Non dove andare così, o meglio, non sarebbe dovuta andare in questo modo. O forse, era proprio così che doveva andare. E chi lo sa? Ad ogni modo, al di là di ogni aspettativa, non ha molto senso stare a pensare alle cause perché ad ogni situazione in cui ci promettiamo di fare diversamente da come ci siamo comportati, finiremo per ritrovarci in un'altra situazione dove rifletteremo su come fare meglio. Eppure, speculare il proprio tempo pensando a quelle che sono state le cause non servirà a trovare una soluzione; si dice che "chi dimentica il passato è condannato a ripeterlo", ma anche ragionare su quelli che sono stati i vari fattori del passato per cui ci troviamo in una determinata situazione presente non servirà a non ripeterli; il fatto che "gli errori" cambino forma, prendano un aspetto differente, ci spinge a credere che non siano gli stessi del passato, e ammetterlo, costerebbe un suicidio di massa. Cambiare città non ci consente di rendere la vita meno complicata, soprattutto se si è dei squilibrati, talvolta, un cambiamento si rivela essere non per forza l'errore principale, ma il generatore di una miriade di problemi, complicazioni, fattori che potrebbero farti salire sul tetto di un edificio da nove piani ove l'illusione di poterli sconfiggere si nasconde sotto le sembianze nel perdere quell'equilibrio sottilissimo su cui sopravvivi.

Bologna, il settimo comune d'Italia più grande per numero di abitanti, città dove, nel 1088, sorse la prima università del mondo occidentale, caratterizzata dai portici, tra i quali, il più lungo del mondo, la Torre degli Asinelli, simbolo delle città, dopo ancora tre secoli spicca dalla terra come la più grande erezione di tutti i tempi, ma ciò per cui la si conosce per la prima volta risiede nell'infanzia di ciascuno, quando si cerca d'imparare le sigle delle targhe automobilistiche, quando anche se si conosce la sua sigla si risponde: Bo. Il centro di Bologna non lascia spazio al silenzio è sempre invaso dal suono dei passi di chi ci cammina, dalle grida dei lavoratori nei piccoli cantieri , dalle risate di chi si è appena laureato, dalle sbuffate d'aria dei bus, dagli insulti di automobilisti impazienti di arrivare a destinazione, dall'arrivo di aeroplani, da flash di selfie sotto le due Torri, in piazza Maggiore, davanti alla statua di Nettuno e in qualsiasi posto si voglia; l'unico momento in cui ci si può avvicinare al silenzio è di sera, quando la maggior parte delle persone che vivono a Bologna entrano nelle proprie case a dormire; i portici, le vie principali, anche i vicoli, le piazze si svuotano lasciando spazio a quelle persone stanche di dormire, di studiare, di lavorare, di vivere. Ciò nonostante, anche di sera, il silenzio non è mai totale, ci sarà sempre qualcuno che barcollando lo romperà in preda a troppo THC nel corpo o a qualche droga accettata a livello sociale, pronto a versare sulla strada il vomito, borbottando lamenti, urlando a squarcia gola canzoni del paese in cui ha vissuto, ed anche qualcuno nel pieno controllo di se stesso potrà sempre trovare una scusa per dar vita ad una conversazione più o meno interessante. La strada è sempre la stessa, in base a come la percorriamo può assumere forma, la quale, può concederci di vederla nella luce o nell'oscurità.

Daniel, non percorreva la strada, non in quel momento, nella stanza satura invasa dal fumo concedeva alla sua mente di viaggiare, di percorrere i vicoli più reconditi, più conosciuti,  della città in cui da poco si era trasferito. Una stanza di piccole dimensioni adattata per la convivenza di due persone con due letti, una cucina, un bagno, uno specchio, un tavolo ed, infine, due scrivanie. Dal suo piano udiva i rumori provenienti dalla stanza in cui il suo vergine gruppo d'amici si riuniva, o per essere più precisi, trascorreva la maggior parte del tempo nell'arco di una giornata. Era ed eravamo la 165. La storia della stanza numero 165 parla di una strada percorsa da matricole universitarie ritrovatesi in uno dei tanti studentati di Bologna. Parlare della "165" equivaleva ad indicare il gruppo. Nell'arco di una giornata conteneva come minimo 4 persone, brulicava di ragazzi che con il loro perpetuo via vai le davano vita. Non c'era giorno in cui Chiara e Mena, le due proprietarie della stanza, potessero rimanere per più di venti minuti da sole; almeno che non fossero delle alcolizzate recidive, delle fumatrici incallite, delle disordinate di primo ordine, i posa cenere che traboccavano di mozziconi di sigarette,  i spazzolini nel bagno, i vari indumenti , la pila, in continua costruzione dall'architetto Giacomo, costituita dai tappi delle bottiglie di vino, erano la prova tangibile che quella stanza non era loro, bensì di tutti i membri del gruppo. Una verità, per certi aspetti, cruda, ma mai percepita o rinfacciata poiché i servi non esistevano, il desco non era inospitale e l'ospitalità non era fredda come i gelati, la solidarietà sostituiva l'egoismo,  la timidezza, dovuta alle prime armi della conoscenza, accompagnata al desiderio di conoscersi,  permetteva alla buona educazione di esprimersi nel mantenimento da parte di ciascuno del gruppo nei confronti di chi avesse bisogno. Lo studentato in cui si erano incontrati era il Carducci, conteneva 280 ragazzi provenienti dal Centro, Nord, Sud d'Italia e qualche immigrato, la sua portineria era attiva 24 ore su 24,  le prime sere in cui tutti arrivarono furono propizie alla nascita di piccole conoscenze che, giorno dopo giorno, sfociarono in amicizie o in relazioni sentimentali; ciascuno si dovette adattare al coinquilino della propria stanza per favorire la convivenza, altri, chi per un motivo che per un altro, chiesero di poterlo  cambiare, i spazi comuni contribuirono a nuove conoscenze tra i piccoli gruppi che si erano creati fino ad allora ed anche a coloro che erano più riservati di carattere  fu possibile presentarsi  rompendo così il ghiaccio.                                                                           La 165 si formò proprio durante le prime sere per necessità per lo più legate al preferire la compagnia alla solitudine, giacché, chi intende divertirsi facendo uso di  qualunque genere di alcool oppure quando programma di partire verso quel viaggio chiamato TRIP, sa benissimo che la felicità è reale solo se condivisa. 




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⏰ Ultimo aggiornamento: Jun 10, 2020 ⏰

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