Era lì, sdraiata sul divano, con la sua tanto amata coperta, che aveva fin da quando era nata, la sua tanto amata tazza di tè verde fumante, con le foglioline di menta fresca dentro, e il suo tanto amato libro.
Sebbene fosse estate, il tempo non era dei migliori, tutt'altro: pioveva ininterrottamente da una settimana buona, senza dare tregua, e anche la temperatura si era abbassata notevolmente. Staccò lo sguardo dalla pagina del libro, puntandolo poi sulla portafinestra che dava sullo scenario al qual partecipava ogni sera. Come immaginava, pioveva a rotta di collo, la mattina dopo Renard sarebbe dovuto scendere ad aiutare i vicini a levare i tombini per far scorrere l'acqua giù nelle fogne.
Guardò la coperta. Quante volte la madre aveva tentato di buttarla via? Ne aveva perso il conto. Ma nulla l'avrebbe separato da quella coperta bianca e blu, piena di stelline – prima argentate – che adesso, ogni anno che passava, si scucivano e si scolorivano a ogni lavaggio sempre di più. Era calda, sì, ma stranamente era anche fresca.
Gliel'avevano data quando era nata – ovviamente glielo raccontò la madre – e fin da subito quella era diventata la sua coperta preferita. Si ricordò quando, a nove anni, la usò come mantello per imitare Super Man, oppure come tappeto volante per Aladino, o quando ci si nascondeva quando fuori c'erano i tuoni e si proteggeva dentro quella coperta.
Prese un sorso di tè, nonostante l'avesse fatto mezz'ora prima, ancora fumava, inebriandolo del profumo intenso e delicato della menta che lasciava il proprio aroma. Mentre beveva, prese una fogliolina che galleggiava indipendente, la morse un po' e il fresco sapore le invase la bocca, facendola sorridere senza motivo.
Quelli erano i momenti che lei preferiva, quelli di assoluta tranquillità, senza nessuna preoccupazione a ronzargli per la testa. Si sistemò meglio, poggiando poi la tazza di porcellana rossa e bianca sul tavolino accanto al divano. Mise il libro appoggiato alle gambe e continuò la lettura, immaginandosi di essere una dei protagonisti e affrontare avventure spericolate che, nella vita reale, non sarebbero mai potute accadere.
Quel libro, a furia di leggerlo, lo aveva consumato: alcune pagine si erano staccate, e anche se lei, con tutta la buona volontà di
quest'universo, si era messa ad attaccarle con lo scotch, queste continuavano a staccarsi inesorabilmente. Ormai sapeva a memoria ogni fatto, ogni frase, ogni data e ogni nome di quei personaggi strambi e allo stesso tempo accattivanti.
Decise che l'indomani avrebbe fatto un salto alla libreria, voleva rinnovare un po' la sua biblioteca personale, dato che tutti i libri che possedeva li aveva letti e riletti e imparati a memoria. Ma quello sarebbe rimasto per sempre il suo primo amore.
Aveva vent'anni, quel libro lo teneva da quando era appena dodicenne, e forse la sua mentalità era rimasta ancora a quell'età, un po' bambinesca e un po' sulle nuvole.
Eh, sulle nuvole. Ogni volta sua madre la riprendeva, quando stava parlando di un argomento secondo lei interessante, perché, appunto, aveva la testa tra le nuvole. Ma la madre non sapeva che tra quelle nuvolette, dove passava tanto del suo tempo, c'era qualcun'altro insieme a lei.
Qualcuno che, come lei, amava stendersi sul divano, infilarsi sotto una coperta sgualcita, leggere un buon libro e bere tè caldo.
Alzò lo sguardo, andando a posarsi sul divano accanto al suo, e vide quel ragazzo sotto la coperta verde pistacchio, che teneva in mano uno di quei libri dalla copertina antica – li adorava, li comprava solo per quella – che sorseggiava tranquillo il suo tè ai frutti di bosco.
Sorrise. Quella volta che si erano scontrati in libreria, quando avevano adocchiato lo stesso libro, non se la dimenticherà mai. E forse era quel libro che stava leggendo il ragazzo accanto a lei.
«Allora, facciamo così: lo paghiamo entrambi, visto che purtroppo c'è una sola copia – che peccato – e quando lo finiamo di leggere ce lo passiamo, mh?»
In seguito, quel ragazzo le disse che era una scusa per poter stringere amicizia con lei, l'aveva vista tante di quelle volte, presa dallo scegliere accuratamente un libro che la incantasse, in libreria che ormai conosceva i suoi gusti letterali.
Poi, sempre per via del libro, si videro più e più volte per "commentare il libro". Ma finivano col chiacchierare di tutt'altre cose, conoscendosi sempre di più. Oltre quel volume da 329 pagine, si passavano altri libri, capendo che avevano gli stessi gusti, e questo non fece altro che avvicinarli, finendo poi sulla stessa nuvoletta a perdersi e contemplare il cielo variopinto.
Vide il ragazzo poggiare la sua tazza, ormai vuota, sul tavolino di vetro, piegare l'angolo della pagina a mo' di segnalibro (una cosa che odiava, i libri si riempivano di orecchie e lei non le sopportava), chiuderlo e mettere anch'esso sul tavolo, per poi allungare le braccia sopra la testa e stiracchiarsi.
«Sei stanco, Ren? » chiese serena.
«Uh, un po'. Andiamo a letto?» disse l'altro guardandola dolcemente.
Eurora mise il segnalibro sulla pagina, lasciò il libro sul tavolo e si alzò, prendendo la coperta e mettendola sul braccio. Si avvicinò a Renard, gli tese la mano e lo aiutò ad alzarsi e, come prevedibile, fece cadere la coperta per terra. Sorridendo, il ragazzo si abbassò per raccoglierla, prese per mano Eurora e lo trascinò in camera da letto.
Lasciarono le coperte sopra la sedia, sempre strabordante di vestiti smessi buttati lì prima di dormire, e si sdraiarono sul letto. Entrambi sentivano la stanchezza appesantirgli gli occhi, il sonno stava bussando lentamente per prenderli e portarli via, facendoli sognare. Eurora si accoccolò a Renard, posando la testa sul petto dell'uomo, chiuse gli occhi e l'altro cominciò ad accarezzarle la testa, quasi come se fosse una ninnananna silenziosa.
Eurora, prima di chiudere gli occhi, alzò nuovamente la testa, sorrise al ragazzo che la stava coccolando e si sporse per dargli un bacio a fior di labbra. Renard le sorrise, sussurrandole un "ti amo" appena udibile, ma questo basso per rendere certa Eurora che avrebbe passato una notte dolce, come le definiva lei.
Quelle notti in cui Renard le diceva quelle due piccole paroline prima di addormentarsi, quando chiudeva gli occhi e dormiva col sorriso in viso, le braccia forti e accoglienti del suo uomo ad avvolgerla.
«Anch'io ti amo. Buonanotte Ren»
«Buonanotte a te. Ci vediamo nei sogni» rispose Renard sorridendo.
«Mh, sì. Ci vediamo tra poco» aggiunse, prima che entrambi cadessero in un sonno profondo, dove, anche lì, sarebbero stati insieme.
Magari sotto le coperte, con un libro e una tazza di tè fumante. Circondati dall'amore.