La fine

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Pioveva a dirotto quella notte.
L'abitacolo della macchina era riempito dal suono scrosciante della pioggia che batteva violenta, dagli sbadigli di Cesare e dagli sbuffi di Nelson che accendeva e spegneva convulsamente la radio.
Eppure, lì, assorbiti dai sedili, nascosti nelle fessure e nelle insenature, sotto quella giacca dimenticata lì da troppo tempo sui sedili posteriori, risuonavano la dolce risata dell'uno, le battute squallide dell'altro, la voce armoniosa del primo che canticchiava vecchie canzoni d'amore di cui inventava più della metà dei testi per lasciarsi prendere in giro dal ragazzo al suo fianco, le promesse vuote del secondo, il rumore dei loro baci e dei loro respiri affannati e dei loro sospiri di piacere.
Si stava troppo stetti in quella macchina con tutti quei ricordi che avevano costruito e che adesso li schiacciavano contro gli sportelli, li spingevano fuori da lì, lontano, per preservare quella felicità che entrambi avevano distrutto.
Non sapevano dire quando e come tutto quello era iniziato, ma di certo sapevano quando e come tutto era finito. In realtà nulla di particolare, avevano litigato per le solite banali stronzate per cui tutti litigano, dopotutto non c'era nulla di speciale tra loro due: la carriera dell'uno e la relazione decennale con la ragazza storica dell'altro avevano avuto la meglio su quello che, in fin dei conti, non era amore.
Nelson avrebbe voluto piangere, se solo fosse stato in grado di farlo.
Cesare non avrebbe voluto piangere, ma non riusciva a smettere di farlo, eppure era stato lui a dirglielo.

- Che cosa?-
Ripetè incredulo il riccio.
- Io non ti amo, mi dispiace.-
Nelson aveva annuito lentamente, poi aveva abbassato il capo, si era infilato in macchina e aveva preso a fissare un punto imprecisato.

Qualsiasi posto su cui posarli andava bene ai suoi occhi, esclusion fatta per il ragazzo che era alla guida e che fino a poco tempo prima era il loro posto preferito su cui posarsi.
Forse avrebbe dovuto mettere da parte quell'orgoglio del cazzo e voltarsi a guardarlo, piuttosto che cercare di far smettere di sanguinare quella ferita al cuore con i ricordi ancora vivi.

Forse sarebbe andata diversamente.

Avevano dormito più e più volte insieme, ma mai a Nelson era capitato di svegliarsi con la testa sul petto di Cesare che gli cingeva la vita con il braccio, mai aveva provato quella eccitazione febbricitante mista a tensione; che cosa gli stava succedendo?, non riusciva a darsi risposta e non riusciva a ragionare con quegli occhi che, arrossati del sonno, lo fissavano intensamente.
Era forse quello l'inizio della fine?

Un inizio deve pur esserci se c'è una fine.

Era negli sguardi che si scambiavano in ogni occasione? Nelle loro dita che ripetutamente si sfioravano per una casualità che aveva ben poco di casuale? Se non è qui l'inizio, perché le loro labbra bruciano ancora della fragilità di un primo bacio scoordinato e frenetico che si erano scambiati sotto un portico, ubriachi fradici di vino e solitudine.

Nelson sentì il vuoto sotto di sé.
Era lì che la fine era nata.
Era in tutte le piccole cose che li circondavano, era radicata in loro.

La testa di Nelson prese a girare verso Cesare.
Tutto sembrava essersi bloccato nel tempo e nello spazio. Cesare vedeva muoversi le mani di Nelson che accarezzavano lentamente il suo petto scendendo sempre più in basso, riusciva a sentire le labbra, i denti, la saliva del ragazzo sul suo collo.

Non c'era più gravità in quell'auto.

Tutti i ricordi presero a stringersi intorno a loro quasi come a soffocarli, a tenerli saldi contro i sedili come cinture di sicurezza.

Le mani dell'uno che afferravano il volto dell'altro.
Le mani dell'altro che, tremanti, non riuscivano a finire di sbottonare quella camicia che o finiva a terra con una serie di bottoni scuciti o che alla fine era troppo impregnata di sudore e di chissà cos'altro per poter essere riutilizzata nell'immediato.

Come potevano non amarsi se erano stati così felici insieme?

La poggia scendeva perpendicolarmente.

Nelson sentì gli occhiali sfilarsi dal naso.
- Hai degli occhi bellissimi.-
Gli diceva spesso Cesare prima di posare a tentoni gli occhiali sul tavolino della cucina di Nelson. E della ragazza di Nelson. Perché gli aveva sussurrato di amarlo, quando gli si addormentava tra le braccia e gli posava un bacio sulla fronte dopo avergli tolto gli occhiali? Perché alla fine non aveva lasciato la sua ragazza quando glielo aveva chiesto, così come aveva fatto lui?

Il tempo riprese a scorrere nel momento in cui la mano di Cesare afferrò la mano di Nelson.

-Perché?-
Un sussurro quasi impercettibile che Nelson fu in grado di produrre quando i suoi occhi finalmente si posarono su Cesare.
Era la fine della fine: dopo la collisione, il buio.


HOLA
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