenzuola erano bianche e profumate, le pareti in legno, su di un lato c'era un divanetto blu. La porta si aprì e ne entrò un ragazzo che le parve subito familiare.
«Alexander?»
«Come stai, cara? Le gocce del signor Collett hanno calmato il mal di testa?», chiese lui.
«Ho avuto un incubo», rispose. «Ho sognato di essere nel futuro, a bordo di un sottomarino che scendeva sul fondo dell'oceano, verso il relitto del Titanic.»
Il ragazzo si sedette vicino a lei sul letto, le scostò i capelli dal viso e le tastò delicatamente la fronte.
«Era così reale», continuò lei afferrandogli la mano e stringendola.
«Andrà tutto bene, qui siamo al sicuro, il Titanic è inaffondabile.»
Un brivido le si propagò per tutto il corpo.
«Credo di avere la febbre», concluse.

"Submartime".
Tutti i diritti sono riservati © Monique Namie

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