Bus To Oslo

24 8 5
                                    

Piove, piove a dirotto da ore. Il rumore incessante degli scrosci d'acqua sui vetri del bus è ormai un suono quasi di sottofondo, ovattato. Il mezzo si muove lentamente. L'autista non riesce a vedere molto attraverso il vetro appannato davanti a lui, nonostante i tergiscristallo svolgano eccellentemente il loro mestiere. Seduta accanto al finestrino e rannicchiata su me stessa per non soffrire il freddo, osservo la nuvoletta di vapore che fuoriesce dal mio naso a ogni respiro e finisce per far appannare il vetro a cui sono appoggiata e gli occhiali da vista, che scivolano sempre più in basso. Ad un tratto il veicolo si ferma, sorprendendo tutti i passeggeri, che iniziano a guardarsi intorno spaesati e si protendono verso i vetri sulla sinistra dell'autobus - il lato in cui mi trovo io - facendolo così pendere pericolosamente. C'è un ragazzo accanto a me, di qualche anno più grande, che non si cura minimamente di quello che gli accade intorno: con le cuffiette nelle orecchie continua a fissare lo schermo del suo cellulare e decido di prendere il suo esempio, tornando nella mia posizione precedente con la testa appoggiata al finestrino. Nonostante però provi in tutti i modi a concentrarmi nuovamente sui miei pensieri e su nient'altro, l'occhio continua a cadermi a scatti regolari sulla strada bagnata e solcata a tratti da qualche automobile che supera la curva poco più avanti e sparisce nella foschia creatasi per via dell'umidità. Mi chiedo cosa abbia portato al nostro arresto improvviso. Ci troviamo in una via provinciale, circondati da alberi e vegetazione incolti sul lato destro della strada a senzo unico, mentre sull'altro si trovano dei portici che con delle colonne bianche sorreggono le abitazioni. Il sole è tramontato da ormai un paio di ore e il buio è inoltrato, ma la luna non si vede, perché coperta dalle nuvole. L'unica fonte di illuminazione sono le fioche luci interne del bus, i suoi fanali - in questo momento spenti - e un lampione dall'altra parte della strada che illumina i portici deserti. Un movimento quasi fulmineo attira la mia attenzione, facendomi girare bruscamente verso il finestrino. Una macchina passa a tutta velocità davanti ai nostri sguardi e non prende - o non riesce a prendere - la curva, finendo dritta contro un albero. Noi tutti ci fissiamo spaventati, consapevoli di aver appena assistito a un grande incidente e quasi non ci accorgiamo che, sessanta secondi dopo, un'altra auto sbuca dalla foschia e fa la stessa fine dell'altra. E così un'altra, e poi un'altra ancora. Spaventati, alcuni passeggeri decidono di scendere dal veicolo e ripararsi dalla pioggia sotto i portici, timorosi che il grande veicolo blu possa fare la stessa fine delle macchine che, come una grancassa in un'orchestra, continuano ad andare contro il grande albero, ormai pieno di metallo accartocciato, segnando il tempo a intervalli di un minuto di quella interminabile marcia funebre. Quando anche io, presa dalla paura, decido di scendere dall'autobus, mi accorgo del mio vicino di posto, ancora perfettamente seduto al suo posto con le cuffiette nelle orecchie. Lo osservo a lungo, prima di prendere una decisione e scrollarlo per una spalla, attirando la sua attenzione. Gli indico l'esterno, senza dire una parola. Non so perché, ma sento che in questo momento le parole non avrebbero fatto la differenza. Un gesto può significare più di mille parole.
bum. Si sente per l'ennesima volta da fuori e il ragazzo si allarma. L'autobus è ormai vuoto e l'albero contro il quale si stanno scontrando tutte le macchine è andato a fuoco, per via della benzina. Neanche il forte temporale ha potuto fermare il triste destino di quell'albero. Ancora una volta senza fiatare, scendo le scalette che mi separano dalla terraferma mantenendo la stretta ben salda sui corrimani di metallo freddi. Non mi volto, ma so che il ragazzo è dietro di me. Timorosa che una macchina a tutta velocità possa spuntare e investirmi, attraverso la strada correndo, nonostante il pezzo di strada, essendo essa a senso unico, sia molto corto. Al riparo dalla pioggia sotto ai portici, mi guardo intorno. Il marciapiede riparato si estende tutto attorno alla strada, continuando anche dopo la curva. È quasi completamente bianco, fatta eccezione per il pavimento che tende al grigiastro. Un grande ascensore a porte scorrevoli si trova all'interno di una colonna particolarmente spessa, il suo pulsante segna due piani, oltre il pian terreno dove ci troviamo noi ora. All'improvviso, alcune donne iniziano a urlare e allarmata per l'ennesima volta mi volto di scatto. Un furgoncino nero dalle forme arrotondate ha fatto la sua comparsa dalla curva, guidando contromano senza curarsene. Diversi uomini con grandi fucili neri si sporgono dai finestrini e uno di loro si trova sul tetto. Iniziano a sparare ai passeggeri che come me volevano solamente raggiungere Oslo con un bus low cost. E poi, a sangue freddo, uccisero chiunque fosse a portata di tiro.

Bus to Oslo//oneshotDove le storie prendono vita. Scoprilo ora