Aprii gli occhi e lo vidi: il nulla che mi circondava.
Mi tolsi le cuffie e lo sentii: il silenzio assordante della vita.
Mi guardai allo specchio e la riconobbi:
una me senz'anima, ma pronta a lottare con le unghie e con i denti pur di riprendersi ciò che è sempre stato suo: la felicità.
Se c'è una cosa che la sofferenza mi ha insegnato è che ogni vuoto può riempirti, ogni mancanza può arricchirti e ogni solitudine può farti sentire meno solo. Lo so, è un paradosso, ma dopotutto è pur sempre la vita!
Avevo l'abitudine di appuntare sulle note del telefono ogni mia riflessione, sensazione o emozione che una persona era stata in grado di suscitarmi, bella o brutta che sia. Con il passare del tempo ho scoperto che la scrittura, in realtà, è sempre stata la mia unica salvezza e l'amica più fedele che io abbia mai avuto. Da allora non l'abbandonai più, anzi, mi ci immersi completamente all'interno immedesimandomi in ogni singola lettera. È proprio in questo mondo che mi sono salvata.
Generalmente non c'era una parte precisa della giornata in cui amavo scrivere, l'ispirazione veniva da sé, nei momenti meno opportuni. Magari quando mi ritrovavo sola con i miei pensieri o, anche, quando mi sentivo sola tra la gente. Fatto sta che mi immergevo a tal punto che nemmeno le urla di mia madre erano capaci di riportarmi alla normalità.
E fu proprio così che iniziò la mia giornata, con le assordanti parole:
"Nat, su muoviti, fai sempre tardi!"
Effettivamente mia mamma non aveva tutti i torti, ero sempre solita scendere all'ultimo minuto, senza fretta alcuna.
La vita scorreva lenta tra le strade della mia cittadina quella mattina. Non so con precisione perché, ma quel 27 gennaio sembrava essere partito in modalità moviola e arrivai a scuola totalmente scocciata già in partenza.
L'unica cosa positiva delle giornate scolastiche era la compagnia: la mia compagna di banco Livia, le mie migliori amiche e il mio amico "speciale" Giorgio.
Vi starete sicuramente chiedendo perché è speciale. Beh, in realtà non ha nulla in più alle persone normali, è solo che è speciale ai miei di occhi. Alto, moro e muscoloso, uno di quei tipi che quando li vedi a primo impatto penseresti:
"eccolo arrivato, adesso si crede che tutte cadano ai suoi piedi", ma in realtà Giorgio è, anzi era, tutt'altro.
Giorgio era tenerezza infinita, la persona più fragile e al contempo più forte che io abbia mai conosciuto. È stata per me roccia pura in un momento della mia vita in cui regnava sovrana l'alta marea.
Per questo, andare a scuola contribuiva a distrarmi. Non solo perché entravo in contatto con altre persone, ma soprattutto perché sapevo che ovunque mi girassi nulla poteva colpirmi: c'era sempre il mio amico "speciale" pronto a farmi da scudo. L'idea di averlo sempre con me mi cullava lentamente e con dolcezza.
La mattinata scolastica passò alla solita maniera. Qualche chiacchiera qua e là e qualche risata strappata all'improvviso. Verso metà mattinata mi arrivava un messaggio da Giorgio:
" esci, ti aspetto al solito posto".
Il nostro posto segreto, pensai, e all’improvviso tutto divenne più colorato e felice: le giornate con lui avevano un altro sapore. Ero sicura che nulla, nemmeno la sua morte improvvisa, avrebbe potuto cancellare il ricordo indelebile impresso in quel luogo. Il nostro posto erano le scale di emergenza della scuola, dove non c'era mai nessuno. Lì potevamo starcene un bel po' soli e parlare addirittura per ore, era un po' il nostro nascondiglio lontano dal mondo. L'enorme finestrone dava sulla strada, ma si vedeva sempre l'infinità del cielo. Un giorno lui mi guardò e mi disse:" Dovremmo comprarci una poltrona e restare qui a guardare fuori dalla finestra le nuvole per ore, così, senza dire nulla".
La profondità di quelle parole mi colpì a tal punto che, ancora oggi, quando rivolgo il mio sguardo verso l'alto, penso alla promessa che c'eravamo fatti. Avete presente quel detto "chi trova un amico trova un tesoro?", ecco, con lui avevo tra le mani il bottino più ricco che un pirata avesse mai potuto possedere. Quando se ne andò lasciò tutti senza parole, la sua morte aveva portato con sé un pezzo della mia anima.
Non sarei mai più stata la stessa Nat di sempre, non sarei mai più andata sulle scale di sicurezza di quella maledetta scuola, ma soprattutto, non avrei mai più trovato nessuno che potesse solo lontanamente sostituire la sua amicizia. Il nostro legare era, ed è tutt’ora, indissolubile. Io lo sento: lui mi accarezza dolcemente attraverso il vento che soffia piano tra i miei capelli , mi scalda tramite il caldo del sole dei suoi abbracci e le lacrime delle risate fatte insieme solcano il mio viso come la pioggia che scorre incessantemente sui vetri dell’auto. Lui c’era, ed io potevo sentirlo forte e chiaro.
Come nessuno mai.
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"FIN DOVE LE STELLE BRILLANO"
ChickLitCosa ne è dell vita quando perdi una persona "speciale"? Si butta tutto per aria, oppure si prende a morsi quello che rimane? Nat non aveva idea di cosa fosse la morte fino a che a lasciarla nel turbine dell'esistenza non è stato il suo migliore ami...