Capitolo uno: Fuori Hawkins

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Dicembre 1985

Non ce la faccio più, credo di stare per morire. Mi danno ogni giorno una fetta di pane ormai duro come il marmo e acqua del rubinetto, probabilmente neanche potabile ma forse no o non mi lascerebbero vivo, gli servo. Come ogni giorno per tutti i giorni da qui a...2 anni credo, chi lo sa ormai, farebbe differenza? Qui è sempre uguale, tra un po' mi tireranno fuori per aiutarli con qualcosa che non sanno, mi riporteranno qui e richiuderanno a chiave, lo so già. È così monotono stare qui e così noioso, passare da dare gli ordini a riceverli, da capo a schiavo praticamente, non é proprio il massimo.
E pure ci ero così vicino...l'avevo presa...era lì ma lei mi ha rifiutato, è bastata una settimana e si è scordata di tutto. Poi quella cosa, quella viscida è disgustosa cosa, sembrava avessi scoperto il mondo è invece scopro che chissà quante ce ne sono in un loro mondo, tutto loro.

Questi sono pazzi, pazzi, PAZZI.
So già che morirò...e allora perché non do una testata a questo muro e la faccio finita? Cosa mi tiene qui ancora, ad aspettare ciò che è inevitabilmente la mia sorte? Questo è quello che si chiederebbe chiunque, perché chiunque non sono io e chi non è me non può sapere quanta fatica, quanti sacrifici, quanto lavoro, quanto tempo ho impiegato per raggiungere ciò che mi è stato strappato via. E non permetterò che dei communisti bastardi arrivano a fine corsa e prendono il premio...
"no..No,No, NO! Ve lo scordate bastardi! Non mi distruggerete così! Non mi fermerete" nessuna risposta, come sempre, questi parlano solo quando ti devono far uscire. Poi anche se parlassero se li capissi, l'unico che parla la mia lingua è il capo di questa gabbia di matti.
Sento dei rumori di chiavi che girano nella serratura e la porta si apre con una delle tante guardie enormi che mi guarda come fossi uno scarafaggio, cosa che dal mio aspetto è anche comprensibile dato che non vedo il sole da così tanto tempo che mi sono scordato pure come fosse.
E come un copione che si ripete e si ripete all'infinito, come la pellicola di un film che si incastra mostrando sempre la stessa scena in loop, ripercorro il corridoio che porta a quella stanza che ormai è l'unico posto che ricordi al di fuori della mia cella.


Non appena entrato si palesa ai miei occhi la solita scena che sembra una fotografia per quanto uguale da giorno in giorno. I soliti camici bianchi girati di spalle sui computer sui quali appaiono numeri infiniti e formule, a destra e sinistra due guardie con fucili in mano a coprire la porta e per finire davanti a me tre persone o per meglio dire tre generali che sono lì ogni giorno girati di spalle a vedere i progressi ai quali sono costretto a collaborare.
Colui che al centro si gira e non appena mi nota un ghigno appare sul suo viso e lentamente si avvicina come a voler creare tensione, ma ormai la so a memoria questa scena.
Il solito sguardo da sadico sugli occhi, quasi glaciale, mi ricordo quando anche io ero solito a guardare le persone così, lo si usa quando non si vuole aver rapporti di nessun tipo con chiunque ti circonda, completo distacco dal mondo normale.


Le due guardie che mi hanno scortato qui e che mi tenevano in piedi, per via della mia poca forza, mi lasciano cadere a terra facendomi assumere una posizione come se mi stessi inginocchiando di fronte a questo stronzo comunista, il quale pian piano si abbassa piegandosi sulle ginocchia, concentrandosi sul mio sguardo sofferente.
Il suo sorriso si spalanca ancora di più, nulla di nuovo, come la frase che sta per dire:
"Salve Dottor Brenner, dormito bene in cella sta notte? Lo spero, sa oggi abbiamo tanto lavoro da fare e lei è la chiave. Oggi si fa un passo successivo"
Mi prende dal colletto del mio pigiama da prigioniero e mi fa guardare da oltre il vetro ciò a cui si riferiva. Una grande quantità di luce blu circondava quella macchina, molto simile a quella che abbiamo costruito un anno fa e che è stata distrutta ad Hawkins questa estate da quanto ho capito, so già che è stata lei, hanno parlato di questo "SilverCat" é un codice, sta per indicare il suo nome in russo.


La macchina è stata fatta in maniera molto simile a quell'altra ma non potrà mai essere allo stesso livello. Mancano i materiali e soprattutto il tempo, l'altra è stata distrutta dopo aver chiuso la porta. Ormai sembra essere un compito di scienze di una scuola liceale l'aprile questo portale, lo chiedono come fosse una normalità. Ma non hanno capito il lavoro dietro a tutto questo, ci vuole tempo, tanto tempo, la prima volta con... lei è servito un lavoro di 12 anni, questa nuova macchina non servirà adesso, non può funzionare.
Il bastardo mi rivolge nuovamente la parola mentre com gli occhi ammira  la nuova creazione "Suvvia Brenner, lo ha fatto due volte cosa sarà mai una terza. Com'era quel motto...? Ah si <non c'è 2 senza 3> si era così. Quindi forza, oggi si rifarà"
No, non intende farlo sul serio? Sarà un fallimento come quel test dove esplosero tutti, non lo vidi ma me lo dissero il giorno dopo quando mi diedero l'ordine di ricominciare da capo.



"Non vorrà mica...ma glielo già detto che non può funzionare" Dico con voce affaticata, parlare è sermone più difficile
"Oh si, sono passate quasi due stagioni, direi sia ora, lo sa no? Il tempo è caro. Oggi lei avrà il permesso di assistere d'altronde è stato fatto in tempi record. Dunque il suo compito è capire in cosa la macchina non va, nel caso non andasse ovviamente, è tutto chiaro?" Rimango inerme.
Mi lascia la presa lasciandomi appoggiare su un banco vicino al vetro per farmi tenere in piedi e mi guarda ancora più in cagnesco di prima: "Ho detto...è tutto chiaro?" Devo prendere nota, potrebbe servirmi semmai uscirò da qua avere questa intensità, ma ora devo solo acconsentire: "Certo" rispondo. Il suo sguardo si trasforma da incazzato a sorridente: "Bene" mi risponde girandosi verso il vetro ed urlando al Walkman ad un assistente vicino alla macchina: "включите его!" Qualcosa simile ad "accensione" credo.
Il raggio parti dalla macchina diretto verso l'enorme parete dalla quale dove riaprirsi il portale dell'altro mondo, tutti guardarono lo spettacolo affascinati, coinvolti e speranzosi tranne che io aspettavo l'imminente conclusione.
Dopo un paio di minuti il capo chiese ad uno dei suoi assistenti come mai non funziono niente con quest ultimo che non seppe dare spiegazioni e ciò comporto allo spegnimento della macchina, è stato un disastro.


"проклинать!!! Tu! Dimmi perché non funziona???" Mi urlò in faccia.
"Ve l'ho detto che era una pessima idea, non avete più gli strumenti necessari per farla funzion..."
"TACI!" Mi interruppe con un urlo che fece rabbrividire tutti.
"Tu ci sei riuscito senza una macchina e senza tutti questi strumenti, poi lo hai fatto progettando questa macchina, spiegaci perché adesso non puoi più riuscirci FECCIA AMERICANA!" Oh so bene il motivo e non è la macchina mal funzionante...
"La risposta è molto semplice...la macchina funziona benissimo" Risi
"COSA!?" Rispose sorpreso "E allora perché non funziona!?!?!?" Mi sbraitò contro.
"Ma le ho detto che sarebbe stato inutile, perché quello che serve non è più una macchina, non più almeno. Quindi si, la macchina funziona ma è stato inutile costruirla, ho provato ad avvisarla ma non mi ha dato retta"
Mi guardarono tutti con occhi pieni di rabbia, tutti si resero conto di aver fatto un lavoro inutile per altri mesi e mesi, avevano sguardi di chi avesse voglia di uccidere qualcuno subito, ma io che cosa c'entro? Non è mica colpa mia, volevo dirglielo ma non mi ha dato retta, forse ora lo farà.


"E cosa servirebbe? Deve rimanere chiusa?" Mi parlò dopo un po'
"Io so cosa serve fare generale, ma se vuole che ciò funzioni deve darmi una posizione migliore di un uomo in cella, perlomeno una sopravvivenza da essere umano e non da topo di fogna sarebbe gradita" sorrisi come se fossi io al comando, cosa che in un certo senso era... non possono farmi niente, sono l'unico che sa tra tutti loro.
"Non ha il diritto di dare ordini, lei mi dica solo cosa serve e non peggiorerò la sua situazione" cercò di darmi ordini ma adesso basta, sono stato per anni in quella cella, è il momento di tornare a fare ciò per cui ho sempre lavorato nel,a mia vita.
"Oh al contrario Generale, non voglio dare ordini voglio solo aiutarvi, poiché il mio aiuto é di vitale importanza" risposi alla sua autorità con sguardo sicuro
"E come mai?"
"Poiché già sbaglia dal principio con la richiesta. Il fatto è che non è cosa vi serve il punto della questione...."
Il generale si avvicinò ancora di più incuriosito ed io gli sussurrai vicino al viso la riposta in modo che la capisse.
"...il punto è chi vi serve".

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