4

144 27 5
                                    

In questi anni la casa della nonna è stranamente invecchiata con lei. Le pareti mi sembrano ingiallite, i soprammobili e i quadri stanchi, i centrini consumati dai lavaggi e dal tempo.
Vengo qui a pranzo tutte le domeniche, passo il pomeriggio con lei, chiacchieriamo, guardiamo un po' di TV. Resto anche quando si addormenta sul divano e russa per un'oretta buona.

È stato un cugino di mio padre a portarmi qui, un paio di giorni dopo il funerale di mio padre. Ho dei ricordi sfocati di quei giorni, so che in tre notti ho dormito da tre parenti diversi, ma dubito di aver dato loro tanto fastidio da non potermi tenere più di una notte a testa. Il disturbo più grande che potrei aver dato all'epoca sarà stata un po' di tristezza, più che giustificata da ciò che stavo passando.

Qualcuno ha inscatolato le mie cose e me le ha portate qui da nonna prima ancora che ci venissi portato io. Sicuramente non la mamma, nessuno era riuscito a trovarla e contattarla.
All'epoca la nonna guidava ancora ed era sempre lei che veniva a trovare noi, cosa un po' strana, poiché di solito credo si faccia il contrario. Comunque sia non succedeva molto spesso: mia madre non era una persona socievole e mio padre era spesso fuori per lavoro.
Era autotrasportatore, per questo da bambino alla domanda «cosa vuoi fare da grande» rispondevo: «guidare il camion». A ripensarci ora credo che avrebbe potuto farmi la cortesia di buttarsi in un lago o contro un albero con il suo camion motrice piuttosto che farsi trovare da me appeso nel bagno di casa. Come ha fatto a non considerare che sarei stato io a trovarlo? Non ci ha pensato o non gli è mai importato?

La prima volta in questo quartiere, e per tutto il tempo in cui abitai qui, mi sembrò un luogo colorato, pieno di vita e di possibilità. La zona da cui venivo io era più industriale, grigia.
Con gli occhi del ragazzo cresciuto abbastanza, capii solo in seguito quanto degrado ci fosse in queste strade e quanto piccola fosse la casa popolare della nonna. Non me ne accorsi mai prima, vivendo lì: io avevo una stanza tutta per me e il resto della casa era grande abbastanza per noi due soli.

Quando vengo in visita ogni tanto mi guardo un po' in giro, tra le mie vecchie cose che ho lasciato qui. Ora la mia camera è esattamente com'era il giorno in cui mi sono trasferito. Per un po' la nonna ha tenuto la sua macchina da cucire sulla scrivania, ma quando la vista le ha impedito di continuare a cucire la stanza è tornata com'era. Quello è il letto su cui più di una volta mi sono masturbato pensando a Riccardo, quasi tutte le volte dopo le ripetizioni.
E nell'armadio c'è ancora la sua felpa. È il pezzo sopra di una tuta di acetato, con la zip centrale, Adidas, anni 90.

***

«Sai, questa felpa era mia.»
Stavo riponendo le penne nell'astuccio quando mi disse una cosa davvero strana. Se ero io ad andare da lui per le ripetizioni a volte capitava che mi fermassi qualche minuto a chiacchierare, se i suoi genitori erano via, come nella maggior parte dei casi, con la scusa di fumare una sigaretta.
«Davvero?» Cercavo di prendere tempo, mentre probabilmente arrossivo fino alle orecchie: le sentivo bollenti. Non solo la nonna aveva chiesto l'elemosina per vestirmi, che di per sé era abbastanza umiliante, ma stare nella stessa maglia in cui era entrato lui mi faceva sentire strano, quasi fremere.
«Non ti sei accorto che quando sei arrivato qui ti mancava della roba? Hanno perso degli scatoloni, mi pare.»  Così credeva lui, o forse così la nonna aveva raccontato; in realtà la mia roba era semplicemente tutta lì, in quelle poche piccole scatole che qualcuno aveva preparato per me. Sorrisi amaramente.
«Tua nonna era preoccupata che non avessi abbastanza vestiti e ha chiesto a mia madre qualcosa che non mettevo più, per i primi tempi.»
Le sue spiegazioni non aiutavano affatto.
«Allora grazie.» Non gli chiesi se ora che avevo abbastanza vestiti la volesse indietro, non aggiunsi altro e per quel giorno non lo guardai più in faccia, nemmeno al momento dei saluti.

Fino al giorno in cui mia madre mi ha portato via da lì non ho più messo quella felpa, spaventato dall'idea che indossandola avrebbe preso il mio odore e sperando così che il suo, secondo la mia strampalata logica, potesse riaffiorare.
Quel giorno la indossai di nuovo, come se avendola addosso potessi sentire l'abbraccio di cui avevo bisogno, mentre lasciavo l'unico posto in cui mi fossi mai sentito a casa.

***

Adesso so che non è un bel quartiere, ma è stato comunque molto difficile lasciarlo. Sedici anni fa sono arrivato preceduto da degli scatoloni con la mia roba, ed ora sto tornando. Ho discusso con la nonna per settimane, ho provato a convincerla a trasferirsi da me. Non ho un compagno, non ho una famiglia, sarei stato più che felice di ospitarla. Capisco che dopo tanti anni non voglia abbandonare la sua casa, dice che non vuole essere un peso; ma come potrebbe mai esserlo per me?
Qualche mese fa, dopo aver pranzato, mi ha messo sul tavolo una brochure di un centro per anziani: voleva che le promettessi che, quando non fosse stata più autosufficiente, l'avrei aiutata con le spese di quel posto. Sono scoppiato a piangere come un bambino, chiedendole come fosse arrivata a quella conclusione. Perché mai non aveva pensato di venire a vivere con me? Dopo avermi consolato, mi ha promesso che non avrebbe mai più parlato di casa di riposo; piuttosto, giurò, sarei tornato io da lei al bisogno.

Ed è esattamente quello che sta succedendo. La nonna tornerà a casa domani, dopo essere stata operata per la rottura del femore. Ho chiuso casa mia, ho preparato un trolley di vestiti, la borsa con il computer ed eccomi qui. Vivo a quaranta minuti di macchina, non mi serve un grande bagaglio tutto in una volta.
Appena arrivato ho aperto con la mia copia delle chiavi, cambiato aria agli ambienti e iniziato a dare una sistemata.
Non credo di aver fatto troppo rumore, ma qualcuno è venuto a suonare alla porta. Sono andato ad aprire senza nemmeno pensarci, come se questa fosse ancora casa mia. E anche a lui nemmeno ci pensavo: sapevo che si era trasferito in centro, aveva avuto una vita lontano da qui, una carriera, forse anche una bella famiglia. Non ho mai voluto indagare troppo in questo senso.

Trovarmelo davanti dopo così tanto tempo mi ha pietrificato. Penso di essere arrossito e gli ho sorriso come un ebete. Tutti i miei sentimenti per lui sono tornati a galla in un colpo e mi si sono annodati in gola, rendendomi per qualche istante incapace di parlare, forse persino di respirare.
«Beh, ti sei dimenticato di me?»
Come cazzo potrei? Ancora mi tormentano quelle mani nelle mie fantasie, il suo sorriso, il suo sguardo e la sua voce.
«Riccardo. Ciao.»
«Ero passato a trovare mia madre e ho visto tutto aperto qui, così sono venuto per sapere se tua nonna è tornata e se sta bene» spiega lui, davanti alla mia confusione.
«Ah, no, sono io. Cioè sì, sta bene, ma non è ancora tornata, torna domani. Sono venuto a cambiare un po' aria e a sistemare le mie cose, finché non sarà di nuovo autosufficiente starò qui da lei. Comunque dai, vieni dentro, vedo se in frigo ci sono un paio di birre. Di solito le tiene per quando vengo qui a pranzo.»

Mi ha seguito in cucina, chiudendosi la porta di casa alle spalle.
«Oppure dell'erba, come quando eravamo giovani!» L'ho sentito ridere, dietro di me, rammaricandomi di non aver potuto guardarlo in quel momento.
«Ehi, io sono ancora giovane!»
«Già, sei sempre stato troppo giovane, tu!»
Ho finto di non cogliere e ho accennato un sorriso di circostanza. È lui che è sempre stato troppo grande per me. Troppo distante, troppo bello, troppo etero.
«Wow, in frigo ci sono ben sette birre! La nonna mi ha preso per un ubriacone?»
«Una può bastare... per iniziare, almeno.»

Così è iniziata questa strana rimpatriata.
Da un lato stare qui con lui, al tavolo in soggiorno su cui mi dava le ripetizioni, poter parlare con lui finalmente alla pari, da uomo a uomo, mi esalta; dall'altro sono terribilmente a disagio e credo che alla pari non mi ci sentirò mai, con lui. Vorrei che restasse tutto il giorno, tutta la settimana, ma anche che se ne andasse, lasciandomi qui a crogiolarmi nei miei ricordi che lo riguardano.
Non so come però, dopo la seconda birra, mi viene da guardarlo meglio, cosa che non ho ancora avuto il coraggio di fare da quando abbiamo iniziato a parlare. E complice il suo viso illuminato dal sole che filtra dalle tende, l'alcol che mi concede una leggera sollecitudine, l'alone di nostalgia che ci circonda, finisco per dirglielo: gli confesso che da ragazzo avevo una terribile cotta per lui.

La fiamma eterna nella cascataDove le storie prendono vita. Scoprilo ora