1. Some days I'm up, some days I'm down

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La giornata non era cominciata decisamente nei migliori dei modi

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La giornata non era cominciata decisamente nei migliori dei modi.

Trascurando il fatto che, se arrotondava per eccesso, Arleen aveva dormito all'incirca tre ore - a causa anche di una certa palla di pelo color fuligine che aveva deciso nel cuore della notte di fiondarsi sul suo stomaco - quella mattina si erano susseguiti una serie di eventi che l'avevano messa decisamente di pessimo umore.

Tra i nuvoloni grigi che sembravano aver preso posto fisso sopra i grattacieli newyorkesi, il ritardo di ben dieci minuti dello scuolabus, il fatto che Elver non fosse rientrato a casa nemmeno la notte scorsa e l'ennesima discussione con sua madre quella stessa mattina, nulla avrebbe potuto peggiorare il suo stato d'animo. Con il cappuccio della felpa calato e le braccia incrociate morbidamente al petto, la ragazza osservava dal finestrino il paesaggio cittadino scorrere inevitabilmente sotto il suo sguardo stanco.

Si sentiva irrequieta. Era stranamente ansiosa da ormai una settimana: lo stomaco spesso chiuso, le occhiaie perenni a causa delle poche ore di sonno che le erano concesse dalla sua mente e le paranoie che sembravano aumentare di giorno in giorno (come il continuare a percepire degli sguardi su di sé). Inoltre, la recente tensione formatasi in casa non faceva altro che peggiorare la situazione.

Perché suo fratello Elver era diventato tutto ad un tratto in grado di sparire improvvisamente per una festa che si era dimenticato di avere o un fantomatico progetto di scienze da completare a casa dell'unico compagno di classe che abita oltre la periferia, per poi non tornare per giorni?

La cosa più sconcertante, tuttavia, era sua madre. Non solo la signora Moore non aveva niente da ridire sulle sue sparizioni o sulle sue scuse palesemente inventate, ma lo giustificava pure. Decisamente strano se poi quella stessa persona era in grado di proibire, invece, alla figlia maggiore di stare fuori dopo le dieci di sera, anche per un banale pigiama party a casa di Charlene, sua migliore amica fin dai tempi delle medie, che abitava da sempre a meno di cinque isolati da casa sua.

«Assurdo.»

«Già, tutto ciò non ha assolutamente senso.»

«Diamine, stai ammettendo che la maglia a righe e la felpa nera che indossi sono assurde per i miseri dieci gradi celsius che dichiara il mio telefono. Che sono non-so-quanti gradi in fahrenheit, ma sicuramente pochi. In teoria. Comunque questa è nuova, un miracolo.»

Arleen si decise finalmente di alzare la testa verso la sua interlocutrice, le labbra premute in una linea retta di disappunto.

«Innanzitutto, sono cinquanta in fahrenheit. Pure i bambini dell'asilo sanno fare la conversione ormai, Charlene. E i miei vestiti sono a posto, come ripeto ogni benedetto giorno. Invece, mi chiedo come cavolo tu sia stata in grado di sconfigurare le impostazioni automatiche dell'app del meteo per la terza volta in una sola settimana. Ti devi proprio impegnare.»

L'amica rispose con una semplice alzata di spalle, sedendosi nel posto libero affianco a lei.

«Talento naturale. Che poi non è colpa mia se quando cambio cellulare, ci metto sempre così tanto a capire come funzionano questi aggeggi. Però, secondo te, se lo metto nel curriculum può valere come competenza?»

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