Amore e morte Parte 1.

110 11 13
                                    

«Dave, stai buono. Arriveremo subito a casa. Ti prometto che preparerò la tua cena preferita, ma piantala di brontolare ora»
Il tono serioso di sua madre gli imponeva di calmarsi. Ma odiava oziare troppo in auto. Gli faceva venire il mal di testa e non sopportava quel caldo strozzante e afoso che si formava come una cappa estiva. Erano anche le ventidue e il sonno incalzava. Lo sballottamento dell’auto tra una curva presa male e l’altra presa peggio gli dava una nausea non da poco. Forse quel gelato era stato di troppo. Prese a giocare con il braccialetto che sua madre qualche giorno prima gli aveva donato, creandolo con un filo attorcigliato su di sé con più colori e con delle perline blu.
No, pensò poi, non era affatto colpa del cioccolato fondente… la colpa era del puzzo dell’abitacolo e del modo di guidare di sua madre. Stavano ritornando a casa da una festa nel paese vicino. Circa un’ora di strada, aveva detto la mamma. Ma, alla sua andatura, almeno mezz’ora in più era passata. E la testa cominciava a essere più pesante ancora.
Lo chignon biondo di lei era come incollato al poggiatesta. Da quando suo padre era andato via, notava spesso che sua madre si agghindava al meglio. Sempre elegante, ma mai in modo scabroso.
Era come una delle principesse di quei grandi regni di cui si sente tanto parlare in televisione. Gli orecchini danzanti a ogni movimento brusco dello sterzo. Gli occhi ansiosi attenti alla strada. Quella donna non stava per niente bene quella sera. Lui lo aveva già notato prima di uscire. Aveva avuto una certa fretta nel vestirsi ed era insolito dato che era sempre ben attenta ai dettagli e preferiva fare le cose con la dovuta calma.Alla festa aveva visto che aveva incrociato qualcuno con cui il suo tono di voce era parso fragile e a tratti altalenante tra l’isterico e una simpatia molto forzata. Una sorta di buon viso a cattivo gioco. Forse non si trovava molto a suo agio tra quella gente, ma a Dave erano parsi tutti simpatici. Ognuno di loro lo aveva salutato con nomignoli o aveva cercato di offrirgli uno stuzzichino preso dal buffet. Come se lui non fosse capace di prenderselo da sé.
«Mamma… sono stanco…»
«Lo so, tesoro. Tra poco saremo a casa» cercò di rassicurarlo, ma le parole non bastarono a nascondere la sua agitazione.
Dave fissò per quel che poteva, data la sua statura, la strada dinanzi a sé. Era seduto dietro, al centro, incatenato dalle cinture di sicurezza. Le luci arancioni dei pali dell’illuminazione stradale scorrevano veloci, forse anche troppo, lanciando bagliori alterni e grandi come braccia che si protendevano nell’abitacolo per brevi tratti, fino a scomparire poi alzandosi sul tettuccio e quasi a volar via dal finestrino.
Sentì l’auto diventare più instabile sotto il controllo di sua madre. Era quasi come se fosse la macchina a controllare lei.
«Mamma, perché non vai più piano? Non ho così tanto sonno…»
Magari era stato lui a spingerla ad accelerare.
«No, tranquillo, piccolo. Va bene così. Tra poco arriveremo a casa e ci faremo una bella abbuffata di latte e biscotti, che ne dici?»
Dave non rispose, guardando preoccupato i cartelli fuori schizzare via come in preda a una fuga immotivata. I bagliori divennero più rapidi e le auto di fronte a loro erano simili a robot che correvano ad alta velocità come nei cartoni del pomeriggio che di solito vedeva.
Aveva paura. Ma non riuscì mai a rivelare questo a sua madre. Dave sentì l’auto spostarsi bruscamente, pronta a fare un sorpasso che a suo parere era poco da manuale.
Le imprecazioni di sua madre rivolte al conducente dell’auto di fianco furono udite per la prima volta in vita sua. E forse fu l’imbarazzo o il terrore a fargli premere la mani contro le orecchie e a chiudere gli occhi.
«Idiota!» urlò di rimando sua madre ancora una volta, con più rabbia di quella che secondo lui era in grado di contenere.
Emise un gemito strozzato che fece voltare immediatamente la sua mamma.
«Ehi, Dave! Tranquillo! Non è accaduto nulla! Su, piccolo!»
Si protese per accarezzarlo e rassicurarlo solo un attimo.
Ma scelse l’attimo sbagliato.
Dave aprì bocca per avvertirla e con il dito stava già indicando oltre il parabrezza. Ma gli enormi fari erano sin troppo vicini e il camion travolse entrambi accartocciandoli e gettandoli nello sterrato. L’urto fu talmente rapido e immediato che le urla di sua madre furono coperte dal frantumarsi inesorabile di tutti i vetri dell’auto. Piovvero all’interno in una doccia di schegge che ferirono le sue manine, prontamente messe dinanzi alla faccia. Per terrore e per sicurezza.
La macchina fece un giro su se stessa andando a cozzare contro il guard rail, che, dato l’impatto, non poté resistere e si spezzò; si alzò da terra facendo un volo e girandosi sottosopra. Cadendo tra la radura e l’erba fradicia un paio di metri sotto la strada, la capotte si piegò contraendosi come una vaschetta di alluminio.
Dave aveva le mani che gli coprivano gli occhi e soffocavano le urla di terrore.
Più sentiva sua madre gridare più lui aveva paura. A un certo punto udì pure un suono quasi liquido. Come quando si prende una fragola e la si morde, o la si taglia, provocando quel suono di morbido squarcio.
Ma non osò aprire gli occhi.
La macchina danzò un po’ sottosopra dondolando. Poi tutto tacque, tranne le prime auto e le prime persone che avevano assistito alla scena. Stavano cercando di scendere fin laggiù e qualcuno aveva già chiamato i soccorsi.
Udiva solo il suo respiro affannoso.
Si preoccupò ulteriormente quando non udì altro che il cigolio ora sommesso dell’auto che si muoveva danzando quasi come si fa con una culla.
Non udiva più sua madre confortarlo.
«Mamma?» domandò debolmente. Ma nulla pose fine al suo timore e al dubbio che martellava il suo cervello circa il rumore di poco prima.
Si staccò la cintura facendo più forza del dovuto. Evidentemente l’urto aveva bloccato la fibbia perché dovette strattonarla con rabbia e graffiarsi i palmi per tirarla via. Una volta libero si accinse ad avvicinarsi al lato guida. Fu la cosa più difficile che dovette affrontare fino a quel giorno. E la più dolorosa.
Si affacciò e le parole gli morirono in bocca vedendo sua madre trafitta nel petto da un pezzo di vetro grande due o forse tre volte le sue mani.
«Mam…» non riuscì a terminare la parola che lei si girò e mostrò il suo volto emaciato e con un rivolo di sangue che fuoriusciva dalla bocca. Vischioso e unto, presto si ispessì. In quel momento stava allungando tremolante la mano verso Dave e riuscì a carezzarlo solo con due dita prima di cedere alla morte e calare il volto spento verso il nulla. Il sangue cominciò a colare come colla verso gli interni dell’auto. Gli occhi fissavano un punto insignificante.
Dave urlò nell’auto e contemporaneamente urlò risvegliandosi da quell’incubo. I suoi occhi si posarono sui bagliori lunari che penetravano dalle persiane rischiarando in parte la scrivania dalle ombre che la attorniavano. Quei fasci di luce erano simili a quelli che aveva davanti agli occhi nel sogno e per questo un attimo aveva pensato che fosse tutto reale ancora una volta.
Il respiro ansante si calmò mano a mano che la sua mente si rendeva conto di essere nella sua camera da letto, nella casa dello zio Hank. Abitava lì da due anni circa dopo l’incidente. Di lì a qualche giorno sarebbe stato il suo decimo compleanno.
Era madido di sudore e per paura controllò sotto le lenzuola.
Nessuna traccia di urina. Non aveva fatto la pipì a letto come l’ultima volta.
Solo in quel momento, alzando ora lo sguardo, si accorse della tenda che svolazzava spinta dal vento come se cercasse di ghermire qualcosa. Scese dal letto e andò a chiudere la finestra osservando per un secondo, prima di serrarla, la piazzola con il giardino e la fontana sotto di lui lambiti dalla luce a pieno regime. Pochi erano gli angoli in ombra che parevano per lui nascondere insidie che lo attendevano.
Sentiva l’acqua sgorgare come un rumore assordante in mezzo al silenzio del sonno.
Era quasi plagiante e dolce.
Un piccolo brivido causato da un colpetto di vento a sorpresa lo fece raggelare e lo convinse a chiudere la finestra. Socchiuse gli occhi in parte infastidito e in parte piacevolmente infreddolito. Era bello per lui dopo cercare conforto dal freddo, nelle coperte calde, e nonostante tutto continuare a sentire quel po’ di freddo solo per rubare ancora più calore per risanarsi.
L’urlo tirato nel silenzio notturno non aveva turbato il sonno di nessuno. Ma quando volse lo sguardo verso la porta della sua stanza notò un’ombra fuggire via strascicando un po’ il pavimento con la suola delle ciabatte. Sbuffò infastidito. Non perché qualcuno avesse sentito il suo urlo, ma perché ora aveva dato a qualcuno di che preoccuparsi. O per lo meno era quello che accadeva sempre quando lui rifaceva quell’incubo.
Erano passati solo due anni, ma il dolore non andava ancora via. E le notti a volte erano troppo lunghe per essere vissute osservando i gelidi venti sogghignare e fuggire fugaci.
Si rimise a letto. Ma il sonno non aveva intenzione di possederlo.
Accese il piccolo lume accanto al comodino. Riprese il libro da dove lo aveva lasciato e continuò la sua lettura. Affascinato dall’occulto, divorava libri su ogni argomento del genere. Che fossero romanzi o leggende o persino guide strane lui le leggeva solo per il gusto di conoscere un lato del mondo che non appariva ordinario.
Continuò a leggere la sua raccolta di leggende assopendosi mentre un’antica storia narrava di un rito che riportava i morti in vita, nell’attimo precedente alla loro dipartita. Le palpebre cedettero del tutto e il libro si aggiunse alla coperta abbracciandolo nel sonno.
Il mattino dopo i raggi sottili ma taglienti del sole lo accecarono attraverso le tende. Si strusciò gli occhi e si portò su di un lato per non essere infastidito. Fu inutile e comprese di aver perso la voglia di dormire.
Andò in bagno e, dopo aver sciacquato il volto che era pallido dal sonno mancato, scese a far colazione.
Dallo sguardo di Ely capì subito che quella notte lo aveva sentito urlare. Appena si sedette dinanzi al piatto fumante di toast e di latte caldo lei gli scoccò un bacio sulla guancia sfiorandolo con i suoi capelli biondi profumati di miele.
Aveva vent’anni ma sembrava spesso che ne avesse poco più di lui quando lo coccolava così. Non che non gli facesse piacere tutto il calore che sua cugina gli donava, ma a volte era imbarazzante.
Lo zio Hank prese a sedere con il suo pancione.
«Ah! Ragazzi! ricordate che il cibo è uno dei mezzi migliori per aggiustarsi la giornata e gustarsi la vitaccia!» disse addentando con faccia buffa che imitava una stramba creatura vorace dinanzi a me.
Era davvero simpatico e difficilmente non riuscivo a ridere delle sue stramberie. Non potevo trovare famiglia migliore che potesse prendersi cura di me. Zio Hank era molto attaccato a mamma. Le voleva davvero bene e anche da molto più piccolo si era preso sempre cura di me ogniqualvolta lei doveva lavorare.
Quando avvenne l’incidente lottò con tutte le sue forze e le sue conoscenze perché il piccolo Dave gli venisse affidato.
Era periodo di feste e quindi né Dave né Ely andarono a scuola. Lei trascorse tutto il pomeriggio con il suo cuginetto, mentre Hank dovette sbrigare il secondo turno di lavoro fino alla notte.
Cercò di tirarlo su di morale e in parte ci riuscì. Poi, mentre erano sul divano dinanzi la tv: «Hai fatto ancora quell’incubo stanotte».
Dave annuì senza spostare lo sguardo da Wile E. Coyote.
Ely si accostò a lui e lo abbracciò facendolo quasi sussultare. Non gli dispiaceva, ma lo aveva preso alla sprovvista e si era spaventato un po’. Ma ricambiò quasi subito la sua stretta calorosa. A volte pensava che fosse così gentile solo perché suo fratello maggiore era morto qualche anno prima in un incidente simile. Era in moto aveva detto, ma più di questo non raccontava mai null’altro e zio Hank non accennava per non farla soffrire ulteriormente, ma anzi abbassava lo sguardo e si passava la manona tra i pochi capelli che spuntavano sulla testa enorme.
Dopo che i cartoni del pomeriggio erano finiti Ely propose un giretto a casa di Timothy. Era un amico che aveva conosciuto da quando era andata ad abitare in quel quartiere. Il primo giorno lo ricordava ancora e continuava a raccontarlo con quella solare punta di divertimento che si ha quando la vicenda si è appena compiuta.
Praticamente era sera ed Ely era boriosamente seduta all’altalena nel giardino di casa sua. Oltre lo steccato sente la voce di un ragazzino che sussulta in continuazione sputando “Accidenti!” a raffica uno dietro l’altro. Così, incuriosita, si affaccia senza farsi scorgere e vede un ragazzotto seduto con la schiena poggiata sullo steccato, intento a leggere. Con l’attenzione e la cura con cui il piccoletto scrutava e divorava ogni singola parola e notando il carattere di scrittura macabro, intuì che era un horror o qualcosa del genere. Attese qualche minuto e sorridendo le balenò un’idea in mente. Tornò vicino l’altalena dove era sito un albero di lìmoni e ne prese uno. Affacciandosi poi nuovamente oltre lo steccato, attese ancora qualche attimo e, con un urlo gracchiato come quello di una strega, fece cadere il frutto sulla testa del ragazzino che cominciò a urlare e dimenarsi, lanciando il libro per aria. Cadde persino in terra scivolando sull’erba e, gridando come un forsennato, non smetteva di scrollarsi qualsiasi cosa si stesse immaginando di avere indosso. Ely scoppiò in una fragorosa risata e solo quando il ragazzo si rese conto che era uno scherzo raccolse gli occhiali e il suo libro, stizzito, e disse ad Ely: «Sei davvero perfetta come strega, sai?» Ely provò a chiedergli scusa ma lui non aspettò e se ne rientrò in casa. Il giorno dopo andò a trovarlo mentre era nuovamente intento a leggere. Lui la fissò e poco dopo, anche se cercò di resistere, cominciò a sorridere scuotendo il capo. «Dai è stato divertente in fondo, vero?» disse lei sorridendo. «Mi hai fatto paura…» la rimproverò lui. «Ti chiedo scusa… Ma ora ti va di andare a giocare?» «Con me dici?» chiese lui sorpreso. «Certo… non l’ho mica chiesto al tuo libro». Si erano molto legati da quel giorno, ma anche in una situazione differente, non mancava di ribadire Ely, sicuramente avrebbero stretto amicizia ugualmente.
Uscirono di casa affrontando la frescura del pomeriggio. Solo una brezza leggera, niente di più, anzi anche piacevole sulla poca pelle scoperta.
«Andiamo, Dave! Quello squinternato ha detto che ha qualcosa da mostrarci».
Beh, in effetti era un po’ troppo fissato per le cose “occulte” secondo lui, ma non era da definirlo squinternato. Era piuttosto divertente e affascinante il suo modo di esplicare certi argomenti facendoti quasi credere che lui li abbia visti o abbia vissuto determinate situazioni davvero.
A quell’idea che lo allettava, affrettò il passo, per vedere queste sue nuove novità che aveva da mostrare.
Era a dieci minuti da casa loro e anche Alphonso li avrebbe raggiunti.
“Mitico Al” era un altro amico di Ely. Aveva all’incirca l’età di Timothy, forse un anno in meno.
Era all’oscuro del perché venisse chiamato “Mitico Al”, ma notava un certo imbarazzo nel suo volto quando veniva apostrofato così.
Arrivarono dinanzi casa sua e i nani da giardino, che Tim odiava, li fissavano entrare nel cortiletto.
Da un lato capiva perché tanto odio nei loro confronti: semplicemente, i loro visi di lattea ceramica sembravano nascondere un’anima funerea e corvina. Dave rimase a guardare il più vicino delle statuette che lo scrutava attraverso i suoi occhi dipinti con un fare tra il divertito e il minaccioso. Sorrideva arcigno, quasi aspettando di avere le spalle del ragazzino. Questo era quello che la sua mente incuriosita e spaventata ora stava inculcando nei nervi della schiena facendolo quasi rabbrividire.
Ma Ely non era più con lui. Si voltò attorno cercandola invano.
«Ehi! Sono qui! Dai! Non sei curioso di vedere che vuole Tim?»

Hai finito le parti pubblicate.

⏰ Ultimo aggiornamento: Jan 24, 2020 ⏰

Aggiungi questa storia alla tua Biblioteca per ricevere una notifica quando verrà pubblicata la prossima parte!

Amore e MorteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora