Capitolo 17 - Non possiamo fingere che non sia vero

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Evan


Sono sorpreso di me stesso.

Come d'altronde lo sono anche i professori che hanno notato un certo miglioramento nei miei voti scolastici. In quest'ultimo mese mi sono rimboccato le maniche che nascondono per bene ciò che deve essere coperto. Di mia spontanea volontà non ho saltato neanche un giorno di scuola.

Mi presento alle verifiche, studio il necessario, non vendo droga agli studenti.

Tutto sommato fare il bravo non è poi così difficile.

Se voglio uscire dalla vita di mia madre devo almeno ottenere il diploma.

Caramello è una bella distrazione, ha rallegrato di gran lunga le mie monotone giornate. Ogni pomeriggio insieme a Tom lo accompagno fuori a fare una passeggiata al parco, e devo ammettere che il vecchio cane ha riportato a casa quel tipo di serenità che pensavo di non potermi più permettere.

Mia madre cerca semplicemente di evitarmi il più possibile. Mi rivolge la parola a malapena, passa la maggior parte del suo tempo a casa del suo attuale compagno di cui so poco e niente, e se devo essere onesto non avrei potuto chiedere di meglio.

Sto ritrovando un po' di equilibrio.

Essere felice è forse troppo pretenzioso, ma posso dire che riesco a stare in questo mondo.

A volte sorrido.

Grazie a Tom ovviamente, quando lo vedo giocare con la sua compagna di classe non riesco a fare a meno d'intenerirmi.

«La focaccia da Mario è la migliore!» Esclama Tom, con la sua solita allegria contagiosa.

Gli scompiglio i capelli mentre il piccolo continua a mangiare il pezzo di focaccia che gli ha sporcato le guance paffute di briciole unte.

«Te l'avevo promesso, no?»

Tom allarga il sorriso, delle piccole fossette gli si formano agli angoli della bocca, e nel frattempo c'è Caramello che ci scodinzola attorno con gli occhi sbarrati. Mio fratello si diverte, mette un pezzo di focaccia sotto il muso del cane che mangia senza indugio.

«La prossima volta convinciamo anche mamma a prendere la focaccia insieme a noi. Che ne dici, fratellone?»

Annuisco. Affermo che è un'ottima idea.

I suoi grandi occhi azzurri mi guardano con quella innocente speranza tanto tipica della sua età. Inarco la testa all'indietro, sposto lo sguardo verso gli alberi che ci fanno ombra, osservo poi il cielo ricoperto da poche nuvole. Il rumore degli altri bambini che giocano fa da sottofondo a questo tranquillo momento.

Sento la piccola mano di Tom stringermi la manica della giacca.

«Proverai a non litigare più con mamma, vero?»

Sospiro profondamente, gli dico che ci proverò anche se so bene quanto la mia buona volontà possa risultare inutile di fronte al carattere difficile di nostra madre.

Lo so che non è solo colpa sua. Si è ritrovata ad avere me come figlio. Ho sbagliato tanto ed io non la biasimo quando mi vomita addosso il dolore represso che ha accumulato negli ultimi anni. Dopo tutto quello che sono stato, l'astio di mia madre è solo una conseguenza dei miei errori.

E questo lo so bene, ma è troppo tardi per rimediare.

Non posso coprire delle ferite così profonde con un semplice cerotto intinto di buoni propositi.

Tom è ancora piccolo, non conosce il male, non sa quanto posso essere nocivo; come tutti i bambini ha il fantastico dono di riuscire a vedere del buono in qualsiasi persona. Forse è per questo che mi vuole così tanto bene, nonostante tutto.

Nessuno può AmarmiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora