Nicolas

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Se vi dicessi che ricordo la prima volta in cui ho visto Nicolas per la prima volta mentirei. Non è stato un incontro preciso, il nostro. E' stato più un riconoscersi e, giorno dopo giorno, prendere consapevolezza dell'esistenza dell'altro.

Nicolas non era un ragazzo che spiccava tra i tanti. Mi ricordo che lo notai molto tempo dopo l'inizio delle lezioni. Frequentavamo corsi differenti, ma avevamo un paio di lezioni comuni ogni settimana, il che mi permetteva di incontrarlo piuttosto frequentemente, non solo in aula, ma anche nelle strutture universitarie.

Lo vedevo spesso in corridoio, e proprio lì, per la prima volta, i nostri sguardi si incrociarono. Un fugace incontro, quasi inaspettato, eppur così confortante.

Ci seguimmo con la coda dell'occhio. Eravamo a conoscenza l'uno dell'altro, sapevamo che avevamo un legame, seppur, per il momento, solo didatticamente imposto.

Da quel momento prestai attenzione. Prestai attenzione ogni volta che entrava in aula, sempre cinque minuti prima che la lezione iniziasse. Prestai attenzione a come, freneticamente, nell'atto di prendere appunti, mordeva il tappo della sua penna nera, posizionata in bilico fra le sue sottili labbra. Prestai attenzione al movimento delle sue mani, mentre schiacciava, delicatamente, i tasti del pc.

Ma, soprattutto, prestai attenzione sul dove si potesse sedere. Dovevo averlo sempre a vista. Era diventata quasi una fissazione, ma puntare saltuariamente il mio sguardo su di lui, aveva un effetto rassicurante.

Una mattina piuttosto fredda, persi l'autobus per andare in facoltà. Presi il successivo e, appena salita, vidi che c'era anche lui, al lato opposto della vettura. Mi sorprese la sua espressione, quasi incredula nel vedermi in quel luogo a lui sicuramente più familiare. Pensai di stare esagerando, che la mia era solo una visione dettata dalla mia mente. Scoprii solo più tardi che non stavo io esagerando con i miei pensieri, ma che quella mattina anche lui era veramente sorpreso di vedermi e che prese, quell'incontro, come una sorta di segno del destino.

E quello stesso destino, se così vogliamo chiamarlo, ci fece rimanere entrambi distanti per un primo periodo. Ci scambiavamo sguardi in corridoio, per poi passare, in aula, a dei sorrisi bonari, fino a dei flebili "Ciao" fuori dalla struttura universitaria.

Eppure la prima volta che parlammo fu ad un laboratorio pomeridiano. Io persi tempo in pausa pranzo e non arrivai, come al mio solito, in grande anticipo. A passo svelto raggiunsi la sala computer e, appena aprii la porta, vidi quasi tutti i posti occupati. Provai a scorgere se ci fossero posti vicini a quelli del mio gruppo di amicizie, ma non ne trovai.

Però, uno dei pochi posti liberi, era proprio quello vicino a Nicolas.

Mi feci coraggio, e, con un sorriso, mi sedetti.

Ci salutammo all'inizio. Poi calò il silenzio.

"Mi potresti accendere il pc per favore? Non arrivo alla presa."

In tutta risposta, sfoderò un sorriso a trentadue denti.

"Certo, senza problemi."
Ci presentammo e da lì iniziammo a parlare. E scherzare. Inutile dire che della lezione non capimmo nulla.

Da quel momento in poi iniziammo a frequentarci sempre più. Trovavamo piacevole passare del tempo insieme e aiutarci nello studio.

Passammo un paio di mesi separati in cui ci vedemmo saltuariamente, dato il mio ritorno a casa. Pensavo che con questo distacco tutto potesse finire, così come fosse iniziato. E invece il legame, quasi inspiegabilmente, si rafforzò. Le chiamate, i messaggi, erano pane quotidiano delle nostre giornate.

La prima volta che tornai a Bologna, Nicolas mi portò sui colli. Più in là scoprii che, in quel momento, era in una sorta di panico. Aveva pensato ad un luogo in cui mi potessi stupire della bellezza di una Bologna meno urbana. E che aveva fatto tutto ciò per conquistarmi.

Nicolas, nonostante i nostri corsi e tutte le mie amicizie fossero prettamente maschili, non soffriva di gelosia. Aveva solo una grande paura all'interno del nostro rapporto: la paura dell'abbandono.

Innumerevoli volte mi raccontò del suo timore di essere lasciato, perché non eccessivamente bello e, soprattutto, per la sua altezza, decisamente inferiore rispetto alla media.

Si incupiva quando iniziava questi discorsi, ma io rispondevo sempre con la solita battuta, che riusciva a strappargli un sorriso ogni volta: "Almeno, così, non siamo stretti quando dormiamo nel letto singolo!"

Più il tempo passava, più la nostra unione veniva consolidata. Avevamo anche preso l'abitudine di dormire insieme un paio di volte alla settimana, persino durante le sessioni d'esame.

Una notte in cui lui rimase da me a dormire, mi svegliai e lo trovai sveglio, intento a programmare al mio pc. Mi venne quasi istintivo alzarmi a abbracciarlo. Ricordo che posai la mia testa sui suoi folti capelli neri e mi pervase un solo pensiero: "Resterei così per una vita intera." Si scusò per avermi svegliata. Poi continuò a programmare.

Era una sua grande passione l'informatica e una sua frase ricorrente era: "La programmazione è la massima forma poetica di una mente matematica." Adorava anche la fotografia, cosa che scoprii nella nostra prima vacanza insieme. Porterò per sempre con me le foto di quell'alba, visto con una birra in mano, sulla riviera romagnola.

Pensavo, era certa che l'amore tra me e Nicolas non avesse fine.

Eppure la distanza, che all'inizio ci fu amica, ci voltò le spalle.

Avevamo grandi progetti per un nostro futuro insieme.

Io lasciai Bologna e lui fece lo stesso. Per un primo periodo tutto continuò come se la distanza non esistesse. Ma col passare dei giorni, la chimica tra di noi si indebolì. Stavamo cambiando entrambi e vivendo situazioni differenti che, ora, cozzavano le une con le altre. Soffrii, soffrimmo molto, ma dopo quasi un anno di saltuarie visite, decidemmo di separarci.

Nessun litigio, nessun rancore. Una decisione consensuale.

Di tempo ne è passato, ma nel cuore della notte, rivivo spesso il giorno della nostra laurea. Rivedo Nicolas vestito con il suo completo blu, e la corona d'alloro, impreziosita dal nastro nero, che lo faceva apparire ancora più piccolino di quanto fosse. Ricordo anche le promesse che quel giorno mi fece. E ne sono consapevole che lui, quelle cose le pensava veramente. Forse eravamo troppo piccoli, ingenui e ammaliati da una felicità frivola. O, forse, non era quello il nostro tempo.

Sulle Labbra Avevi Il Vento ||-Space Valley-||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora