Capitolo quarto

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Pioveva.
Misi in pausa la canzone che mi stava esplodendo nelle orecchie.
Il silenzio venne interrotto da piccoli e continui ticchettii che risuonavano nella stanza; mi alzai dal letto morbido con solo i calzini ai piedi andai verso la finestra ammirando il paesaggio cupo che si era creato.
Aprii la finestra e chiudendo gli occhi annusai l’aria circostante, aprii gli occhi e la mia vista venne catturata da un fulmine, dopo di esso un tuono terribilmente forte. Qualcuno bussò alla mia porta, andai ad aprire, anche se non ne avevo minimamente voglia. Feci girare la chiave nella serratura e mi ritrovai davanti mio fratello Elliott che mi guardava contrariato.

Dopo ieri sera mi ero chiusa in camera, non avevo parlato con nessuno.
Stamattina mi ero ritrovata su di un letto d’ospedale, mi dissero che un ragazzo mi aveva portato lì da incosciente, era un amico di Elliott.
Mi avevano anche raccontato che quel pazzo di André sarebbe stato punito.

«Ora basta! Esci da questa camera» mi disse portandomi al piano di sotto; guardandolo notai della tristezza nei suoi occhi.
Mi fermai davanti a lui osservandolo negli occhi, dopo un secondo sentii crescere dentro me una irrefrenabile voglia di abbracciarlo e lo strinsi fra le mie braccia esili accarezzandogli i capelli.
«Mi sento impotente» i miei genitori mi avevano detto che la paura che ha provato la sera prima l’aveva terrorizzato, pensava che mi avesse procurato delle lesioni gravi.
Scossi la testa seppellendola fra il suo collo e la sua spalla, lui mi accarezzò a sua volta i capelli, rimanemmo così per un po’ di tempo, vedemmo Nathan uscire dalla sua stanza.
Eravamo sempre stati molto uniti.
Nathan ci osservava, io ed Elliott lo guardavamo, gli porsi una mano che prese, lo trascinai nel nostro cerchio famigliare che era un frammisto di emozioni.
Sciogliemmo l’abbraccio guardandoci ancora un po’ negli occhi lucidi, poi ci alzammo ed io in silenzio mi diressi in camera mia, presi la roba pulita dal cassetto e trovai ancora i miei fratelli in corridoio. Mi guardarono chiedendomi se stessi bene e con voce calma risposi loro che stavo andando a fare una doccia.
Chiusi la porta del bagno e iniziai a spogliarmi. Regolai la temperatura dell’acqua chiudendomi dentro alla doccia.
Scesi in salotto impigiamata, i capelli legati in uno chignon spettinato. I ragazzi erano già sotto, mi stavano aspettando.
Mi sedetti in mezzo a loro, essi mi poggiarono le loro teste sulle spalle, sorrisi sentendo un tepore riscaldarmi il cuore.
Dopo la fine del film cennammo.
«Agnes…» Elliott mi richiamò mentre pensavo «domani potresti uscire con i tuoi amici, se te la senti» rimasi un po’ in silenzio.
Mi andava di andare a fare un giro con loro, perché restare a casa non mi avrebbe di certo fatto bene. Mi limitai ad accennare un sì con la testa.
Elliott mi sorrise ampiamente, poi incominciò una discussione molto animata con Nathan, ma rimasi in silenzio consumando il mio piatto di insalata.
«Salgo su in camera…» dissi alzandomi da tavola.
Entrai nella mia stanza e un tuono sovrastò il rumore dei miei passi, chiusi la porta e mi sdraiai sul letto. Eravamo ancora in estate, erano gli ultimi giorni di riposo, poi sarebbe ricominciata la scuola e non sapevo se ero pronta ad iniziare l’università.
La pioggia continuava a battere sul vetro della mia finestra, era un suono rilassante e quasi mi addormentai ascoltandolo.
Presi il telefono dal cassetto, lo accesi e dopo vari secondi venne invaso da mille messaggi di ogni genere e tipologia, messaggi di preoccupazione, di rimprovero…
Entrai nella chat di Tristan e gli scrissi “Hey…” non aspettai una sua risposta immediata, ma vidi comparire subito un suo messaggio “Dov’eri finita? Mi hai fatto morire di paura!”, cominciai a scrivere un altro messaggio.
“Sto bene. Scusa se non mi sono fatta viva, so che quando domani mi rivedrai mi ucciderai, ma… ti voglio bene” aggiunsi una faccina dispiaciuta e un cuore scrivendogli pure di vederci domani.
Tristan si rallegrò scoprendo che domani saremmo usciti. Mandai un messaggio pure a Eveline, anche lei era preoccupata e invitai pure lei ad uscire.
Elliott entrò dalla porta sorridendo «Che ti hanno detto?» mi chiese sedendosi in un angolo del mio letto.
«Ho scritto a Eveline e Tristan, domani usciamo e andiamo a mangiare qualcosa insieme, non vedono l’ora di abbracciarmi» sorrisi senza accorgermene ed Elliott sussurrò: «Adoro quando sorridi» ricambiò il sorriso.
«Comunque…»
«Domani sera parto» mi diede un bacio sulla fronte dandomi la buonanotte e uscì.
Rimasi turbata dalla partenza improvvisa di Elliott, era rimasto solo due giorni, non volevo che se ne andasse via così presto.

Aprii gli occhi disturbata dal suono odioso della sveglia. L’avevo impostata perché alla fine avevamo deciso di andare a fare colazione al solito bar.
Mi alzai quasi innervosita dirigendomi in bagno trascinando i piedi sul pavimento. Passai la mano destra sul viso sospirando, chiusi la porta del bagno e mi lavai faccia e denti.
Mi misi un po’ di mascara e un rossetto nude.
Presi il telefono in mano, mandai il buongiorno ai miei due amici e aprii le ante dell’armadio da cui uscii fuori un vestitino azzurro che si abbinava alla mia abbronzatura, calzai delle inglesine con suola alta e mi guardai allo specchio per vedere se andavano bene, presi la spazzola e pettinai i capelli un po’ ribelli, poi presi uno zainetto dove misi il portafoglio.
Scesi al piano di sotto, aprii uno sportello della cucina e estrassi un profumo all’orchidea, me lo misi e mandai un messaggio a Tristan per avvertirlo che sarebbe potuto partire.
«Buongiorno…» pronunciò Elliott scendendo le scale, era a piedi scalzi, i pantaloncini gli stavano larghi, la maglia era al contrario e ben attaccata al corpo scolpito, non era muscoloso, ma offriva comunque un bel panorama.
Si passò le dita fra i capelli neri e chiuse gli occhi, per poi sbadigliare, quando li riaprii mi guardò interrogativamente, i suoi occhi color ghiaccio mi scrutarono dalla testa ai piedi si era già dimenticato che dovevo uscire.
Il mio telefono squillò. Risposi con voce energica e dissi: «Posso uscire? Ci hai messo un’eternità!» lo rimproverai.
«Scusa se abito a un chilometro da casa tua!» scherzò.
Mi voltai verso Elliott si stava preparando il caffè e lo andai a salutare dopo aver chiuso la chiamata.
«Tornerò verso le dodici» gli dissi.
«Mamma e papà hanno detto massimo alle undici» mi riferì.
«Perché?» domandai stufa di quelle regole.
«Hanno paura che tu possa incontrarlo di nuovo» fece una pausa e l’osservai prendere una tazza dallo scaffale, poi continuò «Mettiti una giacca, sai che non vogliono che esci così» sembrava mio padre, anzi, era identico a lui in quel momento.
Alzai gli occhi al cielo, si vedevano solo le spalle, ma a loro non piaceva, non dovevo neanche avere un vestito del genere. Andai verso la porta e presi una giacca dall’appendi abiti.
«Siamo in pieno giorno e non sono sola» dissi prima di chiudere la porta.
Uscita fuori un venticello fresco m’investii. L’autunno era alle porte, la temperatura era bassa, fortuna che avevo preso la giacca.
Seduto sulle scale di casa c’era Tristan, appena sentì la porta chiudersi si alzò facendo una specie di inchino verso di me salutandomi.
«Buongiorno»
«Andiamo» sorrisi lievemente.
Scesi le scale per poi intrecciare le mie dita al suo braccio. Sembrava una giornata molto tranquilla, camminavamo in silenzio. 
Vidi una coppia di bambini correre nella nostra direzione e girarci intorno.
«Agnes!» urlò una voce in lontananza, riconobbi Eveline.
Salutai Eveline e andammo al bar per fare colazione. Arrivati prendemmo tutti un cornetto e una cioccolata, tranne Tristan che aveva bisogno di un caffè.
«Sto morendo di sonno. Non ci credo che fra una settimana dobbiamo iniziare l’Università, cioè ma ci credete?» domandò Tristan bevendo un sorso del suo caffè.
«La vera domanda è “Come ha fatto Tristan a superare gli esami?”» disse ridendo Eveline. I due cominciarono a battibeccare.

~Sono tornata!!

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⏰ Ultimo aggiornamento: Feb 24, 2020 ⏰

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