Capitolo 6

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19-20 febbraio 1990

Uscita dalla stanza di Kroberg tornai alla mia scrivania al settimo cielo. Finalmente sarei tornata a lavorare sul set e avrei abbandonato per un po' di tempo pinzatrici, cartelline e scartoffie varie. Dopo circa mezz'ora, Eric uscì dall'ufficio del Signor Fred ed io lo guardai venire verso me. Non sapevo davvero come ringraziarlo.

«A giudicare dal tuo sorriso, fortunatamente, la mia idea non si è rivelata poi così cattiva», si spostò una ciocca di capelli dietro alle orecchie.

«Ti ringrazio molto. Non vedo l'ora di cominciare», risposi cercando di non espandere ulteriormente un sorriso già a trentadue denti.

«A breve dovrebbe arrivarmi la convocazione contenente orari e altre informazioni piuttosto importanti. Pensavo che sarebbe utile per entrambi darci un'occhiata il prima possibile. Riusciresti a passare da me domani, subito dopo lavoro?», queste parole che sembravano uscite dal classico manuale Il marpione, non suonarono affatto maliziose. Sembrava essere così genuino nei suoi gesti, quel ragazzo.

«Penso che sia un'ottima idea», annuii.

«Perfetto. A domani, Elizabeth», accennò un sorriso.

Tornata a casa dall'ufficio, posizionai il materiale da set sul tavolo e scattai la foto che ora guardo incollata all'album.

Il giorno seguente erano le diciannove e trenta quando stavo scendendo le scale per raggiungere la metropolitana. In ufficio mi ero dovuta trattenere un po' più del dovuto e ora stavo andando all'indirizzo che avevo scritto su un post-it. Stavo in piedi, sul mezzo pubblico, tra una folla di persone che mi facevano sentire compressa come in una scatola di sardine, ma dopo quella giornata di lavoro che si era rivelata piuttosto pesante, non ero minimamente stanca. Le energie mi schizzavano fuori da ogni poro. Non stavo più nella pelle all'idea di partire per un nuovo set. Il solo pensiero mi faceva fremere di gioia, come quando da bambini si caricava la macchina per le vacanze. Seguii l'indirizzo che mi condusse davanti all'ennesimo palazzo presente a New York, l'unica differenza era che quello non era un palazzo qualunque; lì, ci viveva Eric Kurtz.

Arrivata all'ultimo piano del palazzo trovai il suo appartamento e suonai il campanello. Dopo poco mi aprì un ragazzo in pantaloni neri e canottiera bianca. Entrai e inizialmente mi sentii leggermente in imbarazzo, ma Eric, con il suo modo di fare confidenziale, dopo poco mi fece subito sentire a mio agio. Era una persona che non amava i limiti formali.

«Accomodati pure sul divano. Ho preparato degli hot dog. Lo preferisci con o senza senape?» mi domandò ed io per un'istante restai interdetta, ma poi risposi.

«Con la senape va bene, grazie». Mi sedetti su uno dei due divani presenti; erano di velluto rosso scuro. Dopo qualche istante mi resi conto di una cosa: ma, Eric Kurtz, mi stava davvero preparando la cena?

«Ho ricevuto la convocazione. Prendila, è nel tavolino di fronte a te», disse mentre stava di fronte ai fornelli intento ad assemblare gli hot dog. Feci come mi aveva appena detto e nel frattempo mi guardai un po' intorno. Il suo appartamento era una mansarda piuttosto grande con due divani vicino all'ingresso e la cucina a lato della porta. Proseguendo verso l'interno vi erano delle scale in mezzo alla sala che portavano al piano di sopra che però non aveva mura; di fronte a ciò e prima del bagno, vi era una grande porta finestra che dava accesso ad un ampio balcone. Mi soffermai a guardare le locandine di alcuni film a cui Eric aveva preso parte e in due delle quali era stato il protagonista.

«Il due marzo iniziano le riprese. Spero di non averti dato troppo poco preavviso», disse porgendomi un piatto con sopra l'hot dog e mi resi conto che aveva delle bellissime e grandi mani lisce; nel frattempo un elastico nero abbracciava la circonferenza del suo polso.

Accarezzami nel ventoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora