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La mia vita è sempre stata sospesa nel tempo. Invecchiando, ho capito che i granelli di sabbia scorrevano anche per me.
Il sogno. Terra di fantasia, premonizione o orribile realtà. Correvo, perso in un bosco. Tra gli alberi inermi solo foschia. Qualcosa o qualcuno mi inseguiva. Il cuore batteva indemoniato mentre i muscoli, tesi dallo sforzo, chiedevano riposo.
Mi fermo, guardo alle mie spalle, un liquido dello stesso colore e consistenza della pece mi sta raggiungendo. Improvvisamente si solleva, tra urla e lamenti prende forma e un uomo, dello stesso colore del buio, impugna una Beretta e mi spara.
Apro gli occhi. Il primo istinto è quello di riprendere a correre ma, fortunatamente sono tra le quattro pareti della mia tana. "Ho dormito sulla poltrona" penso, poggiata sulle gambe, inerte ma nello stesso tempo pullulante di dubbi, speranze, paure, quel foglio bianco sporco d inchiostro.
La rileggo una volta, due, tre fino ad impararla quasi a memoria.
Perché quell'invito? Villa dei leoni. Ricordo il proprietario, un certo Mario De Cesari, niente meno che l'uomo più potente di tutta la città, prima e indubbiamente anche dopo la guerra.
Si ma perché vuole vedere proprio me?
Il sentiero adesso prendeva due direzioni diverse e opposte. Ho sempre vissuto la mia vita limitandomi, quasi nascondendomi da essa ma adesso, quest'ultima mi mette difronte a una scelta: ci vado o resto qui e brucio questo dannato foglio?
Nel caso decidessi di andarci, dovrei essere pronto ad accettare tutte le conseguenze.
In caso contrario, vivrei il resto del mio tempo con il dubbio.
La brucio...
No, aspetto. Se non do alcuna risposta magari capita qualcosa.
No, meglio presentarsi, con Don Mario non si gioca.
E allora una sciacquata al viso con acqua fredda, una camicia bianca dal bavero stropicciato, un paio di calzoni sbiaditi, una coppola grigio topo e per la prima volta, dopo anni la città incontra di nuovo Pasquale Cataldo, professore di lettere del liceo classico Aristotele, felicemente omosessuale.
Villa dei leoni sembra ciò che rimane del Titanic dopo lo scontro: un relitto.
I cancelli esterni hanno perso il loro smalto, corroso indubbiamente dal tempo e dalla guerra.
Il leone che , giovane e fiero, fa da padrone alle mura esterne era tremendamente decapitato, i giardini, visibili dalle inferriate hanno perso il loro colore naturale.
Tutto è tremendamente scialbo.
Dal nulla una donna, anonima anch'essa con indosso ciò che rimaneva di un tipico vestito da governante, si avvicina alle inferriate e, sollevando le labbra in un sorriso mostra l unica coppia di denti rimasti: << il signor Cataldo giusto?>>
Acconsento con il capo.
<<Venite, Don Mario vi aspetta>>.
Il cigolio del cancello mi fa gelare il sangue.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Mar 02, 2020 ⏰

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