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SARA

Passarono diversi giorni dal pomeriggio in cui avevo incontrato quel demone bianco, e ormai il suo volto mi tornava alla mente praticamente in ogni momento, e ogni volta arrossivo pensando a quanto fosse bello. Una volta, mio marito aveva detto che i demoni avevano i segni della malvagità impressi a fuoco sul viso, ma il volto del mio demone non era malvagio. Era di ghiaccio, ma se lo si guardava attentamente si vedeva che non c'era crudeltà su di esso. Ogni giorno io andavo al mio prato, e ogni volta lui era lì, appoggiato a quell'albero; all'inizio non ci parlavamo affatto, stavamo ognuno per conto proprio lanciandoci giusto qualche occhiata di tanto in tanto. Poi però cominciammo a scambiare qualche parola, e anche se lui a volte non mi rispondeva, sapevo che stava ascoltando. Quasi senza accorgermene, gli raccontai di mio padre e mio marito e del motivo che mi spingeva a venire in quella radura quando loro due non c'erano, gli confessai quanto mi sentissi prigioniera nel posto che avrei dovuto chiamare casa e di quanto amassi quella radura, dove potevo essere me stessa, dove per qualche ora potevo tornare bambina. Era la prima volta che mi aprivo così tanto con qualcuno, e mentre parlavo mi scesero le lacrime. In quel momento, lui poggiò la sua mano sulla mia. Fu la prima volta che lo vidi abbassare, anche se per poco più di un attimo, il muro di ghiaccio che aveva eretto intorno a sé.

Grazie agli infusi che gli portavo e agli incantesimi di guarigione che applicavo sulla parte restante del suo braccio, ogni giorno riacquistava un po' di forza, e molto presto cominciai ad avere paura di non trovarlo più al prato, quando ci andavo... Del resto sapevo che non sarei stata di certo un buon motivo per restare ai suoi occhi: per lui che era un demone maggiore, io dovevo valere meno di niente, ma nonostante questa consapevolezza, non potevo in alcun modo impedirmi di pensare sempre a lui. Era sbagliato e lo sapevo, ma al cuor non si comanda...

SESSHOMARU

Senza accorgermene, dopo qualche giorno cominciai ad aspettare con una sorta di trepidazione la venuta di Sara(lei mi aveva detto il suo nome ma io non le avevo detto il mio). Non sapevo perché provassi un simile sentimento pensando a lei: era una donna umana, e questo sarebbe bastato per odiarla, ma dopo qualche giorno passato in sua compagnia fui costretto ad ammettere che non avrei mai potuto odiare quella ragazza. Attribbuii la colpa di ciò al sangue che mi scorreva nelle vene: mio padre era stato portato ad una morte disonorevole a causa del sentimento che provava per la madre di Inuyasha, e io che ero suo figlio avevo parecchie probabilità di rovinarmi per un motivo simile. Per questo quando Sara mi parlava non le rispondevo, e, se lo facevo, mi assicuravo di assumere il mio tono più freddo e indifferente. Non volevo darle speranze, non volevo si illudesse che tra noi potesse esserci qualcosa... Anche se quando raccoglieva i fiori la guardavo per tutto il tempo e quando parlava la ascoltavo con attenzione, facevo tutto quanto era in mio potere per risultare antipatico, in modo che fosse lei la prima ad allontanarsi.

Lei però faceva l'esatto opposto: più mi mostravo indifferente, più mi si faceva vicina, più tacevo, più si apriva; forse inconsapevolmente, col mio silenzio la aiutavo più che con mille parole... Mano a mano che passavano i giorni però, diventava sempre più difficile restare indifferente ascoltando ciò di cui Sara mi parlava, e nel momento in cui la sentii raccontare di ciò che era costretta a subire alla presenza del marito, e quando poi vidi le lacrime che le bagnavano le gote, percepii qualcosa sciogliersi in me, e prima ancora di poter pensare in che modo lei avrebbe potuto interpretare quel gesto, mi ritrovai a stringere la sua piccola mano nella mia. Mi sentii in pace col mondo nell'istante stesso in cui compii quel gesto, quando la mano di lei fu nella mia desiderai che il tempo smettesse di scorrere, e la strinsi un po' di più,stando attento a dosare la mia forza di demone per non farle male.

Sara mi guardò, e sentii l'odore di altre lacrime, ma qualcosa mi diceva che non erano colme di tristezza come le prime... Chissà da quanto tempo quella bambina troppo cresciuta non riceveva un gesto gentile... Ci guardammo ancora un momento, poi lei avvicinò il viso al mio, e mi diede un bacio sulla guancia, delicato, appena percettibile. Avrei ucciso qualsiasi altra donna che si fosse permessa di fare una cosa del genere, ma ora fui solo capace di fissarla ad occhi aperti mentre si allontanava.

《Sara》la chiamai poco prima che sparisse.

Si voltò.

《Mi chiamo Sesshomaru. Il mio nome è Sesshomaru》le dissi.

《È un nome splendido》. Non disse nient'altro, ma il mio cuore accelrò comunque i battiti.

La donna che amò SesshomaruDove le storie prendono vita. Scoprilo ora