Capitolo 1

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18 febbraio 2020

(3 giorni al focolaio italiano)

Roma ha un buon profumo oggi, sa di pioggia di fine inverno, sa di quasi primavera. Sa di voglia di riscattarsi e di abbattere finalmente le indecisioni che hanno portato a scelte sbagliate. Sa di possibilità.
L'aria è stranamente calda per essere febbraio, ma non così tanto da rendere inutile portare una felpa. Il sole sta tramontando, incollato ad un cielo talmente bello da sembrare finto. Non se ne vedevano così da un bel po'. Verrebbe voglia di fare una fotografia per immortalarlo, catturando anche il momento in cui lui, affascinato come un bambino, si ferma in mezzo alla strada con la testa rivolta verso l'alto, i grandi occhi scuri magnetizzati da quel rossore.
- Non mi ci abituerò mai – ammette, con lo sguardo perso.

A me invece viene da pensare che io non riuscirò mai ad abituarmi a lui, che forse poi è la cosa più bella continuare a guardare l'altra persona come se la si conoscesse per la prima volta: non darla mai per scontata, perché è questo il primo passo verso la famigerata fine. Abituarsi. A me notoriamente la fine non piace, in nessun contesto, non tanto per ciò che comporta quanto per il suo implicare inevitabilmente un nuovo inizio: non finisco mai le lettere, non metto mai il punto all'ultima frase, non prendo mai l'ultimo goccio d'acqua dalla bottiglia e non strappo mai l'ultimo petalo quando faccio "m'ama non m'ama" (la mia reazione non sarebbe consona in nessuno dei due casi).

La stazione, vista da fuori, ha un aspetto tenebroso: è un grosso ed imponente edificio scuro, che spezza il colore incandescente del cielo. I treni al suo interno vanno e vengono, molti li utilizzano per stupide metafore che rappresentano la vita ma io mi rifiuto di pensare che il significato sia questo: preferisco pensarli come semplici mezzi di trasporto, grandi pezzi di ferro in cui decine di persone si rinchiudono più o meno volontariamente perché sentono la necessità di trasportare la propria esistenza ad alcune centinaia di chilometri di distanza.
Chissà se scappano, da cosa scappano, dove pensano di arrivare e se alla fine arrivano.
In stazione c'è silenzio o forse siamo semplicemente noi che abbiamo smesso di sentire il mondo esterno, caduti vittime di quella straziante attesa che pende come una spada di Damocle sulle teste di chi, fermo davanti al tabellone, cerca informazioni riguardanti il proprio viaggio.
In lontananza si intravede ancora un pezzetto di quel cielo che ormai non è più rosso, va mano a mano scurendosi, rende difficile pensare che la partenza sia qualcosa di positivo.
Stamattina nel letto mi hai detto che la lontananza è soltanto momentanea e che porta a rafforzare il sentimento tramite assenza di rapporti sessuali sostituiti da lunghe conversazioni telefoniche. Amore, spero tu abbia ragione. Non siamo mai stati così lontani e sebbene io le abbia tra le mie, le tue mani mi mancano già come non mai.

Scorro con lo sguardo lo schermo luminoso con i nomi delle varie città fino a trovare la sua e quindi il binario da cui il suo treno partirà, tra esattamente dieci minuti.
Dieci, come il giorno in cui ci siamo messi assieme. Dieci dicembre 2019, la password del mio telefono che tu hai indovinato subito."Sottona" mi chiamavi, con aria superiore. Ma per quanto cercassi di nasconderlo, vedevo benissimo il sorriso sulle tue labbra. Dieci come i secoli che spero di passare al tuo fianco. Dieci come il numero delle nostre dita, strette le une alle altre.

Mi avvicino a lui, avvertendo già nello stomaco la sua sorda mancanza.
È interessante come le emozioni abbiano un diretto riscontro fisico. Io, a te, ti sento in tutto il corpo.
-A Milano ti vengono a prendere con la macchina poi, giusto?-
Sorride, risponde di sì. Ripete di non preoccuparmi, che sono troppo ipocondriaca. Alzo gli occhi al cielo pensando a quanto lo sia lui.

L'improvviso alzarsi della voce dell'altoparlante attira la nostra attenzione, su uno dei tanti maxischermi vengono proiettate le ultime notizie della giornata.
-Forse non vorrò toccare mia madre- scherza, alludendo al notiziario, dove continuano a susseguirsi immagini dalla Cina.
-Tu pensi che arriverà anche qui a Roma?-
Bambini con mascherine, città completamente vuote e ospedali sovraffollati. Paura negli occhi e nel cuore, ristoranti in fallimento e centri commerciali desolati. Inquadrature di bambini spaesati, con gli occhi spauriti e tristi: genitori non pervenuti.
Wuhan è la città degli orrori, un tetro spettacolo di un circo in fallimento.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Mar 02, 2020 ⏰

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