Ci deve essere qualcosa di strano in me. Qualcosa di estremamente bizzarro. Può anche darsi che si tratti di un'innata predisposizione a inciampare goffamente nei fili del destino e a rimanerci aggrovigliato senza più alcuna via d'uscita. Non mi spiego, altrimenti, per quale motivo e secondo quale logica, io debba morire, ogni volta, a ventisette anni e un giorno. Mi chiamo Lucas e avrò ventisei anni ancora per poco.
Non ho mai capito se questo ciclo di vite abbia mai avuto un inizio o se vada da un infinito all'altro; e anche se avesse avuto un inizio, di certo non me lo ricorderei. Le prime centinaia di cui mi pare di ricordare, cercavo di condurle alla meglio, sapendo che sarei sempre rinato nella stessa casa, con la stessa famiglia. Certo c'era qualcosa di diverso ogni volta – le variabili sono infinite – ma, come detto, mi accontentavo di riviverla così. Dopotutto, andarmene a ventisette anni e un giorno per poi ricominciare mi andava piuttosto bene; soprattutto quando riuscivo a rimandare la laurea fino al mio ventisettesimo compleanno.
– Però dopo ti cerchi un lavoro, eh!
– Sicuro. Contaci!
Andava sempre così. Da qualche migliaio di vite, però, ho preso l'abitudine di cercare il limite di questo mondo bizzarro. Dopotutto, se riesco a comprendere razionalmente che questo non è il corso naturale della vita, significa che in un tempo ho realmente vissuto, e che questo infinito girotondo deve essere una sorta di deviazione; d'altra parte, però, potrei aver semplicemente accumulato queste informazioni nel corso di centinaia di vite, dove ogni volta qualcosa si aggiungeva dalla vita precedente, e dove un giorno dopo il mio ventisettesimo compleanno, puntuale, in qualche modo la mia esistenza terminava e io mi ritrovavo al primo giorno di elementari. Mai una volta che andasse diversamente. Ho provato a uccidermi molte volte, ma il risultato era sempre quello: il mio primo giorno di scuola, poco dopo aver compiuto cinque anni, avevo di fronte a me la porta della classe. Ero arrivato in ritardo per via del traffico, e mia madre non mi aveva potuto accompagnare fin dentro la classe, dovendo fuggire al lavoro. E io me ne stavo lì, di fronte alla porta, in dubbio se entrare o no. Alla fine entravo sempre, perché sentivo che quello era il mio destino, era ciò che dovevo fare, che mi era richiesto di fare. Allungavo la mano, giravo la maniglia e tutto ricominciava.Nelle ultime centinaia di vite ho fatto in tempo a laurearmi un paio di volte, in campi della conoscenza differenti, nella speranza di trovare un qualcosa, una scintilla, un punto di partenza per arrivare a capire l'inferno che mi circondava, ma né la fisica né la logica mi sono stati di grande aiuto – per non parlare dell'ingegneria civile...
In ogni caso, credo di aver esaurito le possibili spiegazioni per questo anello di vite senza conclusione. Ma si sa, se non si è mai pensato a una cosa, si crederà sempre che quella cosa non sia mai esistita! E io mi chiedo ora dove andare a scavare per inventarmi qualcosa di nuovo, qualche nuova idea, ma temo che dovrò rassegnarmi al fatto che non c'è significato in tutto questo, e forse il senso della ripetizione ossessiva e puntuale è l'ossessione stessa, e non c'è nient'altro da dire.C'è solo una cosa che mi frulla nella testa negli ultimi tempi: certe volte mi chiedo se la realtà che mi circonda non sia come io voglio che appaia; se certi avvenimenti, certi momenti ripetuti nel loro simbolismo altro non siano che i simboli che il mio inconscio vuole rappresentare, e questi simboli, da seme che erano, sono germogliati fino a infondere le loro radici solide e robuste nella linea del mio tempo, e come in una gabbia non posso alzarmi al di sopra del loro profilo.
Paure, ambizioni, timori evitati e a lungo nascosti sotto un pavimento di negligenza, sono forse riusciti a romperne le assi, perché mai ho avuto il coraggio di venire incontro a queste mie immagini. Ma c'è allora un qualche punto, un attimo preciso in cui il ciclo delle mie astrazioni può essere reciso, interrotto, soffocato?
Sorrido, quando vengo al punto di tutto ciò. Ed è proprio in quel momento che i miei ventisette anni e un giorno si compiono. Mi chiedo cosa sarà questa volta a uccidermi: non faccio in tempo a formulare la domanda, che le suole delle mie scarpe scivolano sul pavimento umido del bagno, il mio corpo cade a peso morto nella vasca piena d'acqua, perdendo i sensi. L'annegamento penserà al resto.
E così, ci siamo di nuovo.
Mia mamma è dovuta fuggire al lavoro, e di fronte a me c'è solo quella maniglia ruvida e sporca. Riesco a sentire la voce aggraziata e amichevole della maestra, i cui toni gentili mi invitano a entrare, ma io non lo faccio.
Mi volto indietro, e non vedo che l'abisso. In fondo a quella voragine, cani affamati mi ringhiano contro, spingendomi a passare oltre quella porta. Ma quei mastini non sono che piccoli semi, e non potranno farmi nulla, se prima non li lascerò germogliare. Chiudendo gli occhi, mi lascio andare a quella caduta così nuova e misteriosa per me. Il mio cuore sussulta per un attimo, e la paura mi assale. Buio intorno a me.Ventisette, ventisette e uno, ventisette e due.
Valerio Dalla Ragione
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Bizzarro
Short StoryRacconto breve sull'eterno ritorno. Scritto a Giugno 2016 per il blog 'Scrittori in Corso'.