Un oscuro passato

159 11 21
                                    

Madame Bustier scortò i due giovani nelle sue stanze private, mantenendo l'assoluto silenzio, mentre il resto del teatro era in fermento e in agitazione per ciò che era appena accaduto. Lo sguardo di entrambi era spaventato, ma allo stesso tempo carico di aspettative: come se non vedessero l'ora di poter conoscere quella storia e comprendere finalmente di chi, o cosa, avessero paura e se dovevano davvero averne.

Non appena entrarono nella camera dove, l'insegnante di danza, dormiva e si preparava, la donna chiuse la porta, in modo che nessuno li disturbasse. Dopodiché fece loro cenno di accomodarsi dove volevano.

I due si sistemarono sul letto, uno di fianco all'altra, i volti contriti e preoccupati, come fossero pronti a sentire una qualche storia di mostri, demoni o terribili omicidi. La donna si accomodò su una delle comode sedie, ricoperte di un velluto verdognolo che le dava in aria vecchia e logora, e prese un grosso respiro, prima di iniziare a parlare.

«Ero già qui all'Operà quando accadde, studiavo come ballerina, proprio come te Marinette, circa undici o dodici anni fa.» cominciò, con un tono di voce mesto e grave, come se stesse per raccontare una cosa terribile. «In quel periodo, il vecchio proprietario, il signor Agreste, viveva a Teatro come i commedianti, insieme alla sua famiglia.»

«Il signor Agreste ha famiglia?» domandò sbalordita la giovane ragazza. Ricordava perfettamente l'austero monsieur Gabriel Agreste e non avrebbe mai pensato che un uomo così freddo e pragmatico potesse avere rapporti più che professionali con le persone, forse solo con la sua segretaria Nathalie.

«Aveva. – la corresse la donna – Era molto diverso dall'uomo che hai conosciuto tu, Marinette. Era molto innamorato di sua moglie, Emilie, e avevano uno splendido figlio Adrien, un bambino bravo ed educato se devo dirla tutta, e anche molto, molto talentuoso. Aveva una dote speciale per il piano e per il canto, la sua voce era melodiosa e quasi angelica proprio come quella della madre e molti nel teatro si domandavano se pure crescendo avesse mantenuto quel talento.»

«Non capisco come questo possa riguardare quel maledetto Fantasma!?» sbottò il Visconte.

«Ci sto arrivando monsieur. – rispose con voce calma la donna, nonostante si stesse massaggiando le mani in un gesto leggermente nervoso – Fu una tragedia paragonabile a quella di qualche giorno fa. Uno dei gatti di scena per il Macbeth, si era rifugiato su una delle travi del palco, per sfuggire al piccolo Adrien che stava giocando con lui. Questi per inseguirlo aveva preso una delle scale e ci si era arrampicato, nonostante i rimproveri della madre che gli diceva di scendere. Arrivato in cima il gatto, stizzito gli graffiò il viso sul lato destro, facendogli perdere l'equilibrio.»

A quel punto del racconto, Marinette, che stava cominciando a capire come sarebbe finita quella storia, si portò le mani alla bocca, mentre percepiva piccole e pungenti lacrime pizzicarle gli occhi per uscire. Il Visconte, invece, nonostante sembrasse scosso da quel racconto, aveva ancora il volto rigido e quasi irritato.

Madame Bustier, proseguì a raccontare.

«Non ricordo perfettamente cosa accadde, nonostante fossi lì in un angolo del palco a fare le prove di danza con il resto del corpo di ballo: forse la mia mente ha semplicemente cercato di rimuovere quell'infausto evento. Ma la scala s'inclinò con Adrien ancora in cima e quando lui perse la presa e veniva afferrato al volo da sua madre, questa colpì uno dei supporti che tenevano le funi della scenografia.» si fermò, come se quel ricordo le facesse troppo male, mentre Marinette non riuscì più a trattenere le lacrime.

Il silenzio durò almeno un minuto, interrotto solo dai singhiozzi della giovane ragazza.

«Emilie Agreste era la mia insegnante di danza e quel giorno la perdemmo per sempre. Il direttore non se lo perdonò mai, incolpò se stesso, ma soprattutto incolpò suo figlio. Col passare dei giorni e dei mesi l'odio del signor Agreste verso Adrien crebbe a dismisura, ogni volta che vedeva il volto sfregiato del figlio ricordava quel funesto incidente. Troppe volte, noi della compagnia, sentivamo quel bambino urlare per i soprusi che il padre frustrato gli inferiva, finché un giorno non fui io stessa a decretare un accordo e una tregua tra i due. Promisi al direttore di nascondere Adrien nel Teatro, lontano dai suoi occhi e dal suo cuore e lui lo avrebbe pagato come un qualsiasi dipendente, per la musica e le opere che avrebbe scritto di lì in avanti.»

«Adrien...» riuscì solo a sussurrare Marinette, mentre davanti a lei si definiva nitidamente l'immagine del suo Angelo della Musica. Ogni suo pensiero, però, fu interrotto dalla voce del suo amore d'infanzia, proprio di fianco a lei.

«Ha avuto un passato difficile, questo è certo. Ma ciò non giustifica quello che ha fatto in questi giorni. Se ama così tanto questo teatro, perché lo sta mandando in rovina, uccidendo persone davanti al pubblico o spaventando tutti a morte?» inveì il rosso, battendo un pugno contro la sua stessa gamba.

«Non credo che la morte di Ramiér sia stata davvero colpa sua, Adrien può aver perso il suo lato sociale, ma non quello umano. Per quanto invece riguarda questa sera, credo semplicemente che si sia sentito preso in causa: non può negare Visconte, che le parole del brano di oggi erano dirette a lui.»

«Sì, ma...»

«Basta! – lo interruppe Marinette, prima che potesse lui dire qualcos'altro – Ti prego Nathaniel, basta...» detto questo si alzò, ancora con le lacrime che le rigavano le guance nivee e gli occhi gonfi.

Uscì dalla stanza, senza dire nient'altro, senza dare una parola di dispiacere o di conforto a nessuno dei due interlocutori. Con passo svelto e deciso attraverso i corridoi in legno e i ponteggi che l'avrebbero portata di nuovo al tetto.

Solamente quando fu lassù, sfogò il suo pianto disperato, accasciandosi al suolo e portandosi le ginocchia al petto, in cui nascose il viso con le braccia.


Ebbe un brivido nel sentirla piangere, come se tutta la sua tristezza la stesse riversando su di lui. Non l'aveva mai sentita così disperata e qualcosa gli diceva che non era per quello che era accaduto poco prima all'ingresso del teatro. No, doveva essere successo qualcosa, qualcosa che l'aveva scossa a tal punto da farla piangere a quel mondo. Strinse i pugni, giurando che se quel maledetto damerino l'aveva fatta soffrire, l'avrebbe ucciso con le sue mani.

Non parlò, non disse nulla, semplicemente rimase lì, con la testa appoggiata al muro e il volto stanco e triste, ascoltando la sua unica ragione di vita, piangere.


Nei giorni successivi, il famoso Teatro dell'Operà, sembrò cadere in uno stato di trance, come se nessuno avesse più voglia di ridere, divertirsi e far divertire. Il nuovo proprietario, monsieur Bourgeois, non si faceva più vedere, esattamente come la figlia: forse entrambi rintanati a casa loro nel tentativo di trovare una soluzione. Il resto della compagnia e dei teatranti, intanto rimanevano sospesi in quel limbo di paura e tristezza che ormai sembrava essere penetrato anche nella struttura, dando un'aria tetra all'Operà stesso.

Madame Bustier, come molti altri della sua età, ricordava perfettamente quella terribile sensazione di angoscia e macabra promessa, che avrebbe portato il futuro del teatro a un periodo oscuro e poco promettente, in cui nessuno avrebbe messo completa passione nel proprio lavoro.

Marinette, non andava più alla boulangerie dei suoi genitori, come faceva prima e tutto il suo tempo libero lo passava nel suo letto al dormitorio, dormendo o fingendo di farlo. Molte volte, la sua amica Alya, aveva provato a chiederle perché stesse così; se fosse spaventata per ciò che le aveva detto il Fantasma la sera del ballo in maschera, o per qualcos'altro. Ma lei si era sempre rifiutata di risponde, anzi: ogni volta che veniva nominato il Fantasma, s'incupiva ancora di più, chiudendosi in se stessa.

Il Visconte Kurtzberg, faceva la veglia su di lei ogni qual volta voleva rimanere da sola, mettendosi alla porta del dormitorio. Più di una volta si addormentò sulle dure scale di legno, con il capo poggiato allo stipite della porta: non si fidava a lasciare la sua amata sola in teatro, ora che sapeva che quel folle voleva effettivamente lei. Nonostante il suo carattere fosse parecchio timido e impacciato, avrebbe fatto di tutto per difendere la sua dolce Marie dalle grinfie di quel malefico e oscuro gatto.

Del Fantasma, però, nessuno sapeva nulla. Anche lui sembrava essere rimasto ferito da quella sua prima, e forse ultima, apparizione. Le prove per il Don Juan che aveva scritto andavano a rilento, sospese in quello stesso limbo che avvolgeva tutto, e nessuno sapeva se lui stesse assistendo a quel lento declino, oppure no.

My Angel of MusicWhere stories live. Discover now