Finalmente a casa

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«Sara sbrigati o faremo tardi!»

La voce irriconoscibile di mia madre che urlava dal piano di sotto era quella che mi svegliava ogni mattina. A volte avrei preferito un risveglio meno caotico, per esempio uno di quelli in cui ti ritrovi le griglie della stanza spalancate e un cornetto caldo appena sfornato sulla scrivania. Invece mi dovevo accontentare delle solite frasi di mia madre, non che ci fosse qualcosa di male, però in quei casi il buongiorno non si vedeva mai dal mattino. Significava che, o ero in ritardo, oppure aveva dimenticato di portare fuori il cane, il che significava bisognini sparsi per casa di prima mattina.

Il buongiorno di quella mattina non era diverso dal solito, ero consapevole di essere in un ritardo mostruoso e il tacchettio che rimbombava nelle mie orecchie non era di certo l'orologio, era mia madre che stava salendo le scale e nel giro di 15 secondi avrebbe spalancato la porta della mia stanza.

«Allora cosa ci fai ancora in pigiama? Forza, tuo padre si è già avviato e io non voglio aspettare i tuoi comodi!»

«Mamma inizia ad andare che io vi raggiungo, stai tranquilla!»

«Sbrigati però che dobbiamo partire.»

Dobbiamo partire.

I giorni precedenti al trasloco avevo preparato scrupolosamente tutti gli scatoloni nei minimi dettagli esaminando minuziosamente ogni piccola o grande cosa che valesse la pena di portare con me. Credevo di essere psicologicamente pronta a lasciarmi alle spalle quella casa, ma vederla completamente vuota quella mattina fece scorrere davanti a me le immagini di tutti quegli anni trascorsi tra le sue mura calorose. Quel luogo che mi aveva sempre fatta sentire protetta, dove tutto aveva preso vita a partire dalla cucina sempre in attività, piena di profumi e prelibatezze, le finestre dove il mio sguardo si perdeva tra le montagne, la mia stanza dove trascorrevo la maggior parte del tempo fissando il lampadario pendente sul soffitto.

In quel momento stavo realizzando che da lì a poco mi sarei ritrovata in una città del tutto nuova. Non sapevo esattamente cosa aspettarmi, o forse non lo volevo nemmeno immaginare. Sapevo solo che in quella casa lasciavo una parte di me. Quel luogo era custode di tutto l'amore che avevo ricevuto in quegli anni, in cui avevo condiviso parte della mia esistenza. Non ci sarebbe stato bisogno di stravolgere le mie abitudini, avrei solo dovuto riadattarle alla mia nuova vita che stava per iniziare.

Il mio gruppo Spice Girl di whatsapp iniziò a vibrare ininterrottamente.

A: Allora ragazze, meta per queste vacanze?

E: Potremmo andare a Firenze, musei, negozi, una meta turistica.

A: E Rimini invece? Sole, mare, vita notturna, e soprattutto relax.

E: Il relax possiamo averlo anche in città e senza prova costume io non vado in spiaggia, chiaro?

A: Come sei noiosa, vuoi davvero festeggiare la maturità andando nei musei?

E: Beh che c'è di male?

Emily e Asja erano così, due poli opposti dello stesso magnete, complementari si può dire. Emily era la classica studiosa, fissata con il suo aspetto fisico, per lei la prova costume era fondamentale per alzare la sua autostima. Asja al contrario invece era la classica 20enne sicura di sé alla quale non interessava se il giorno dopo in classe ci sarebbe stata un'interrogazione, se si trattava di shopping nemmeno un voto scolastico l'avrebbe fermata. Io invece ero l'ago della bilancia, cercare di mantenere entrambe sulla stessa lunghezza d'onda a volte risultava un'impresa non da poco, ma erano le mie migliori amiche e io le adoravo anche quando il mio cellulare implorava pietà.

Io: Ragazze time-out, io sono in ritardo e vi ricordo che stamattina è il grande giorno, possiamo rimandare a domani il programma per queste vacanze?

A: Ma io devo organizzarmi, quando vado a comprare i costumi da bagno?

E: Per andare a Firenze non servono i costumi, ma scarpe comode, io comprerei quelle.

Io: Effettivamente Emi ha ragione.

A: Perché nessuno capisce le mie esigenze?

Io: Ora sono le mie esigenze che devono essere capite, devo chiudere gli scatoloni per cui rimandiamo questo problema esistenziale a domani, e Asja pensa alle scarpe!

Rimasi avvolta tra le lenzuola ancora per qualche minuto, mentre osservavo ogni centimetro del soffitto bianco. Mi strizzai gli occhi e dopo essermi stiracchiata mi alzai dal letto. Iniziai a chiudere gli ultimi scatoloni, ormai gli armadi erano completamente vuoti e non sapevo nemmeno cosa indossare. Da uno scatolone tirai fuori una maglietta grigia e un paio di jeans, immaginavo nella mia testa il commento che Asja avrebbe detto guardandomi sei una delusione per lo stile ma io ero sempre stata contro ogni tendenza, la moda per me apparteneva a un altro pianeta.

«Sara allora, andiamo?»

La voce di mia madre rimbombava lungo il corridoio, presi gli ultimi scatoloni rimasti a terra e rimasi ferma sul ciglio della porta ad osservare per gli ultimi secondi la mia stanza lasciandomi trasportare dai ricordi della mia infanzia dove ancora le mensole erano occupate dai giocattoli. Chiusi per l'ultima volta la porta della stanza e seguita da Alaska, la mia cagnolina, scesi le scale per raggiungere i miei genitori che mi stavano aspettando.

Era tutto pronto, dovevamo solo partire.

Il viaggio si stava rivelando più lungo e stressante del previsto, 5 ore passate a guardare fuori dal finestrino accompagnata dai ricordi quasi dimenticati che riaffioravano nella mia mente. Riuscivo quasi a sentire ancora il profumo di casa, quella sensazione di leggerezza che provavo avvolta tra le lenzuola del mio letto, le risate e l'allegria che rare volte si espandevano nell'atmosfera durante le cene di famiglia.

Osservavo lo sguardo di mia madre dallo specchietto, teneva i lunghi capelli biondi raccolti tra le mani con le gocce di sudore che le cadevano sulla fonte e le sue labbra carnose ricoperte da un rossetto color ciliegia luccicavano colpite dal fascio di luce che penetrava dal finestrino, il suo sguardo malinconico per qualche secondo invase anche me.

«Tutto bene tesoro? Tra poco siamo arrivati!» chiese mia madre.

«Va tutto bene mamma, stai tranquilla.»

Mia madre mi conosceva meglio di chiunque altro, sapeva bene che la mia risposta era solo per convenienza, ma non si limitò a dirmi altro, mi lasciò navigare con la mente ancora un po' e cullare dai ricordi lontani ma ancora tanto vicini, fino a quando mio padre dopo qualche minuto esclamò le parole che volevo sentirmi dire.

«Famiglia benvenuti a casa!»

Ciao ragazzi❣️ Questo è il secondo capitolo di Basta non fermarsi a pensare, spero che vi piaccia e che possa catturare la vostra attenzione! Accetto qualsiasi critica e consigli per migliorare, aspetto idee per poter continuare la storia! Un bacio a tutti❣️ LovePrex

Basta non fermarsi a pensareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora