Teatro Cremisi

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Fu in una giornata di neve e freddo eccezionali che li vidi. Arrancavamo in file disgiunte, immobili come statuine, logorati nel corpo e nell'animo dal gelo del solstizio e dalla fervida attesa.Se non fosse stato per il nitrito ricorrente dei cavalli nella fanteria, giurerei che non mi fosse possibile udire alcun suono fatta eccezione del mio respiro affannoso e del tintinnio dell'armatura che sembrava si fosse fatto tutt'uno con i rintocchi del mio fare tremante. Non mangiavamo, non dormivamo, e la nebbia circondava ed annebbiava la vista in una sorta di velata coercizione, ma, di loro, ancora nessuna traccia.Era forse l'onore a desistermi dall'abbandonare la formazione? Fu allora che capii, ma certo, in fondo lo sapevo già: l'onore è un mero simulacro, un ideale a cui tentiamo disperatamente di aggrapparci, ma quella mattina, sulla faccia dei miei compagni, sui lineamenti di quei valorosi guerrieri, altro non vidi che pura e semplice paura. L'attesa alimentava lo sgomento, per un attimo pensai di essere arrivato al punto di non ritorno, sembrava quasi che tutta la mia vita fosse in preparazione di questo esatto momento, ero ancora in tempo a disertare, abbandonare tutto, fuggire dal destino che mi era stato affibbiato, riabbracciare le mie figlie, cielo cosa darei per poter rivedere i loro volti angelici. Passi. No, non passi, sembravano essere stati colpi di cannone ad interrompere il mio soliloquio, il rumore lontano di qualcosa che non dovrebbe esistere. C'era movimento tra le prime file, la nebbia però mi impediva di vedere ad un palmo dal naso ed in un primo momento pensai dovesse essere la falange che avanzava, ma, soprattutto per via della scarsa visibilità, era strano che il passaparola del generale non fosse ancora pervenuto alle retrovie. Aspettai, aspettai fino a perdere la cognizione del tempo, circondato da una nebbia onirica io, Flavius Aemilia, attendevo gli ordini.Gli ordini non arrivarono mai, il silenzio era calato sulle valli della Trebbia, tutto sembrava permeato da un'irreale staticità. Cercai di affogare le mie preoccupazioni nella vista di un volto conosciuto, una spalla su cui piangere ed una lancia su cui potevo contare, ma, quando mi voltai, fui accolto da un'amara realizzazione: la mia destra, che prima ospitava un valoroso legionario, era ora il recipiente della mia disperazione.Cosa? COSA!? Ancora una volta, ancor prima che potessi assimilare quanto accaduto, quei passi, quei dannatissimi passi che sfuggivano ad ogni logica razionale tornarono a recarmi tormento, ancora una volta il destino si era fatto beffe di me privandomi dell'unica cosa che inibiva la mia follia, ora ero solo. I motivi che mi spinsero ad avanzare nella coltre di nebbia mi sono tutt'ora sconosciuti, in realtà, orientarsi era diventato praticamente impossibile, ciò che feci fu dirigermi verso la fonte del rumore, animato da un primitivo senso di arrendevolezza che, passo dopo passo, mi faceva pregustare il bacio della morte e mi abbandonava ad un distorto senso di spensieratezza, sembrava quasi fossi sceso a patti con il mondo, avrei accettato qualsiasi cosa. Questo stato armonioso durò fino a quando non raggiunsi la cima della collina, sapete, spesso gli storici tendono a romanticizzare le guerra, gesta eroiche animate dai fini più nobili, uomini spinti dall'onore e dalla dedizione alla propria causa che tentano di elevarsi al pari delle divinità, tuttavia, quando vidi ciò che vidi, mi sentii pervaso da un tale senso di orrore che il mio corpo non potette fare altro che accasciarsi a terra e vomitare. Non respiravo, ma con gli occhi spalancati ed il cuore che mi esplodeva in petto diedi una seconda occhiata: i resti di ciò che una volta potevano essere definiti esseri umani giacevano ora inermi sul terreno fangoso, i pochi corpi riconoscibili avevano interiora esposte tinte di un rosso cremisi, a tutti i cadaveri erano stati strappati gli occhi, arti mancanti o maciullati con tale brutalità che l'intero campo di battaglia poteva essere definito il parco divertimenti di un folle macellaio, i pochi che dovevano aver compreso fin troppo bene la situazione nella quale stavano per incombere erano piegati a terra con la testa immersa nella ghiaia nel tentativo di soffocarsi. Fu una stramba visione quella che mi si parò davanti, alzai lo sguardo e vidi una colonna di ombre nascoste nella nebbia che parevano avvicinarsi sempre di più, il rumore era diventato insopportabile ma ormai sembrava coesistere e danzare, quasi con grazia, in quel teatro nato dal sangue. E poi, poi lo vidi. Davanti a me avanzava una montagna di carne guidata da tira demoniache, il suono di canti tribali riecheggiava insopportabile in quella valle di lacrime ed il rumore, QUEL RUMORE DANNAZIONE, mi entrava nel cervello e io lo sentivo farsi strada nella mia coscienza come un verme che striscia. Lunghe zanne d'avorio intrise nel sangue annunciavano la mia dipartita, era l'inferno in terra, i cavalli nitrivano e fuggivano in ogni direzione, calpestando e massacrando i poveri sopravvissuti che ancora chiedevano aiuto. Mi misi a correre, fuggii verso l'altra estremità della collina finché le gambe non cedettero al peso del mio corpo, e, in un atto di velato coraggio, decisi di voltarmi nuovamente. Da quel momento la sanità mentale di Flavius Aemilia avrebbe subito un tremendo tracollo che tutt'ora alimenta la materia dei miei incubi, lance adornate con teste mozzate svettavano alte nei cieli purpurei, intere file di abnormi mostruosità marciavano a perdita d'occhio seminando devastazione, su di loro, piccoli ominidi si consumavano in balli malati mentre gustavano il loro operato, urlando e cantando, ridendo e ammazzando. Cacofonie indistinguibili fendevano l'aria ma, fra tutti, un coro in particolare sembrava ergersi al di sopra degli altri, "Annibale! Annibale!" esso ripeteva, accompagnato dal suono di flauti demoniaci.

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⏰ Last updated: Feb 29, 2020 ⏰

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