Parte 1

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Cosa significa essere tifosi? Per me valeva a dire soffrire per 90 minuti davanti alla televisione con la maglia addosso sperando in un gol. Forse, un po' per questo, non riuscivo a stare calma. Come potevi farlo se sentivi l'adrenalina e l'ansia scorrerti nelle vene in un mix che sarebbe potuto essere letale?! Appunto, non si poteva.

Amavo il calcio e probabilmente era l'unico sport che mi fosse mai piaciuto. Sin da piccola ero abituata a vedere le partite dei mondiali insieme alla mia famiglia e crescendo la mia passione non si era fermata, anzi. Quella scena dove eravamo tutti riuniti intorno al televisore in piena estate intenti a esultare, e anche a imprecare, aveva fatto sì che quella fosse la mia idea di famiglia.

Non mi si poteva di certo biasimare considerando il sangue italiano che scorreva nelle mie vene. Perchè sì, non si può sapere cos'è il calcio se non si è mai visto un'italiano davanti ad una partita. Come disse Sir Winston Churchill:"Gli italiani perdono le partite di calcio come fossero guerre e le guerre come se fossero partite di calcio". Niente di più vero. Il calcio era la sola cosa che era rimasta a noi italiani ed era molto di più di uno sport.

Con una squadra di calcio nel cuore ci nascevi e basta. Anche se, ciò che ci univa davvero tutti, era la nazionale. Perché se ci foste stati quel 9 luglio del 2006 avreste visto la vera Italia. Io avevo solo sei anni, ma mi ricordo bene quella sera indimenticabile in cui il cielo si tinse di blu sopra Berlino.

Forse per questo, per esserci cresciuta con il calcio, avevo deciso di farne il mio lavoro. Crescendo avevo iniziato ad andare direttamente allo stadio, con le mie migliori amiche, a vedere la nostra amata Juventus. La prima volta allo stadio non si scorda mai, un po' come il primo amore. Avevo la maglia numero 10 di Dybala e l'Allianz Stadium sembrava un tempio davanti a me. Per questo avevo subito accettato lo stage che mi era stato proposto dalla mia università. Tra tutti gli studenti del mio corso avevano scelto me e io non potevo non esserne felice.

L'università di Torino era una delle migliori d'Italia e quando vidi che mi avevano ammessa nel corso di Giurisprudenza e Comunicazioni Internazionali feci i salti di gioia. Lo stage consisteva nel lavorare alla Juventus per un anno, al termine del quale potevano anche decidere di assumermi.

Ero all'ultimo anno di università e non vedevo l'ora di finire per poter finalmente fare il lavoro per cui avevo studiato così duramente. Pochi giorni ancora e avrei realizzato il mio sogno più grande: entrare a far parte del team della Juventus. Per molti risultavo stupida e l'espressione che assumevano ogni volta che dicevo quello che stavo per fare ne era la prova. Sembrava che non avessero mai visto una ragazza a cui piace il calcio, che va allo stadio o che indossa la maglia del cuore anche per guardare la partita dalla televisione. Dovevo ancora capire questa concezione altamente maschilista e, forse, non ci sarei mai riuscita.

Essere JuveWhere stories live. Discover now