One

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Le palpebre semichiuse tremolarono mentre cercava una posizione più confortevole appoggiandosi al finestrino del treno.
I suoi occhi scorrevano sul panorama al di là della lastra di vetro, nulla che non avesse già visto.
Giocherellava con un elastico come suo solito, ma la sua mente era altrove.
Mentre assisteva impotente all'avvicinarsi della fermata cercò di prepararsi al suo rientro in casa.
Non sarebbe stato piacevole.
E quando mai.
Nel frattempo la canzone che stava ascoltando finì, e solo pochi secondi dopo ne iniziò un'altra.
Mentre la dolce melodia gli solleticava le orecchie cercava invano di capire quale fosse; il suono lo calmava, lo rilassava, riportandolo al ricordo di un piovoso pomeriggio di luglio.
Con lui.
Lasciò che il ricordo lo cullasse per il resto del viaggio, mentre un angolo della sua mente registrava le parole della canzone.
"Mi parli ma io guardo già da un po', già da un po'
Le tue labbra rosse lollipop, rosse lollipop
Ti bacio e mi ci attacco come scotch, mi ci attacco come scotch
Che intanto il mondo gira, hula hop, hula hula hop"
Ricordava come fosse un sogno le sue mani calde, lo sguardo perennemente calmo, le labbra rosse incurvate verso l'alto.

Dopo il lungo silenzio della cabina vuota, l'accalcarsi della gente nei corridoi all'arrivo gli suonò quasi irreale.
Come se gli risultasse difficile credere che al di fuori del suo angolino di tranquillità ci fosse ancora gente che cammina, parla, si muove, si affanna.
Sbuffò.
Avrebbe voluto rimanere lì, per ore, ascoltando la stessa canzone e perdendosi nel suo idilliaco ricordo.
Avrebbe voluto farsi inghiottire dai sedili scomodi e rimanere lì.

Si alzò stancamente posando cellulare e cuffiette in tasca, prese il suo zaino ed uscì dalla cabina.

Avrebbe voluto dire che casa gli è mancata, ma avrebbe mentito.
Era stato benissimo in quelle due settimane, lontano dai suoi genitori, suo fratello, quella cameretta asfissiante che era il suo unico rifugio...
Le poche cose che gli erano mancate di Trento non si trovano in casa sua, ecco.

Mentre camminava lentamente verso la porta d'ingresso sperò che arrivasse qualcuno a sottrarlo da quel supplizio - andava bene chiunque, davvero, chiunque - cosa che ovviamente non successe.
L'unica cosa che potè fare quindi fu varcare la porta d'ingresso e dirigersi il più velocemente possibile in camera sua, sperando che nessuno lo notasse.

Una volta raggiunto il suo rifugio sicuro e aver dato due giri di chiave, poté concedersi due secondi di respiro.
Si buttò sul letto e sbloccò il telefono, controllando i messaggi.
Nessuno gli scriveva, che novità.
Solo qualche stupido messaggio dal gruppo della squadra di basket.

Rimise le cuffiette nelle orecchie per godersi gli ultimi momenti di tranquillità prima che ricominciasse l'Inferno.
Alzò il volume a mille e rimase immobile sul letto, fissando il soffitto.
I suoi pensieri prendevano forma da soli, mutavano, cambiavano, ma lui non badava a loro.
Vedeva tutto come se fosse irreale, come se non gli appartenesse.
Come se quella realtà non fosse la sua.
Non lo era, infatti.
La sua realtà non era silenzio intorno e musica nelle orecchie.
La sua realtà erano grida, litigi, amaro in bocca e porte sbattute.
La sua realtà erano etichette.
"Adolescente arrabbiato" "ribelle" "depresso"
Fanculo.
Aveva un nome, un cognome e un volto.
La sua personalità non era riassumibile in due parole.
"Andrea, sei tu?"
Sbuffò sonoramente.
Aveva urlato così forte che era riuscito a sentirla sentita attraverso le cuffie.
"Si, arrivo"

Ecco, la sua realtà era quella.
Ora si che si sentiva a casa.
L'Inferno era ufficialmente ricominciato.

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Comunque, vi piace come primo capitolo?
Se volete darmi una prima impressione, o qualunque altra cosa sappiate che leggo e rispondo a tutti i commenti ;)

Asganaway! (Us gone away)

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