Il ragazzo della libreria

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Erano le 9:30 e il sole splendeva alto in quella mattinata di luglio, la mia stanza era invasa da un senso di malinconia tale che nemmeno il mio cellulare che continuava a suonare riusciva a farmi alzare.

A: Allora Sara? Sei completamente sparita ieri, come è andato il viaggio?

E: Perché non ci racconti qualcosa sulla nuova città? Magari mandaci qualche foto, non vediamo l'ora di vederla!

Mi mancavano le mie migliori amiche. Sentivo la nostalgia delle serate passate sdraiate sul divano a guardare Cinquanta sfumature di grigio e commentare quanto Christian Gray fosse il sogno del genere femminile, le colazioni al bar del centro prima di entrare in classe, le chiamate su Skype ogni volta che dovevamo studiare, le giornate passate a fare le foto nei camerini del centro commerciale solo perché eravamo al verde.

Erano trascorse meno di 24 ore e le lacrime bagnavano il mio viso ancora assonnato, per le mie amiche era figo che io mi fossi trasferita, vivere a Milano per loro significava venirmi a trovare molto spesso e frequentare locali pieni di gente, pronte a conoscere nuove persone e scattarsi selfie ogni 5 minuti davanti al Duomo. Per me era tutt'altro che figo, ambientarmi non sarebbe stato per niente facile, la mia timidezza non mi avrebbe di certo aiutata.

«Buongiorno tesoro, dormito bene? Perché non ti alzi e non vai a fare un giro per la città? Porta anche Alaska così inizia ad ambientarsi insieme a te.»

Per mia madre ogni scusa era buona per farmi uscire di casa, sapeva che non sarebbe stato facile abituarmi a questa nuova vita. Lei diceva sempre fuori il dente e fuori il dolore il che significava uscire di casa il prima possibile per evitare l'esilio. Notò subito le mie lacrime, aveva capito che in quel momento l'ultima cosa che avrei voluto fare era uscire, mi avvolse in uno di quegli abbracci calorosi che rare volte ricevevo. Avrei voluto rimanere lì, sul letto tra le sue braccia per ore intere consapevole che sarei stata sempre protetta e nessuno mi avrebbe mai fatto del male.

Decisi di rispondere alle mie migliori amiche, parlare con loro mi avrebbe fatto sentire sicuramente meglio.

Io: Buongiorno girls, qui a Milano fa molto caldo e mia madre si è già fatta avanti per buttarmi fuori casa, incredibile no?

E: Devi ammettere che non ha tutti i torti.

A: Ti è concesso fare il bradipo solo con 2 gradi!

E: E poi potresti iniziare a perlustrare la zona, sai magari trovi qualche locale interessante.

Io: Niente locali Emi, al massimo una libreria.

A: Come sei noiosa, è appena finita la maturità e tu già a pensare ai libri? Mi sta per venire una flebite.

E: E tu da quando sai il significato della parola flebite?

A: Infatti non lo so, non ti stupire.

Io: D'accordo ragazze io ci rinuncio, esco e vi mando qualche foto, un bacio!

Rimasi davanti allo specchio del bagno a fissarmi, toccando la superficie riflettente per capire cosa fosse quell'immagine. Provavo un senso di compiacimento ma con il passare dei minuti iniziavo a notare più i difetti riflessi che me stessa, così tolsi velocemente lo sguardo e con un getto di acqua fredda risciacquai il viso. Decisi che per un'innocua passeggiata nel centro di Milano un paio di leggings e una canotta blu sarebbero andati più che bene. Avvolsi i capelli lisci e castani in una lunga treccia e lasciai scivolare le ciocche più corte davanti al viso. Mi guardai di nuovo allo specchio. Toccai il volto con una mano per sentire il calore delle guance rosse e vidi la mia immagine riflessa nelle pupille dei miei occhi lucidi. Scossi la testa e una volta uscita dal bagno scesi le scale per raggiungere mia madre che mi stava aspettando in cucina.

Basta non fermarsi a pensareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora